GUIDO
Duca di Spoleto e marchese di Camerino, quarto di questo nome; figlio di Guido (III), nacque presumibilmente tra l'870 e l'875. Non successe immediatamente al padre, morto tra la fine dell'882 e l'inizio dell'883, poiché il prozio Guido (II), che in precedenza governava solamente la Marca di Camerino, successe anche nel Ducato di Spoleto. Guido (II) cedette il Ducato a G. o verso il marzo dell'888, quando divenne re dei Franchi occidentali, oppure verso il febbraio dell'889, quando fu incoronato re d'Italia. La prima data è la più probabile, in quanto Liutprando scrive che Guido (II), appena tornato dalla Francia, ricevette i Camertini e gli Spoletini come "propinqui"; egli, pertanto, doveva avere già ceduto il governo al nipote. Occorre però ricordare che Liutprando scrive a notevole distanza di tempo dai fatti e che per questa ragione la sua indicazione è da accogliere con cautela.
Appare difficile proporre una valutazione di G. che, proprio come il padre, sembra muoversi nell'ombra di Guido (II). Del resto non è pensabile che quest'ultimo, avendo ceduto il governo del Ducato di Spoleto solo per aspirare a più alti destini e per rassicurare il pontefice, non continuasse a esercitare di fatto il controllo di quel territorio. Solamente nell'895, dopo la morte di Guido (II), G. compare attivamente sulla scena politica quando intervenne in Puglia (Catalogus regum, p. 496). In quell'anno infatti, come fedele alleato dell'imperatore Lamberto, che era cugino di suo padre, e della madre di questo Ageltrude, G. tentò di conquistare all'Impero e al Ducato di Spoleto le province longobarde dell'Italia meridionale.
L'inserimento nelle questioni relative alle terre del Sud era ormai tradizionale nella casa di Spoleto, che cercò sempre di imporvi la propria egemonia e di ottenervi un ampliamento del territorio soggetto. La presenza sulla scena politica dell'imperatrice Ageltrude, originaria della casa ducale beneventana, dava all'operazione anche il placet imperiale.
Nell'agosto 895 G., che era cognato del principe di Salerno Guaimario (I; marito di sua sorella Itta), riuscì a cacciare da Benevento i Bizantini, che avevano preso la città nell'891. Verso la fine dell'anno Guaimario, ritenuto dai suoi sudditi instabile e crudele, si recò presso il cognato per chiedergli aiuto nel portare ordine nelle sue terre. Durante una sosta ad Avellino fu catturato con l'inganno dal gastaldo Adelferio che lo fece abbacinare, forse precedendo un tranello che lo stesso Guaimario gli aveva teso. G. pose allora Avellino sotto assedio, obbligando Adelferio (che si rifugiò a Capua) a consegnargli il cognato. Poi tornò a Spoleto, lasciando l'intero territorio in preda a lotte dilanianti.
La fortissima ingerenza di G. nell'Italia meridionale, culminata nella conquista di Benevento, dovette rappresentare uno tra i principali motivi per i quali papa Formoso, che fino a quel momento aveva sostenuto l'imperatore Lamberto, Ageltrude e G., mutasse improvvisamente partito chiedendo l'aiuto del re di Germania Arnolfo. Evidentemente il papa dovette temere che la riunificazione del Ducato di Spoleto con l'Italia meridionale longobarda, entrambi posti sotto l'egida di Lamberto, potesse costituire una seria minaccia per la sopravvivenza del Patrimonio di S. Pietro, riproponendosi dopo tanto tempo il timore del "cattivo vicino" longobardo. Questo rovesciamento della condotta pontificia è dimostrato dalla successione delle date poiché, dopo che G. fu entrato a Benevento, nel mese di agosto, già in settembre i messi del papa raggiunsero Arnolfo. Questi si precipitò a Roma, obbligando Lamberto e Ageltrude ad allontanarsi dalla città.
In seno all'aristocrazia romana era presente un gruppo filospoletino, coalizzato intorno alla figura di Ageltrude. Morto Formoso il 4 apr. 896, il suo successore Stefano VI fece celebrare un sinodo, durante il quale il cadavere del papa defunto fu esposto al pubblico, interrogato e condannato.
