GUIDI, Guido Salvatico
Nacque presumibilmente fra 1240 e 1245, unico figlio maschio di Ruggero, figlio di Marcovaldo, e di sua moglie Alena (o Alera), di cui non conosciamo il casato; ebbe due sorelle, Beatrice e Agnese.
Le prime notizie su di lui ci vengono da un breve di papa Clemente IV del 26 ott. 1265 e ce lo mostrano, già armato cavaliere, impegnato in Romagna a mediare una pace a Rimini fra le fazioni dei Malatesta e dei Parcitadi.
Il ruolo militare e politico dovevano essergli derivati dall'avere accompagnato il padre in alcune delle sue ultime missioni al servizio della Chiesa o del Comune di Firenze; e del padre continuò a seguire, anche dopo la sua morte nel 1268, l'orientamento politico filoguelfo.
Nel 1266 il G. fu chiamato come podestà dal Comune di Prato. Con il prevalere dei guelfi, ottenne nello stesso anno un indennizzo di 5000 lire ricavato da beni confiscati ai ghibellini per i danni subiti a Castel Castagnaio e Pratovecchio in Casentino e in altri luoghi che aveva in comune con i parenti ghibellini negli anni successivi al 1260. Nel 1270 fu assoldato dal Comune guelfo di Bologna; qui pare che entrasse in polemica con membri del casato dei signori di Loiano i quali, tesogli un agguato mentre stava recandosi a Imola, lo presero prigioniero presso il ponte S. Lazzaro; tuttavia fu subito liberato dal pronto intervento del podestà di Bologna con una schiera di cittadini armati che avevano giudicato l'aggressione un'offesa allo stesso Comune.
L'anno seguente il G. dovette affrontare la ribellione del castello di Tredozio in Romagna, risolta con la concessione nel maggio, da parte sua e del conte Guido (Guido Pace) Guidi di Romena - con il quale condivideva la signoria su tale castello - di un patto che regolava i rapporti fra i signori e i loro fedeli locali organizzati in Comune rurale. Nel 1272 la morte senza figli legittimi dello zio Guido (Guido Guerra) lo lasciava erede unico e gli consentiva di riunire potenzialmente una buona parte di ciò che era appartenuto al nonno Marcovaldo. Ma la situazione era radicalmente cambiata e il G. dovette soprattutto regolare le pendenze rimaste aperte con Firenze, anche per i numerosi debiti contratti dal padre, dallo zio e da lui stesso con banchieri della città. Così, sul finire dell'agosto 1273, fu siglato un patto in base al quale dietro un teorico compenso di 8000 lire - che in realtà andavano a soddisfare i creditori ed erano raccolte fra gli abitanti dei castelli in questione - il G. cedeva a Firenze non solo ogni residuo diritto o pretesa a lui spettante, come discendente di Marcovaldo, sui castelli già ceduti dai Guidi di Montemurlo, Empoli, Monterappoli, Vinci, Cerreto, ma anche il castello di Montevarchi che, pur formalmente ceduto a Firenze, era in realtà stato tenuto dallo zio e da questo era stato trasformato in una nuova potente terra murata.
Nel 1274 il G. fu per la seconda volta podestà di Prato e l'anno dopo fu impegnato in una serie di scontri in Casentino per interesse personale e a nome della parte guelfa contro gli uomini dei parenti conti di Modigliana. Nel 1277 gli fu affidato il comando di un migliaio di cavalieri assoldati dal Comune di Firenze da inviare in Romagna nel tentativo, sostenuto anche da Bologna, di aiutare i fuorusciti guelfi di Forlì a rientrare in città e prendervi il potere. Mentre nel novembre il G. stava scendendo l'Appennino, i fuorusciti forlivesi, che si erano mossi senza attenderlo, il 14 furono sconfitti presso Civitella dai ghibellini romagnoli guidati da Guido da Montefeltro e dal conte Guido Novello Guidi. Il G., allora, si ritirò precipitosamente verso Firenze. Anche il tentativo di alcuni suoi uomini di liberare degli ostaggi tenuti a Tredozio per conto di Guido Pace Guidi di Romena, allora podestà a Rimini, non riuscì per l'opposizione degli abitanti del luogo.
In una situazione finanziaria che si faceva precaria, dopo aver cercato di ottenere fra 1278 e 1279 dal governo fiorentino il pagamento dei servigi resi dallo zio Guido Guerra, nel 1280 il G. cedette alla famiglia dei Cerchi il suo quarto del palazzo, case e terreni che la famiglia dei Guidi aveva nel complesso in Firenze.
Nel 1281 ratificò la pace fra le fazioni promossa dal cardinal Latino Malabranca ma, in quanto aderente alla parte guelfa, non subì alcuno svantaggio; l'anno successivo, anzi, in virtù della sua posizione politica, il papa gli affidò la custodia del castello di Modigliana, chiesto ai conti Guidi di Modigliana in garanzia del loro passaggio alla parte della Chiesa in Romagna. Quando gli fu affidato tale incarico il G. era podestà a Siena per il primo semestre e probabilmente la custodia del castello fu delegata a qualche suo uomo di fiducia in quanto nel novembre, su proposta del Comune di Firenze, veniva scelto per il comando delle truppe della Lega guelfa in Toscana, anche se a ciò non seguì alcuna iniziativa di guerra. Nel 1284 partecipò con sue masnade all'esercito che i Fiorentini, i Lucchesi e i Genovesi avevano messo in campo per assestare a Pisa un colpo definitivo dopo la sconfitta navale alla Meloria; fu scelto come comandante generale delle truppe fiorentine per l'anno successivo, quando tuttavia - per l'accordo raggiunto con Firenze dal conte Ugolino Della Gherardesca, reggente il governo di Pisa - l'esercito fiorentino si staccò dalla Lega.
