Orlandi, Guido
Figlio di un Orlando della famiglia dei Rustichelli e di Monna Tessa de' Visdomini, nacque probabilmente a Firenze qualche anno prima del 1265. Nel gennaio del 1290 infatti egli ricopriva già cariche pubbliche, essendo approvatore delle sicurtà dei magnati. Due anni dopo era nel consiglio delle Capitudini delle dodici Arti maggiori, e da lui partì la proposta che i priori fossero sei e che non potessero essere rieletti al termine del loro mandato. Nel 1294 fece parte del consiglio dei Cento, e nel 1296 ricoprì il delicato incarico di massaro alla Camera del comune. Il suo nome figura in un elenco di Fiorentini di Parte nera abitanti nel sesto di San Pier Maggiore, che furono ribelli all'autorità imperiale in occasione dell'assedio posto alla città da Enrico VII. Nel 1333 era ancor vivo; è probabile che sia morto poco dopo.
Dell'O. ci rimane una piccola raccolta di una ventina di componimenti, fra i quali non mancano naturalmente quelli di argomento amoroso. In questi ultimi il rimatore appare come seguace della corrente siculo-guittoniana, né offre alcun appiglio perché si possa affermare una sua pur lontana parentela con gli stilnovisti, neanche in due ballate, alle quali è pur da riconoscere qualche movenza meno dura e meno raziocinativa. Più noto e robusto un sonetto politico (Color di cener fatti son li Bianchi), che il Levi ritiene composto in occasione dell'alleanza stretta nel 1302 tra i fuorusciti bianchi e gli Uberti e i ghibellini del contado. Più interessanti invece le rime di corrispondenza, che costituiscono buona parte del suo canzoniere. Egli tenzonò con un ser Bonagiunta monaco della Badia di Firenze (da non confondere con l'Orbicciani) sulla vera amistà; con Monte Andrea, allusivamente scherzando; con Dino Compagni per respingere certe sue accuse psicologico-letterarie; e soprattutto con Guido Cavalcanti, al quale sembra essere stato legato d'amicizia, a proposito dei miracoli operati da un'immagine della Madonna in Orsammichele; della conquista della donna amata; della maggiore o minore sapienza di entrambi in materia amorosa; e così via. Tutti questi sonetti possiedono i rituali caratteri delle rime di corrispondenza: oscura allusività, estro psicologico, tecnica difficile, rime ricercate, violenza linguistica. Al Cavalcanti è probabile che l'O. abbia anche indirizzato il sonetto Onde si muove e donde nasce amore? (cfr. v. 9 " io ne domando voi, Guido, di lui "), al quale sarebbe toccata in risposta la famosa canzone Donna me prega.
Almeno un cenno merita il misterioso sonetto Poi che traesti infino al ferro l'arco, attribuito all'O. in risposta, come si precisa nel cod. Vaticano lat. 3214 che lo contiene, " a uno sonetto ke li mando dantelli ali ". Esso fu inserito dal Barbi nell'edizione del 1921 detta " del centenario " al n. LXIV delle Rime, poiché le ultime due parole dell'intestazione che si legge nel codice furono interpretate come " Dante Alighieri ". Assai oscuro ne è il significato; tuttavia la tramatura stilistica è tale da far pensare, piuttosto che all'Alighieri, a Dante da Maiano, al quale per altro l'O. indirizzò in tenzone anche il sonetto Al motto diredan prima ragione.
Bibl. - Testi: E. Lamma, Le rime di G. O., Imola 1898. Studi: E. Lamma, G.O. e la scuola del dolce stil novo, Firenze 1895 (estr. da " Rass. Nazionale " 16 ott. 1895); E. Levi, G. O.: appunti sulla sua biografia e sul suo canzoniere, in " Giorn. stor. " XLVIII (1906) 1-35; S. Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello 1912, 12; E. Bigi, Genesi di un concetto storiografico: " Dolce stil novo ", in " Giorn. stor. " CXXXII (1955) 333-371.