QUAZZA, Guido
QUAZZA, Guido. – Nacque a Genova il 14 giugno 1922, terzo dei cinque figli di Maria (detta Manina) Capitelli e dello storico Romolo.
La madre proveniva da un’importante famiglia liberale napoletana, mentre il ramo paterno aveva origini operaie in Mosso Santa Maria, un Comune del distretto tessile biellese al quale Quazza rimase legato per tutta la vita.
Al mossese Quintino Sella dedicò il suo ultimo libro (L’utopia di Quintino Sella. La politica della scienza, Torino 1992) e ne curò, assieme alla moglie (che portò a compimento l’impresa dopo la sua morte), l’imponente epistolario (Epistolario di Quintino Sella, a cura di G. Quazza - M. Quazza, I-IX, Roma 1980-2011).
Nel 1930 la famiglia Quazza si trasferì a Torino, dove Romolo insegnò nelle scuole superiori fino all’ottenimento, nel 1939, della cattedra universitaria. Guido frequentò il liceo Cavour e nel 1940 si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia. L’8 settembre 1943 lo colse allievo sottoufficiale a Roma. Il suo plotone, schierato nel quartiere romano di Centocelle, si sbandò ed egli raggiunse la famiglia sfollata a Mosso. Inizialmente si nascose in un alpeggio poco distante con un gruppo di coetanei, poi, nel febbraio del 1944, si unì assieme al fratello Giorgio alle formazioni partigiane della distante Val Sangone: ciò sia per il timore di ritorsioni sulla famiglia, sia per la distanza ideologica dalle brigate comuniste locali. Giorgio fu catturato e deportato a Mauthausen, da dove rientrò dopo la fine della guerra; Guido divenne comandante della brigata autonoma Ruggero Vitrani della divisione Sergio Devitis.
Il 5 luglio del 1945 si laureò in storia del Risorgimento, discutendo una ricerca sui conflitti tra le potenze europee circa l’assetto italiano nel primo trentennio del Settecento, L’equilibrio italiano nella politica europea alla vigilia della guerra per la successione polacca (da documenti inediti) (Torino 1944). L’intensa attività politica, tuttavia, lo allontanò dagli studi. Si avvicinò prima alla Federazione giovanile socialista del Partito socialista italiano di unità proletaria, nell’ambito della corrente autonomista Iniziativa socialista. Dopo la scissione di palazzo Barberini del gennaio 1947, aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani: entrò nella direzione nazionale e partecipò alla stesura del programma, ma fu subito critico verso l’ingresso nella coalizione di governo. La produzione di argomento politico di questi anni si caratterizzò per le posizioni autonomiste, anticomuniste e di opposizione alla politica dei blocchi, in nome di un umanesimo socialista pacifista e federalista. In seguito al voto favorevole del partito all’adesione al Patto atlantico, appoggiò la nascita del Partito socialista unitario, che lasciò nel 1951 non condividendone la scelta di rientrare nell’alveo socialdemocratico. L’esperienza politica si chiuse tra amarezze e delusioni personali: tornò intensamente al lavoro e agli studi.
Intanto, il 29 ottobre 1949 aveva sposato Marisa Piola, conosciuta all’Istituto regionale di studi socialisti. Quazza prese servizio nella scuola superiore, ma dal 1951 al 1954 fu comandato presso l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea di Roma, proseguendo nello studio delle relazioni internazionali, con particolare riguardo ai contrasti tra Savoia e Borboni. Raccolse in seguito i suoi studi di storia diplomatica, di riconosciuta ascendenza paterna, in Il problema italiano e l’equilibrio europeo (Torino 1965).
Dall’ottenimento della libera docenza in storia del Risorgimento, nel 1948, aveva cominciato a impartire ‘corsi liberi’ in università e stretto legami accademici e personali con Walter Maturi, che era succeduto al padre alla cattedra di storia del Risorgimento.
Per tutti gli anni Cinquanta sedette nella giunta della Federazione nazionale degli insegnanti della scuola media fondata da Gaetano Salvemini, portandovi una forte attenzione al problema della formazione degli insegnanti di storia, con la convinzione che alla disciplina dovesse essere dedicato un apposito corso di laurea e che la storia più recente avesse un alto valore civile (L’insegnamento della storia, in Scuola e città, IX (1958), 3, pp. 87-90).
