GUIDI, Guido Novello (Guido Novello il Giovane, Guido Novello di Raggiolo)
Figlio del conte Federico (Federico Novello) ed Elena di Ugolino degli Ubaldini, una parentela, quella materna, che contribuì a orientare ulteriormente le sue scelte politiche verso un radicato ghibellinismo e si rivelò comunque importante nel corso della sua vita, nacque probabilmente o nel 1274 o fra 1279 e 1282, poiché fu formalmente emancipato nel 1301.
Il padre ebbe oltre a lui sei figlie; l'unico altro figlio, Tristano, nacque da una relazione extraconiugale: quindi il G., alla morte del padre avvenuta già prima dell'agosto 1291, ne ereditò quasi interamente il patrimonio e la collocazione nello schieramento politico. Il destino del padre e l'influenza dello zio Manfredi, che del G. aveva assunto la tutela, dovevano ulteriormente rafforzare in lui la fede ghibellina e l'ostilità a Firenze, città che approfittava delle lotte di fazione e delle divisioni interne al casato dei Guidi per espandere il proprio dominio nel contado a scapito dei territori appartenenti ai rami dei Guidi rimasti su posizioni filoimperiali. In particolare fu significativa per il G. nel 1292 la perdita del castello di Ampinana in Mugello, centro principale della signoria trasmessagli in eredità dal padre, che i Fiorentini avevano ripreso dopo che lo zio Manfredi - con il quale la signoria era condivisa - aveva tentato di strappare tale castello alle mire fiorentine, manifestate già a partire dal 1273, quando la rocca era stata data in garanzia in occasione della pacificazione con Firenze del conte Guido Novello (I), nonno del Guidi.
Se Manfredi rinunciava ai suoi diritti in cambio di 3000 fiorini, al giovane nipote rimaneva almeno la signoria su alcuni dei fedeli originari di tale castello, oltre che sugli uomini dei villaggi vicini. Fra di essi il notaio ser Giovanni di Buto, che accompagnò il G. dal momento in cui divenne legalmente maggiorenne fino alla sua morte e i cui registri, conservati presso l'Archivio di Stato di Firenze, costituiscono la fonte principale per seguire la vita del Guidi.
Nel 1301 il G., come già ricordato, usciva dalla tutela dello zio, avendo raggiunto un'età che veniva considerata sufficiente per agire legalmente in proprio, e Manfredi gli cedette in tale occasione, per 2000 fiorini, un quarto del castello romagnolo di Marradi con tutti i diritti su 40 uomini lì residenti. Altri diritti il G. possedeva appunto su uomini e "popoli" del comitato di Ampinana, quindi nella curia di Bucine nel Valdarno superiore, ma soprattutto in Casentino, dove aveva territori e fedeli nella curia di Poppi e signoria completa sui castelli di Raggiolo, Ortignano, Quota e Garliano, tutti sul versante del Pratomagno. Nei primi anni della sua attività politica, dopo l'accordo che aveva rappacificato i suoi zii Manfredi e Guglielmo Novello con i parenti del ramo di Modigliana - sancito dalle nozze di sua sorella Giovanna con il conte Tegrimo di Modigliana -, il G. fu frequentemente insieme con tali conti nei loro castelli toscani a Porciano e Stia, nel prestigioso palazzo dello specchio vicino a San Godenzo, alternando brevi soggiorni a Raggiolo dove vivevano le sorelle. Più che probabile risulta la sua presenza al convegno tenuto a San Godenzo nel giugno del 1302 - cui partecipò anche Dante Alighieri - nel corso del quale si presero accordi fra i fuorusciti fiorentini guelfi bianchi e ghibellini con i signori feudali del Valdarno e dell'Appennino per una guerra da portare contro Firenze appunto nel Valdarno superiore. L'atto relativo agli accordi presi fu, infatti, rogato proprio dal notaio Giovanni di Buto che accompagnava il conte e lo assisteva come vicario e ufficiale. Allo stesso modo è probabile, seppur in assenza di testimonianze dirette, che il G. abbia partecipato alle iniziative militari seguite a tali accordi. Nel marzo del 1308, infine, con il cadere di ogni prospettiva nella lotta contro Firenze, egli decise di fermarsi stabilmente a Raggiolo, nell'Aretino, dopo essersi dedicato a risolvere alcune controversie con membri della famiglia degli Ubaldini per dei beni che gli venivano dall'eredità materna.
