RENI, Guido
Pittore. Nato a Calvenzano (Bologna) il 4 novembre 1575, morto a Bologna il 18 agosto 1642. Ingegno precoce, dimostrò subito molta attitudine alle arti del disegno, e insieme studiò musica e canto. Protetto dal marchese Bolognini, entrò quasi fanciullo nella bottega del pittore fiammingo Dionigi Calvart, e vi rimase fino al 1595. Non è però da escludere ch'egli ammirasse i Carracci, anche prima di staccarsi dal vecchio ed esigente maestro. I tre concittadini erano venuti in gran rinomanza con le decorazionì a fresco dei palazzi Fava (1582) e Magnani (1589) e con i quadri d'altare. All'aneddoto, secondo il quale Annibale raccomanda a Lodovico di non insegnare troppo al giovane che un giorno avrebbe saputo farlo "sospirare", si può dare un certo valore, ché il R. prometteva molto di sé. Partito per Roma, si fa conoscere prima con copie lodevoli e poi con tele originali. Il Cavalier d'Arpino, aperto nemico al Caravaggio, gli facilita gl'incarichi della corte pontificia e dell'aristocrazia, e i capolavori si succedono a brevi intervalli. Nel 1610 l'artista, guastatosi con il tesoriere del papa, ritorna a Bologna, dove lo raggiunge, per mezzo del cardinale legato, la preghiera di Paolo V di riprendere la via di Roma. Lasciati in tronco i lavori di S. Domenico (1613), l'artista obbedisce ed è accolto trionfalmente a Ponte Milvio. Il secondo soggiorno romano dev'essere notato per la decorazione della cappella Paolina, ma il R., impegnatosi a terminare gli affreschi di Bologna, affretta la partenza per la sua città, dove riceve moltissime commissioni. La Pietà si giudica superiore al S. Matteo di Lodovico Carracci; ed i principi italiani e stranieri desiderano i dipinti del nuovo maestro. Il quale, dopo aver declinato a Napoli il pericoloso onore di decorare la cappella del Tesoro nel duomo, accetta l'invito del cardinale Aldobrandini, che gli alloga la cappella del Santissimo nel duomo di Ravenna (1620). Al 1627 risale l'ultimo e non fortunato viaggio a Roma; la passione del giuoco e le gravi perdite accrebbero i bisogni del pittore che, negli ultimi anni, fu costretto ad abborracciare quadri e quadri danneggiando la propria fama. Morì a Bologna non molto vecchio, e fra i suoi discepoli migliori, che - al dire del Malvasia - erano intorno a duecento, si citano il Lanfranchi, il Cantarini, l'Albani e il Domenichino.
Una primizia è la Vergine in gloria e Santi della pinacoteca di Bologna (1595 circa), che può richiamare l'Assunta del Calvart, conservata nella stessa raccolta, mentre i quattro assistenti in basso si conformano agli esempî carracceschi. Il tentativo di conciliare due metodi contrarî dura poco, e con la copia dell'Elemosina di S. Rocco di Annibale Carracci (Dresda, Galleria) Guido passa deliberatamente a maggior unitezza di forme, sicché la disciplina accademica non lo sacrifica. Le molteplici esperienze del disegnatore vanno dai particolari anatomici ai panneggiamenti e dalle nobili espressioni delle teste alla scelta degli accessorî. Gli archi di trionfo eretti in Bologna per la venuta di Clemente VIII scoprono nel giovane, che sa anche modellare in creta e scolpire, la valentia del decoratore, di cui si succedono i saggi nel Palazzo Pubblico, in altri palazzi privati e nel chiostro di S. Michele in Bosco. Nei primi tempi della dimora a Roma, Guido s'avvicina momentaneamente al Rubens con il Bacco (Firenze, Pitti), ma la sua fama aumenta con la forte Crocifissione di S. Pietro (Vaticano), in cui s'intravvide, specie per il contrasto delle luci, l'influsso del Caravaggio, e con il più spontaneo S. Paolo nel deserto (Berlino, Kaiser-FriedrichMuseum), nel quale la calma Vergine ascolta sopra le nubi il dialogo dei due romiti, reso con vigore plastico e con espressione temperata. La corretta squisitezza del R. ha campo di mostrarsi nel Concerto d'angeli che accompagna il volo dell'Eterno in S. Gregorio Magno (Cappella di S. Silvia). L'affreschista gareggia con il Domenichino rappresentando, nella stessa chiesa, S. Andrea che va al martirio; il movimento delle figure, la varietà del paesaggio e la vita del colore annunziano la celebre Aurora (Casino Rospigliosi) eseguita - secondo i più - alcuni anni prima che s'ultimasse il corpo principale del palazzo. Il giovane Apollo guida in un'aureola ardente i quattro cavalli che si precipitano nell'atmosfera. L'Aurora precede la corsa del Sole, e il Crepuscolo innalza la fiaccola rossa. Intorno al carro danzano leggiadre le sette Ore, che si prendono per la mano con un pieno senso di gioia. La creazione si compie con le linee armoniche e profonde del paesaggio e della marina.