Al centro della sua ricerca scientifica pose la formazione della classe dirigente sabauda. Nell’assolutismo riformatore dei primi sovrani del regno di Sardegna vide la premessa dello sviluppo della borghesia moderata piemontese, artefice del Risorgimento (Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, I-II, Modena 1957). Nell’opera L’industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861 (Torino 1961) portò l’attenzione sugli imprenditori d’avanguardia negli anni di transizione al sistema industriale, con un taglio di storia economico-sociale che si ispirava da un lato alla scuola francese di Ernest Labrousse, dall’altro alla storiografia economica piemontese di Giuseppe Prato. In entrambe queste opere si propose di superare i limiti di un approccio strettamente politico-diplomatico, alla ricerca dei nessi tra Stato e società e tra individuo e gruppo sociale di appartenenza.
Dopo una serie di insuccessi, nel 1962 vinse finalmente il concorso di storia medievale e moderna dell’Università di Urbino e fu chiamato alla Scuola normale superiore di Pisa. Qui sperimentò la didattica seminariale e affrontò le prime richieste studentesche di partecipazione agli organi di governo accademici, venendo incaricato dal consiglio direttivo della Scuola della trattativa con gli studenti. Nel 1965 rientrò a Torino, alla cattedra di storia della facoltà di magistero.
Nel frattempo aveva cominciato ad accordare le prime tesi di storia della Resistenza, accogliendo la curiosità degli studenti verso il passato recente, cresciuta in seguito alle manifestazioni contro il governo Tambroni (1960). Nel 1963 pubblicò il primo intervento di argomento resistenziale, già sensibile, oltre che agli aspetti militari, alle componenti morali della scelta partigiana e al funzionamento interno delle bande (Aspetti della guerra partigiana, in Critica storica, II (1963), 5, pp. 534-559). Su insistenza di alcuni allievi decise di pubblicare il suo Diario partigiano (in Id., La Resistenza italiana. Appunti e documenti, Torino 1966, pp. 127-247), vivida testimonianza coeva dei dilemmi dell’approdo alla Resistenza da parte di un giovane cresciuto in un ambiente borghese, moderatamente antifascista, dai saldi valori istituzionali.
L’investimento nel rapporto con i giovani, la concezione dello storico come educatore e la rielaborazione della propria esperienza di combattente determinarono la sua «svolta» contemporaneistica (U. Levra, Dalla storia del Piemonte alla storia d’Italia, in Italia contemporanea, XLIX (1997), 208, pp. 527-531, in partic. p. 529).
L’antifascismo divenne ai suoi occhi non solo un legittimo tema di ricerca scientifica, affidato soprattutto alle nuove generazioni, ma un riferimento etico operante nel presente. Nel 1966, divenuto presidente del Circolo della Resistenza di Torino, in cui consolidò i rapporti con i più importanti antifascisti di formazione azionista, pronunciò un discorso in occasione della morte, all’università di Roma, dello studente socialista Paolo Rossi, evocandolo come un martire antifascista.
Nel giugno del 1967, durante la prima occupazione studentesca di palazzo Campana, fu eletto preside del Magistero: il suo consiglio di facoltà si pronunciò contrario all’intervento della polizia e aprì subito il dialogo con gli studenti.
Nel movimento studentesco Quazza vide la riemersione dello ‘spirito’ della Resistenza, individuato nella ribellione antiautoritaria, nell’iniziativa spontanea, nella partecipazione in prima persona e nella rivendicazione di un diritto di opposizione alla violenza ‘legale’ (Nella protesta dei giovani lo spirito della Resistenza, in Resistenza, XXI (1968), 9, p. 3). Nell’anno accademico 1968-69 avviò l’esperienza del «pool storico-sociologico-filosofico», proponendo un piano di studi monografico, interdisciplinare e basato sulla ricerca di gruppo (Piani di studio. Un’esperienza al Magistero di Torino, Firenze 1970).
Nel 1972 fondò la Rivista di storia contemporanea e fu eletto presidente dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (INSMLI). Con l’intervento Storia della Resistenza e storia d’Italia: ipotesi di lavoro (in Rivista di storia contemporanea, I (1972), 1, pp. 50-74) gettò le basi della proposta storiografica della ‘continuità’ «degli elementi sostanziali – di struttura economica, di comportamenti sociali, di istituzioni e di personale politico – del processo storico italiano» oltre la ‘rottura’ del 1943-45 (p. 51).
Allo sviluppo di questa ipotesi chiamò a lavorare numerosi ricercatori degli istituti provinciali della Resistenza, elaborando un programma scientifico nazionale sulla transizione dal fascismo alla Repubblica e sostenendo diversi gruppi di ricerca collettiva. Con Resistenza e storia d’Italia (Milano 1976) si confrontò con l’intera letteratura su fascismo e antifascismo, analizzando i diversi paradigmi interpretativi della Resistenza e le componenti sociali del fronte resistenziale.