Il G. continuò, tuttavia, a mantenere contatti con i fuorusciti fiorentini ospitati a Stia e San Godenzo, assumendo progressivamente un ruolo più spiccato fra i Guidi che sostenevano la parte imperiale. Non appena si profilò una possibilità, con la discesa di Enrico VII in Italia, egli fu pronto ad aderire e probabilmente accolse, insieme con i conti di Modigliana, gli ambasciatori inviati dal futuro imperatore. Allo stesso modo è molto probabile che, con alcuni dei conti Guidi di Modigliana e di Romena, fosse nella schiera di cavalieri che lo ricevettero a Pisa nel 1312. Dopo averlo seguito nel viaggio in Italia e nell'inconcludente assedio di Firenze, il G. fu uno fra i pochi a scortarne la salma da Buonconvento - dove Enrico era morto nell'agosto del 1313 - di nuovo a Pisa. In quei pochi mesi seppe distinguersi nella fedeltà all'imperatore, insieme con i conti Tancredi di Modigliana e Aghinolfo di Romena, tanto da meritare di poter fregiarsi dell'aquila imperiale come capo nobile nella sua arma araldica, ricostruibile dalla descrizione del suo sigillo - "aquila supra quarterium" - riportata in un atto di Giovanni di Buto.
I rapporti con gli altri rami del gruppo familiare non furono comunque sempre pacifici: di lì a poco il G. fu costretto a schierarsi proprio contro Tancredi a sostegno delle ragioni del cognato Tegrimo di Modigliana. Enrico VII aveva infatti concesso a Tancredi, nel marzo 1313, i feudi del fratello Bandino, morto in quell'anno senza eredi, e altri feudi tolti a membri della famiglia che si erano dimostrati più tiepidi verso il sovrano. Quando Tancredi pretese di far rispettare tale concessione si scontrò con i fratelli Ruggero, Tegrimo, Guido e Fazio (Bonifacio). Il G. difese appunto Tegrimo, cui, oltre alla parentela creatasi con il matrimonio di sua sorella, lo legavano rapporti di amicizia e frequente ospitalità. Dopo la morte del cognato nel 1315 si assunse, inoltre, la tutela della vedova Giovanna e dei figli Smeraldo, Guido Domestico, Luigi, Fiore, Enrico, Adelasia e Primavera. La morte di Tegrimo fece anche saltare la tregua che il G. aveva nel frattempo raggiunto con Tancredi, tramite Aghinolfo di Romena, dopo che alcuni uomini dei conti di Romena avevano assalito e in parte incendiato il castello di Raggiolo. Tuttavia le difficoltà finanziarie nel portare avanti il conflitto lo spinsero presto a cercare un accordo. La pace fu ratificata nell'ottobre del 1316, tramite il conte Guglielmo Novello, nella rocca di Castel San Niccolò. Per rafforzarla fu stabilito il matrimonio fra Guido figlio di Tancredi e Altavilla sorella del G., rimasta vedova di Francesco di Uguccione Della Faggiuola.
La carenza di risorse finanziarie che aveva costretto il G. alla resa doveva tormentarlo per tutta la vita: già prima di acquisire la maggiore età aveva dovuto indebitarsi con banchieri fiorentini per costituire la dote della sorella Giovanna; altri prestiti vennero contratti nel 1311 e nel 1314 anche con esponenti fiorentini da lui politicamente distanti come Bernardino de' Medici. Ma il G. oltre alle spese militari dovette provvedere al riscatto dei nipoti Guido Domestico, Luigi, Fiore ed Enrico presi prigionieri, e alla dote di Altavilla. Così fu costretto anche a cedere parte dei suoi beni trattando con il conte Guido del ramo di Battifolle, di cui aveva sposato la figlia Parta, e poi con Piero e Tarlatino dei Tarlati di Pietramala che ambivano a espandere il loro controllo nell'Aretino. Visto che le circostanze e le risorse non gli permettevano di svolgere un ruolo politico di primo piano, il G. si dedicò in seguito ad amministrare la sua piccola signoria.
Vari documenti redatti da Giovanni di Buto mostrano il G. mentre a Raggiolo riceve giuramenti di fedeltà, concede feudi, amministra la giustizia penale fino alle sentenze capitali. Ma anche intento a seguire l'attività dei mulini e soprattutto degli opifici per la lavorazione del ferro posti alle pendici del castello di Raggiolo sulle rive del torrente Teggina, da lui concessi in affitto e gestione a fabbri uniti in società con imprenditori fiorentini o aretini. Nello stesso tempo non trascurava le passioni più tradizionalmente nobiliari come la caccia - nel 1316 concede a un fedele di Raggiolo una casa in cambio della custodia di due rapaci - e, più colto di molti altri signori feudali, doveva apprezzare la letteratura e la lirica cortese, visto che ebbe anche uno scambio epistolare con Cino da Pistoia che a lui dedicò, non a caso, una canzone in lode di Enrico VII.
