VILLA, Guido
– Figlio di Francesco e della nobildonna bolognese Silvia Bentivoglio, nacque nel 1585 a Ferrara.
Francesco Villa, patrizio e soldato, fu tra i numerosi uomini d’arme forestieri che, a partire dagli anni Settanta del XVI secolo, militarono nell’esercito riformato da Emanuele Filiberto. Ottenne presto una buona posizione e svolse incarichi diplomatici in qualità di legato sabaudo presso i papi Clemente VIII, Leone XI, Paolo V e Gregorio XV, nonché in Francia, in Inghilterra e in Portogallo. Divenne anche generale di cavalleria: sua era una delle trenta compagnie di cavalleggeri che negli anni Novanta partirono alla guerra di Provenza contrastando l’avanzata del maresciallo François de Bonne de Lesdiguières. Nel 1602, dopo aver partecipato all’impresa di Ginevra, fu insignito dell’Ordine dell’Annunziata e, grazie al consolidamento della sua posizione in seno alla corte sabauda, acquistò i feudi di San Michele, Prazzo e Ussolo.
Come il padre, Guido entrò a far parte del folto gruppo di non piemontesi arruolati nelle file dell’esercito sabaudo e destinati a carriere importanti non solo in campo militare. Entrambi i Villa gravitavano nella sfera dei filospagnoli Este, il ramo collaterale della dinastia ferrarese che si era trasferito a Torino raggiungendo il vertice della sua ascesa con Filippo d’Este, cognato del duca Carlo Emanuele I di cui aveva sposato la sorella legittimata Maria di Savoia. Filippo d’Este, ambasciatore del Ducato di Savoia in Spagna e maggiordomo maggiore dell’infanta Catalina Micaela, rivendicava alcuni diritti alla successione di Ferrara, poi devoluta allo Stato pontificio nel 1598, ma era pure legato a doppio filo agli ambienti curiali in quanto cognato – per il tramite della sorella Sigismonda – di Paolo Sfondrati, fratello di Nicolò Sfondrati (Gregorio XIV). Francesco e Guido potevano dunque contare sull’appoggio autorevole degli Este di San Martino e vantare anch’essi contatti importanti con la Curia romana.
Le prime rilevanti esperienze militari di Villa ebbero luogo durante la prima guerra di successione di Mantova e del Monferrato, a partire dall’aprile del 1613. Insignito del grado di comandante della cittadella di Asti, divenne presto l’uomo di punta del sistema difensivo locale attrezzato contro la piazza spagnola di Alessandria. Villa si trovò a difendere la piazzaforte da due violenti tentativi di assedio: uno si concluse senza troppe conseguenze con il primo Trattato di Asti (1° dicembre 1614); l’altro, guidato da Juan de Mendoza y Velasco, marchese dell’Hinojosa governatore del Ducato di Milano e apparentemente vittorioso per quest’ultimo, si rivelò un grande successo per Villa che, con poco più di seimila uomini, riuscì a tenere a bada i trentamila soldati spagnoli e a contenere i bombardamenti fino a far siglare, in meno di un mese, il secondo Trattato di Asti (21 giugno 1615).
Nel 1615, grazie ai notevoli meriti acquisiti nelle campagne di Monferrato, fu creato marchese di Cigliano (il 22 settembre; Archivio di Stato di Torino, Patenti Piemonte, reg. 37, c. 133) e nel 1618 ricevette da Carlo Emanuele I il collare dell’Annunziata mentre il padre era ancora vivo, «cosa assai rara» (Bianchi, 2006, p. 320). Fra gli episodi di cui fu protagonista si annoverano la scaramuccia di Bistagno dell’aprile del 1615, il sacco di Montiglio del 1617, la riconquista di Vercelli assediata nel luglio del 1618 e tutta una serie di manovre tra Vercellese, Astigiano e Monferrato. Si impose come un esperto organizzatore di spostamenti veloci, di attraversamenti fluviali e di costruzione di ponti di barche smontabili (sui fiumi Po, Tanaro, Sesia e Ticino).
Dopo aver combattuto valorosamente nella guerra contro Genova del 1625, ricevendo in dono vari beni confiscati «per rappresaglia» a vassalli liguri (Archivio di Stato di Torino, Patenti Piemonte, regg. 46-48), nel 1626 fu posto a capo, insieme con il bastardo don Emanuele di Savoia, del corpo ducale delle corazze, formato da sessanta uomini, e nel 1629 acquistò il feudo di Volpiano con il marchesato. Per quest’ultimo anno si dispone della fitta corrispondenza di Villa, che documenta il susseguirsi incessante e stagionale delle sue campagne militari. Sempre dettagliati sullo stato delle truppe – era stato promosso a generale della cavalleria ducale nel 1633 – e sulla disponibilità di rifornimenti, i dispacci di Villa rendono conto dei fronti caldi sui quali, dal 1637 al 1648, si combatté aspramente sia in Piemonte sia in tutta l’area padana. Nel gennaio del 1636 fu artefice della presa di Stradella al confine con il ducato di Milano, con difficoltà di alloggiare le truppe («questi paesi non sono come quegli di V.A.R., ma sono scarsi di vilaggi», da Fiorenzuola, 28 gennaio 1636, Archivio di Stato di Torino, Lettere di Particolari, V, mz. 33) e nell’estate del 1637 orchestrò tutti i movimenti contro l’esercito spagnolo guidato dal marchese Diego Felipe de Guzmán di Leganés lungo le «frontiere del Monferrato e delle Langhe» (ibid., 7 giugno 1637). Base dei suoi spostamenti fu soprattutto la città di Asti della quale ripristinò parte del sistema difensivo («si va travagliando alla cittadella, ma con poca gente», ibid., 12 marzo 1638, a Madama Reale).