In particolare discusse la ricerca di Renzo De Felice, allora in fieri, respingendo le tesi del consenso, dell’autonomia del fenomeno fascista e del ruolo centrale dei ceti medi. Opera di appassionata discussione interpretativa più che di ricerca di prima mano, Quazza vi precisò categorie destinate a importanti riprese nella storiografia successiva (gli elementi morali della scelta partigiana, l’antifascismo spontaneo, la banda come microcosmo di democrazia diretta). Il libro ebbe uno straordinario successo di vendite e recensioni ma, per le sue argomentazioni sulla violenza ‘dal basso’ contrapposta alla violenza ‘dall’alto’ e sulla restaurazione moderata del dopoguerra, più in generale per il suo carattere di storiografia ‘militante’, fu accolto anche da giudizi fortemente critici.
Non si iscrisse più ad alcun partito né aderì formalmente a gruppi politici, praticando una militanza imperniata su una personale riattualizzazione dell’antifascismo come istanza antiautoritaria, antimperialista e di autogoverno. Seguì con attenzione gli eventi internazionali – la dittatura militare in Grecia, la guerra del Vietnam, il colpo di Stato in Cile – ma in particolare si impegnò a denunciare l’azione del neofascismo e la persistenza di elementi di fascismo nello Stato italiano (G. Quazza et al., Fascismo e società italiana, Torino 1973). Come presidente del Comitato unitario antifascista torinese si pronunciò contro la legge Reale sull’ordine pubblico e sostenne la proposta di soppressione del Movimento sociale italiano. Nel 1973 aderì all’appello per la scarcerazione di Guido Viale e nel 1975 pronunciò l’orazione funebre di Tonino Micciché, l’operaio di Lotta continua ucciso da una guardia giurata nel quartiere torinese Falchera.
Per tutto il decennio promosse un seminario annuale di storia contemporanea presso la Galleria civica di arte moderna, consolidando una tradizione di public history avviata dall’associazionismo antifascista nei primi anni Sessanta. La Rivista di storia contemporanea ospitò le prime ricerche documentarie sulla ‘continuità dello Stato’, sviluppò la riflessione su innovazione didattica e interdisciplinarità, si aprì alla storia mondiale, alla storia delle donne e alla metodologia delle fonti orali.
Con il riflusso dei movimenti e l’avvio dell’esperienza del ‘compromesso storico’ tra Partito comunista italiano e Democrazia cristiana, l’impegno civile di Quazza tornò a muoversi prevalentemente nell’ambito della professione: nella promozione e nel consolidamento disciplinare della contemporaneistica, nella trasformazione degli istituti della Resistenza in istituti di storia contemporanea, nell’aggiornamento degli insegnanti e nella riforma universitaria. Seguì gli sviluppi della storiografia sulla Resistenza con innumerevoli prefazioni alle ricerche più innovative. Nel 1990 partecipò alla commissione nazionale incaricata della riforma del magistero, ma il suo progetto di dare vita a una facoltà di scienze umane fallì. Nel 1994, per ragioni di salute, lasciò sia la presidenza dell’INSMLI sia quella del magistero.
Morì a Torino il 7 luglio 1996.
Tra le sue opere, oltre a quelle citate: Origini e aspetti della crisi contemporanea, Torino 1945; La lotta sociale nel Risorgimento. Classi e governi dalla Restaurazione all’Unità: 1815-1861, Torino 1951; La decadenza italiana nella storia europea. Saggi sul Sei-Settecento, Torino 1971; Didattica e ricerca nell’università: l’esempio della storia contemporanea, in La cultura e i luoghi del ’68. Atti del convegno di studi organizzato dal Dipartimento di storia dell’Università di Torino, a cura di A. Agosti - L. Passerini - N. Tranfaglia, Milano 1991, pp. 459-492.
Fonti e Bibl.: Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea Giorgio Agosti, Archivio G. Q.; G. Q. L’archivio e la biblioteca come autobiografia, a cura di L. Boccalatte, Milano 2008; D. Giachetti, G. Q. storico eretico, Pistoia 2015; A. Ballone - P. Cirio, G. Q. Biografia di un impegno, Torino 1995; M. Isnenghi et al., G. Q. Un protagonista della nostra storia, in Italia contemporanea, XLIX (1997), 208, monografico; Q. G., in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, IV, N-Q, Milano 1984, ad vocem.