La seconda serie delle opere bolognesi comincia con i Ss. Pietro e Paolo (Milano, Brera) d'una tal maestà, che forse non s'accorda con gli accesi toni dei manti. Lo studio dell'antica Niobe - scoperta nel 1583 - si distingue nella madre in ginocchio, con gli occhi al cielo, che si vede nella Strage degl'innocenti (Bologna, Pinacoteca). Gli episodî drammatici non arrivano a darci il dramma vero e proprio, e le antitesi come i tentativi di collegamento nocciono alla tela indimenticabile per alcuni delicati particolari. La Gloria di S. Domenico, nella chiesa omonima, permise l'ardimento di rilievo che dispiacque ai tradizionalisti dell'epoca; eppure, tra gli eccessi del fare grandioso e gli effetti delle tinte falsate dal tempo, il fine colorista non altera la propria tenerezza nell'effigiare gli angeli. Un altro lavoro che tradisce lo sforzo della composizione inusitata è la Madonna della Pietà (Bologna, Pinacoteca), alta metri 6,77 e larga 3,43, che si volle divisa in due parti; in basso, giganteggiano i santi patroni della città e, in alto, la Vergine, matura e impietrita dal dolore, sorge statuaria sul cadavere del Figlio, con un distacco di linee e di masse, cui la presenza di due morbidi angeli custodi, dalle grandi ali, non toglie la crudezza. Anche i putti che reggono gli attributi dei santi, di qua e di là dal modellino di Bologna, sono le felici incongruenze del pittore. L'Assunta del S. Ambrogio di Genova equilibra l'aggruppamento degli apostoli, maravigliati della scomparsa di Maria con il volo leggiero degli angeli, in mezzo al quale spicca candida, a braccia incrociate, la Vergine in estasi. Fra i quadri mitologici primeggia Deianira ed il centauro Nesso (Parigi, Louvre). L'elegante robustezza delle forme e il contrasto degli spiriti raggiungono poche volte una vivacità così immediata. Nelle Fatiche d'Ercole e nel Ratto d'Elena (ivi) il R. non sa fondere con ugual merito la fantasia con la realtà.
La Madonna del Rosario (Bologna, Pinacoteca) non fa progredire lo stile del bolognese. All'indole del R. s'adattano gli episodî biblici; e rimangono tipici i suoi Crocifissi e le sue Addolorate, ch'ebbero lodi e censure immeritate. L'atletico Sansone (Bologna, Pinacoteca) è un modello classico come Venere ed Amore (Dresda, Galleria) e come il dinamico gruppo di Atalanta ed Ippomene (Napoli, Museo Nazionale) che vibra superando i criterî dell'accademismo plastico. Ignora l'estetica del R. chi non si cura della gentilezza pronta e affettuosa di molti bimbi, Amori e angeli, studiati in disegno e poi coloriti con finezza inarrivabile. Le Maddalene e le Cleopatre poterono dispiacere per il languido sentimento che non le diversifica dalle Lucrezie e dalle Sibille, ma nel R. i pregi compensano largamente le monotone ripetizioni. La sua tecnica compendia il passaggio dai contrasti chiaroscurali violenti ai toni dolci e sfumati che oscillano nei riflessi verdi e grigi. La luce e la luminosità si diffondono sulle belle persone; morbidezza e discrezione vigilano l'artista che s'esprime tenue e limpido, e che disegna come un "purista". Egli dipinge con la coscienza tranquilla, e si tiene della sua arte come d'un privilegio. Prima di sobbarcarsi alla produzione affrettata, che non importa ricordare, l'artista fu versatile e corretto; in lui la sensibilità fu pari al gusto, e sul suo pensiero ebbero scarsa efficacia le restrizioni della Controriforma.
V. tavv. XIX e XX e tavola a colori; per altre illustrazioni v. filippo neri, X, p. 316; italia, XIX, tav. CXIII.
Bibl.: C. C. Malvasia, Felsina pittrice, 2ª ed., Bologna 1841; M. v. Böhn, G. R., Bielefeld e Lipsia 1910; N. Pevsner, Barockmalerei in den romanischen Ländern, Wildpark-Potsdam 1928; V. Costantini, G. R., Milano-Firenze 1928; E. Bodmer, Un capolavoro sconosciuto di G. R., in Riv. d'arte, XI (1929), pp. 73-97; F. Malaguzzi-Valeri, G. R., Firenze 1929; P. Della Pergola, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con ampia bibl.).