Alla belligeranza internazionale si aggiunse presto un drammatico fronte interno. Sul conflitto tra Francia e Spagna si innestò infatti, dopo la morte di Vittorio Amedeo I, la guerra civile scoppiata tra la duchessa e i principi Tommaso e Maurizio di Savoia. Villa fu tra i primi esponenti della corte a schierarsi risolutamente per la duchessa, divenendo uno dei capi del partito madamista e contendendo Asti – schieratasi con i principisti – a Tommaso di Savoia-Carignano. Da Alba, città del Monferrato annessa al Piemonte con il trattato di Cherasco del 1631, impose ai suoi uomini il giuramento di fedeltà a «V.A.R. come a sua madre e tutrice e regiente de’ suoi Stati, et tutti moriranno meco per conservazione di V.A.», come scrisse a Cristina il 5 ottobre 1638. Fra il 22 e il 23 luglio 1639, a Cuneo, sostenne lo scontro improvviso con i soldati piemontesi e spagnoli capeggiati da Tommaso e Maurizio. La città restò alle forze principiste, ma due anni più tardi Villa si trovava nuovamente su quel fronte, presidiato da 1650 uomini fra spagnoli, tedeschi, svizzeri e piemontesi. Suo il merito di aver espugnato, nell’estate del 1641, il forte di Ceva e di aver monitorato con estrema esattezza – caratteristica di tutta la sua voluminosa corrispondenza – lo stato delle truppe nemiche, fornendo alla reggente una sorta di censimento dei nobili suoi nemici.
Prodigo di meriti e di consigli strategici, fu ampiamente ricompensato dalla duchessa e dai ministri di Parigi con stipendi e onori. A suggellare la sua posizione altolocata a Torino, a Parigi e a Ferrara, nel 1641 Guido acquistò in quest’ultima il palazzo dei Diamanti, bene allodiale della dinastia estense, e vi trasferì la quadreria di famiglia come testimonia un inventario dei beni redatto dopo la morte del padre Francesco (1637) con conseguente divisione patrimoniale fra lui e il fratello Giovanni. Con quest’ultimo, spesso impegnato in missioni diplomatiche a Parigi e a Roma, i rapporti furono e restarono ottimi per tutta la vita.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra civile, Villa, che faceva parte della cerchia dei nobili di corte intimi della reggente, entrò a far parte del Consiglio di Stato di Madama Reale, insieme con l’arcivescovo di Torino Giulio Bergera, i due principi cognati Tommaso e Maurizio, il marchese Carlo Simiane di Pianezza, il conte e favorito Filippo d’Agliè e pochi altri esponenti della massima aristocrazia sabauda. Perdurando il conflitto franco-spagnolo sul suolo piemontese, Villa non cessò la sua attività militare. Riavvicinatosi al principe Tommaso, nel 1646 combatté con lui nuovamente sul fronte meridionale del ducato di Savoia, coordinando anche le operazioni delle truppe del maresciallo di campo du Plessy giunto in Italia per dirigersi verso l’Appennino mentre il principe di Carignano, su disegno di Giulio Raimondo Mazzarino, puntava su Orbetello per poi dirigersi verso Napoli e attaccare anche lì la Spagna (da Vado Ligure, come attestano le lettere di Villa, il principe Tommaso aveva imbarcato «sei o setecento fanti et duecento soldati a cavallo» diretti in Toscana per l’espugnazione di Orbetello e dello Stato dei presidi, da Altare, 1° maggio 1646).
Villa non mancava di contenere la disciplina dei suoi uomini specie quando era difficile alloggiarli nel corso di frequenti spostamenti: «Questa gioventù qui è impaziente di menar le mani contro spagnoli, il calore gli ha trasportati a batersi fra loro. Io gli ho cridato assai, ma essendosi mostrati tutti tanto generosi, gli ho acomodati e saranno più savii al avenire» (a Madama Reale, da Isola d’Asti, 21 luglio 1646). Aveva, d’altra parte, ben chiara la complessità giuridico-territoriale dei domini sabaudi, consigliando alla reggente di chiudere un occhio nei confronti dei feudatari imperiali dislocati lungo «le frontiere delle Langhe», delle quali occorreva non perdere «il core» e conservare il passaggio («quei paesi vanno governati con le pratiche et guadagnarli i cori e non iritarli e le leggi e i rigori della giustizia non si confanno con le ragioni di Stato et vi vanno destrezze et armi, e non libri», da Annone, 6 agosto 1646).