Nel 1286 il G. partecipò all'assedio del castello di Poggio Santa Cecilia, dove si erano rifugiati ghibellini e ribelli a Siena, in qualità di alleato appunto del Comune senese, e nel primo semestre del 1288 fu per la seconda volta podestà di tale città. In questa veste ebbe il comando delle forze bolognesi e senesi (solo queste ultime di circa 400 cavalieri e 3000 fanti), con l'aggiunta di proprie masnade, che dovevano muovere agli inizi di giugno in accordo con l'esercito fiorentino contro Arezzo. L'esercito congiunto demolì vari castelli ghibellini nel Valdarno superiore, in particolare quello di Laterina, e si spinse fin sotto le mura di Arezzo. Sulla via del ritorno, però, la colonna senese - separatasi dal resto perché il G. intendeva assalire il castello di Lucignano ribelle a Siena - il 26 giugno cadde in una imboscata presso la Pieve al Toppo, preparata da Buonconte da Montefeltro e Guglielmino dei Pazzi con un corpo di ghibellini, e fu messa in fuga dopo aver perso oltre 500 uomini fra caduti e prigionieri. Il G. riuscì comunque a riparare a Siena e a non subire conseguenze politiche per la sconfitta. Così l'11 giugno 1289 prese probabilmente parte insieme col contingente senese alla battaglia di Campaldino, dove furono sconfitti ghibellini e Aretini, pur non essendo questa volta al comando degli armati.
A seguito della campagna dell'esercito fiorentino contro i castelli casentinesi dei conti Guidi condotta l'anno successivo, il G. potrebbe aver provvisoriamente occupato alcuni castelli appartenenti al conte Guido Novello. P. Cantinelli sostiene, infatti, che nel settembre 1291 il conte Federico (Novello), figlio di Guido Novello, tentò un'incursione in Casentino, forse per riprendere il controllo dei beni sottratti, ma, dopo aver assalito Stia e Castel San Niccolò, sarebbe stato fermato presso Poppi dal G. e da Tancredi Guidi di Modigliana, che era passato al fronte filoguelfo, e nello scontro lo stesso Federico Novello sarebbe morto. Negli anni seguenti il G. fu chiamato, quindi, dal Comune di Firenze a partecipare con suoi uomini alle scorrerie della guerra contro Pisa, il che non gli impedì di entrare nel 1293 in questione proprio con il governo fiorentino in merito alla giurisdizione sul castello valdarnese di Viesca, che per il momento fu decisa in suo favore.
Non abbiamo invece notizie riguardo a una sua partecipazione alle lotte di fazione in Romagna; è possibile peraltro che il legame con Firenze lo portasse a mantenere il suo campo d'azione nell'ambito toscano. In ogni caso, con la pace fra le fazioni del 1299, il G. poté trovare il modo di pacificarsi con il conte Manfredi, secondo figlio di Guido Novello, e di accordarsi per uno scambio, reciprocamente vantaggioso, di beni e diritti in Romagna. Al G. rimasero pieni e indivisi i diritti su Dovadola, Portico, Montauto, Castel Ruggero e altri centri minori, mentre Manfredi aveva in cambio la sua quota di diritti nei castelli di Tredozio, Castel di Collina, Montebovaro e Mesaurese e sul monastero di S. Benedetto in Alpe, oltre a 500 fiorini; è anche possibile che proprio in seguito a questa riorganizzazione il G. e poi il figlio abbiano preso il titolo di conte di Dovadola.
Con la divisione politica interna fiorentina dei guelfi fra bianchi e neri il G. si schierò con i neri, forse per legami con taluni esponenti maturati precedentemente.
In seguito a ciò fu probabilmente impiegato dal governo fiorentino con le sue masnade in azioni militari difensive e scorrerie; nel 1309, chiedendo a papa Clemente V di essere liberato dalle scomuniche che in passato lo avevano colpito, adduceva a suo merito il servizio in armi prestato al governo fiorentino dei guelfi neri in quegli ultimi anni. Considerata l'età, probabilmente doveva trattarsi degli ultimi impegni attivi. In seguito non sappiamo se e quando giunsero anche presso di lui messi di Enrico VII, né se, come sarebbe peraltro probabile dato il rapporto feudale, abbia prestato giuramento di fedeltà a tali inviati.
Sembra però che in effetti la sua alleanza e la sua fedeltà a Firenze, che invece aveva rifiutato ogni accoglienza e sostegno al re dei Romani, vacillassero con i primi successi di Enrico contro Brescia. In ogni caso, quando nel 1312 Enrico fu in Toscana il G. era certamente tornato al suo tradizionale schieramento di campo al fianco di Firenze.
Non potendo scendere personalmente in battaglia, inviò un cospicuo contingente di uomini in aiuto a Firenze assediata dalle forze imperiali; inoltre favorì con propri uomini la presa da parte fiorentina del castello valdarnese di Ganghereto da dove il figlio Ruggero, con Guido Guidi di Battifolle, poté minacciare alle spalle l'esercito di Enrico, per la qual cosa lui e il figlio furono condannati come traditori dall'imperatore, loro signore feudale.
Ritiratosi in uno dei suoi castelli, mentre il figlio Ruggero si distingueva in campo politico e militare, il G. mantenne comunque il proprio prestigio fino alla morte, avvenuta intorno al 1316.
Oltre al figlio legittimo ed erede, Ruggero, lasciava due figli naturali Taddeo e Francesco e, come vedova, Manentessa figlia di Buonconte da Montefeltro, che egli doveva aver sposato in seconde nozze nei primi anni Novanta del Duecento.
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