Il 15 marzo 1320 il G. testava nella cappella di Battifolle (ora frazione di Arezzo); la morte dovette essere di poco successiva.
Proprio il testamento del G., redatto sempre da Giovanni di Buto, illustra diversi aspetti della sua vita. Oltre a chiedere di essere sepolto nella chiesa francescana di Certomondo, presso Poppi, il G. lasciò una nutrita serie di legati a chiese e monasteri, ordinando anche che dai suoi beni fossero prelevate le somme necessarie per edificare una chiesa e un ospedale in Raggiolo e un ponte e un ospedale presso Garliano. Il castello stesso di Raggiolo fu lasciato alla moglie come garanzia della sua dote e di un legato di 5000 fiorini, mentre i beni nella curia di Poppi dovevano essere venduti al conte Simone di Battifolle affinché si provvedesse con il ricavato ai lasciti vari. Ai nipoti, figli di Tegrimo, lasciava fedeli e diritti di Marradi, mentre erede universale - in sostanza di una serie abbastanza dispersa di diritti su vari castelli e villaggi - venne indicato il conte Guido di Battifolle, cui spettava soprattutto il compito di far eseguire una lunga serie di disposizioni, fra le quali compaiono molte donazioni in riparazione delle azioni di scorreria e di guerra compiute. Significativi risultano essere inoltre il lascito in favore di Bartolino di Campi, suo compagno d'armi, del suo miglior cavallo da guerra e di tutte le sue armi e anche la concessione della piena libertà ed esenzione da ogni tassa agli uomini che lo avevano seguito e servito fedelmente, fra i quali il notaio Caprino di Raggiolo, lo stesso Giovanni di Buto, il vignaiolo Lando di Poppi, le cameriere della contessa. Testimonianza della mentalità ancora cavalleresca del conte è la disposizione di un lascito di 60 fiorini d'oro per armare e pagare un fante che partecipasse in suo ricordo alla crociata, nel caso in cui ne fosse stata bandita una entro 20 anni dalla sua morte.
Dalla moglie Parta, con la quale non sappiamo quando si sposò, non ebbe figli. Ebbe invece quattro figli naturali, due femmine, Elena e Francesca, che andarono in convento ad Arezzo, e due maschi, Agnolo e Leonello, ai quali il conte cercò di garantire il futuro assegnando loro dei beni. In seguito Agnolo, legatosi per fedeltà e per matrimonio alla casata dei conti Guidi di Battifolle, riuscì in parte ad avere un ruolo politico, facendosi chiamare conte di Raggiolo e cercando di riprendere al Comune di Firenze, insieme con il conte Ugo di Battifolle, la signoria sugli uomini di Ampinana.
Fonti e Bibl.: Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 180, 182; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, pp. 366 s.; M. Bicchierai, Il castello di Raggiolo e i conti Guidi, Raggiolo-Montepulciano 1994, pp. 132, 134, 136, 138, 140, 142, 144, 146, 148, 152, 154, 156, 158, 160, 164, 166, 168, 170, 172, 174, 176, 178, 180, 182 (con edizione dei documenti fra i quali il testamento del G.); E. Sestan, Dante e i conti Guidi, in Id., Italia medievale, Napoli 1968, p. 352; Ch.-M. De La Roncière, Fidélités, patronages, clientèles dans le contado florentin au XIVe siècle. Les seigneuries féodales. Le cas des comtes Guidi, in Ricerche storiche, XV (1985), pp. 36-38, 41, 48, 50 s., 54; G. Cherubini, Il Casentino ai tempi della battaglia di Campaldino, in Id., Fra Tevere, Arno e Appennino. Valli, comunità, signori, Firenze 1992, pp. 21 s., 30-32; M. Bicchierai, Il castello di Raggiolo e i conti Guidi, cit., pp. 26 s., 30-33, 36 s., 39, 41, 66, 68, 72-75, 79, 81-83, 87, 90-114, 118 s.; A. Barlucchi, Le signorie appenniniche come "paradisi fiscali" trecenteschi. Una ipotesi di lavoro, in Il confine appenninico… Atti della Giornata di Studio … 2000, Pistoia 2001, pp. 106, 115 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guidi di Romagna, tav. IV.