Di solito gli storici tendono ad attribuire proprio ad Ageltrude e a Lamberto, rientrati a Roma, l'iniziativa di questo "sinodo del cadavere", che avrebbe rappresentato una sorta di macabra vendetta contro il pontefice che li aveva traditi. Gli studi di Girolamo Arnaldi hanno però chiarito come tale evento, simbolicamente epocale nella storia di Roma, vada riferito essenzialmente alle lotte tra le fazioni interne alla città.
È certo che Lamberto e sua madre non impedirono la celebrazione del sinodo, ma neppure lo progettarono; è invece possibile che G. vi abbia giocato una parte, portando alle estreme conseguenze simboliche la propria politica, tradizionale dei duchi di Spoleto, letta come contrapposizione frontale nei confronti del papa. Certo è che egli si trovava a Roma nel periodo del "sinodo del cadavere" per incontrare i suoi parenti.
Proprio nei dintorni di Roma, su un ponte del Tevere, G. fu ucciso nel marzo dell'897.
L'autore del delitto, Alberico di Spoleto, era un suo vassallo franco, già comparso alla storia quando aveva aiutato Guido (II) alla testa di un contingente di 100 camertini, durante la battaglia del Trebbia (889). Alberico doveva avere intessuto anche un vincolo di parentela con G., poiché nella glossa ai Gesta Berengarii che ci dà la notizia dell'omicidio è detto suo compare. Come il "sinodo del cadavere" anche questo delitto, immerso nelle nebbie delle oscure e intricate vicende di quel tempo, si può giustificare sia in relazione ai contrasti interni al Ducato sia, e ancor di più, valutandolo in rapporto con gli equilibri e disequilibri presenti nell'aristocrazia romana. Infatti la morte di G. avrebbe portato il Ducato di Spoleto e la Marca di Camerino nelle mani del suo uccisore che, sposando Marozia figlia di Teofilatto, avrebbe dato origine alla prima dinastia di signori laici a Roma. Si è pensato che la Marca di Camerino fosse già nelle sue mani all'atto dell'omicidio (Gasparrini Leporace, p. 31), ma la cosa non è affatto probabile (Arnaldi, 1960, p. 658), né risulta che Spoleto e Camerino si fossero nuovamente scissi dopo la riunificazione avvenuta nell'882-883 per opera di Guido (II). Anche l'informazione contenuta nel Catalogus regum, (pp. 494 s.), secondo la quale G. sarebbe stato ancora in vita nell'agosto 897, è da considerarsi errata. Infatti già il 31 marzo o il 1° apr. 897 Ageltrude affidava Benevento e il Ducato, in nome dell'imperatore, a suo fratello Radelchi, che in questo modo successe a Guido.
Fonti e Bibl.: Chronicon Salernitanum, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1848, p. 544; Chronica S. Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, ibid., Scriptoresrer. Lang. et Ital. saec. VI-IX, ibid. 1878, p. 488; Catalogus regum Langobardorum et ducum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 494-496; Gesta Berengarii imperatoris, a cura di P. de Wirtenfeld, ibid., Poëtae Latini aevi Carolini, IV, 1, Berolini 1899, p. 372 vv. 28-30; Liutprandus Cremonensis, Antapodosis, a cura di J. Becker, ibid., Script. rer. Germanicarum, XLI, Hannoverae et Lipsiae 1915, p. 18; Leo Marsicanus, Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, ibid., Scriptores, XXXIV, Hannoverae 1980, p. 615; Liber largitorius vel notarius monasterii Pharphensis, a cura di G. Zucchetti, in Regesta chartarum Italiae, XI, Roma 1913, pp. 67-70 docc. 71-74; Monumenta onomastica Romana Medii Aevi, a cura di G. Savio, II, Roma 1999, pp. 854 s.; H. Müller, Topographische und genealogische Untersuchungen zur Geschichte des Herzogtums Spoleto und der Sabina von 800 bis 1000, Greisonwald 1930, ad ind.; E. Gasparrini Leporace, Cronologia dei duchi di Spoleto (529-1230), in Bull. della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria, XXV (1938), pp. 30 s.; G. Arnaldi, Papa Formoso e gli imperatori della casa di Spoleto, in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Napoli, IV (1951), pp. 96, 103 s.; Id., Alberico di Spoleto, in Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 657 s.; E. Hlawitschka, Die Widonen im Dukat von Spoleto, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXIII (1983), pp. 80 s., 90 s.; P. Cammarosano, Nobili e re. L'Italia politica dell'Alto Medioevo, Roma-Bari 1998, pp. 209 s.; Lexikon des Mittelalters, IX, coll. 69 s., 72-74.