Costantemente assillato dal problema dell’approvvigionamento delle truppe («Io mi ritrovo qui come quel padre di famiglia che ha molti figlioli et non ha pane da dargli et per fargli passare l’apetito e sviarli un poco, piglia un violino e li fa danzare», a Madama Reale, da Asti, 13 gennaio 1647), Villa continuò la guerriglia tra l’Astigiano e l’Alessandrino per tutto il 1647. L’anno successivo il teatro militare si ampliò, interessando i domini lombardi per via del maggior coinvolgimento del duca di Modena Francesco I d’Este, alleato della Francia, desideroso di riconquistare Ferrara e occupare Cremona. Fu quello l’ultimo fronte di Villa, che visse intensamente da soldato fino alla fine.
Il 23 agosto 1648 scrisse dal campo cremonese che restavano solo cento sacchi di grano mentre il nemico premeva minacciosamente da Pizzighettone. Il giorno dopo, il 24 agosto, fu colpito e ucciso da una cannonata. Fra i primi a comunicare la notizia della morte del padre in battaglia fu il primogenito Ghiron Francesco, che ne aveva seguito le orme in tutto e per tutto: «Con mio estremo disgusto do parte a V.A.R. che ha perduto un fedelissimo et devotissimo servitore. È morto d’un colpo di cannone il marchese mio padre, né io so trovar altra consolazione in questa disgrazia che mi trafigge l’animo se non considerare ch’è morto in servigio di questa Casa Reale» (Archivio di Stato di Torino, Lettere di Particolari, V, mz. 29, 26 agosto 1648 da Asti).
Alla morte «stava per ricevere il bastone di maresciallo di Francia» (Manno, 1895-1905, p. 230). Le esequie furono celebrate (anche) a Ferrara. Lasciò eredi i figli avuti dalla consorte Anna Delibera Valperga di Masino, esponente di una delle più antiche famiglie dell’aristocrazia sabauda, grazie alla quale aveva acquisito numerosi beni feudali nella zona di Chieri, dove spesso si ritirava in vita.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, V, mzz. 33, 34, 35; Sez. Riunite, Patenti Piemonte, regg. 33, c. 127, 34, cc. 138, 204, 37, cc. 133-134v, 46, c. 211, 48, c. 211v.
Successi del mondo. Gazzette del signor Pietro Antonio Socini, Torino, 12 aprile, 29 luglio, 12 agosto, 2 settembre 1645, 31 marzo, 22 agosto, 15 settembre, 6 dicembre, 31 dicembre 1646, 18 gennaio, 16 aprile, 13 maggio, 16 maggio, 4 luglio, 18 luglio, 22 luglio, 29 luglio 1648; L. Legati, Museo Cospiano annesso a quello del famoso Ulisse Aldovrandi..., Bologna 1677, p. 93; G.B. Adriani, Memorie della vita e dei tempi di monsignor Giovan Secondo Ferrero-Ponziglione referendario apostolico, primo consigliere e auditore generale del principe Cardinale Maurizio di Savoia..., Torino 1856, p. 353; A. Manno, Il patriziato subalpino, Firenze 1895-1905, XXVII, p. 230; L.C. Bollea, Una fase controversa della guerra di successione del Monferrato (aprile-giugno 1615), Alessandria 1906, passim; C. Rosso, Il Seicento, in P. Merlin et al., Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, VIII, 1 in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, VIII, 1, Torino 1994, pp. 171-267 (in partic. pp. 190 s., 249); C. De Consoli, Al soldo del duca. L’amministrazione delle armate sabaude (1560-1630), Torino 1999, pp. 153, 187 nota, 188, 320; P. Bianchi, Onore e mestiere. Le riforme militari nel Piemonte del Settecento, Torino 2002, p. 38; Id. - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d’antico regime, Milano 2002, pp. 162, 164 s., 167; P. Bianchi, Una riserva di fedeltà. I bastardi dei Savoia fra esercito, diplomazia e cariche curiali, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna, a cura di P. Bianchi - L.C. Gentile, Torino 2006, pp. 305-360 (in partic. p. 320); P. Merlin, La struttura istituzionale della corte tra cinque e seicento, ibid., pp. 285-304 (in partic. p. 298); B.A. Raviola, 1613-1797. Asti e il suo territorio in età moderna, in Nella città d’Asti, in Piemonte. Arte e cultura in epoca moderna (catal., Asti), a cura di A. Marchesin et al., Genova 2017, pp. 47-69, 50, 54-57.