GUIDOTTO da Bologna
Autore di incerta identità, forse maestro di retorica, vissuto nel secolo XIII. Il suo nome ci giunge attraverso una famiglia di codici del Fiore di rettorica, rielaborazione in volgare della Rhetorica ad Herennium. L'opera si presenta aperta da un proemio in cui, parlando in prima persona, un "frate Guidotto da Bologna", nome anticipato nella formula attributiva recata dall'intitolazione, si dice autore del libro e lo dedica a re Manfredi di Sicilia. È oggi acquisito, grazie al lavoro di Speroni, editore critico del Fiore, che è questa la quarta e ultima redazione del testo (preceduta da due di Bono Giamboni, poi da una terza anonima) di cui il frate bolognese risulta dunque non autore ma rielaboratore. I termini cronologici dell'opera guidottiana sarebbero da identificare con gli estremi del regno di Manfredi (1258-66).
Le opzioni identificative relative a G. sono a tutt'oggi varie e incerte. L'unica di esse sicuramente riferita al rielaboratore del Fiore, e dunque la prima da discutere, è quella implicata dal frontespizio dell'opera nella tradizione a stampa: il "frate Guidotto da Bologna" della tradizione manoscritta diviene "Maestro Galeotto da Bologna" nei quattro incunaboli censiti da Speroni e da lui siglati S1, S2, S3, S4 (cfr. anche Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, 2975, 2976; Short-title Catalogue of books printed in Italy… from 1465 to 1600 now in the British Museum, p. 183), e poi, nella stampa curata dal naturalista e linguista Ovidio Montalbani, "Cavaliere fr.[ate] Galeotto Guidotti Nobile Bolognese" (Bologna, Eredi del Dozza [Carlo Manolessi], 1658, siglata nell'ed. Speroni S5), intitolazione che il curatore dice d'aver tratto dalle stampe di centottant'anni prima, cioè dagli incunaboli datati al 1478, che avrebbero recitato "Comicia la elegantissima dottrina delo excellentissimo Marco Tullio Cicerone chiamata retorica Nova traslata di Latino in volgare per lo eximio Maestro de l'arti liberali Fra Galeotto Guidotti Nob. cav. da Bologna l'anno del Signore 1257". Sussistendo in linea di principio la possibilità che nelle stampe si conservi una eventuale più ampia formula attributiva recata da codice ignoto o deperdito, la testimonianza dev'essere attentamente valutata.
Secondo Speroni (p. CXVI) nelle stampe si sarebbe avuta, "senza motivo", una trasformazione del nome di G. in quello di Galeotto Marzio: ma il nome di questo noto umanista nativo di Narni, non cognominato Guidotti e quasi sempre accompagnato dall'aggettivo "Narniensis", non ha nulla a che vedere con quello del "Cavaliere Frate Galeotto Guidotti […] Bolognese" in questione, d'altronde esplicitamente presentato nella stampa del 1658 come membro dell'antica famiglia bolognese dei Guidotti, nonché antenato del dedicatario della stampa, Saulo Guidotti, docente di diritto e senatore della città. Da un lato, dunque, la formula attributiva pare il frutto di quella pratica falsificatoria volta ad assorbire tra i capostipiti delle grandi famiglie bolognesi personaggi celebri, intensamente attestata a Bologna in epoca cinquecentesca e in questo caso atta a fornire un'illustre ascendenza duecentesca al ruolo, dinastico per i Guidotti, della docenza universitaria. La fissazione di questa genealogia "accademica", cui Sarti aderisce dubitosamente in assenza di prove documentarie, è chiarissima nella lista di illustri docenti di Mazzetti, ove G., definito addirittura, con probabile autoschediasma ispirato dalla dedica a Manfredi contenuta nel prologo dell'opera, consigliere del sovrano, è registrato sotto il nome di Galeotto Guidotti, a precedere di poco il medaglione di Saulo. Ad aggravare il sospetto di falsificazione c'è poi il fatto che lo stesso Montalbani non dà alcuno spazio alla tradizione di cui è artefice o scopritore in un'opera dedicata agli ingegni bolognesi precedente la cura del testo guidottiano (Minervalia Bononiensium civium anademata, Bononiae 1641), ove G. non è menzionato. È indubbio d'altro canto che il nome e le qualifiche date al frate da Montalbani procedono concretamente dalla tradizione testuale del Fiore in modo da unificare e razionalizzare la doppia tradizione onomastica relativa a G. (il "frate Guidotto" dei codici e il "maestro Galeotto" delle stampe), fusione embrionalmente testimoniata dalla pratica cinquecentesca di attribuire a G. i due titoli di maestro e frate, e la compossibilità dei due nomi (Salviati: "Padre Maestro Guidotto, o Galeotto da Bologna"), poi sopravvissuta alla sistemazione di Montalbani (per es. G. Lami, Catalogus codicum manoscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur, Florentiae 1756, p. 227: "Guidotto, o Galeotto da Bologna, Fra"). Nella stampa del 1658 il nome Guidotto dato dalla tradizione manoscritta si risolve in cognome; stante l'oscillazione antica tra la forma cognominale al nominativo e quella al genitivo, esso poteva materialmente coincidere col nome di famiglia dei Guidotti. È indubbio insomma che la formula attributiva del 1658 sia reintegrata degli elementi provenienti dalla tradizione manoscritta e sconosciuti alle edizioni precedenti; i forti indizi d'una riorganizzazione del materiale onomastico operata in gloria della famiglia Guidotti non danno alcuna certezza in merito al fatto che Montalbani ricevesse l'intitolazione - o gli elementi che la compongono - da fonte secondaria (come Salviati) e non da uno dei "manoscritti di quarantaquattro lustri" di cui parla nella prefazione. Troppi elementi mancano poi per stabilire se, come sospettò Tiraboschi, il nome Galeotto sia una corruttela di Guidotto generatasi in un qualche passaggio testuale, magari dai codici alle stampe; a tal proposito si può solo notare che l'unica variante del nome di G. attestata dalla tradizione manoscritta è la formula attributiva "frate Johanni doctore da Bologna" nel ms. di Napoli, Biblioteca nazionale, XIII.H.44. La tradizione recepita o creata dalla stampa di Montalbani fu valorizzata specie dagli autori locali (Orlandi); anche chi accolse, a partire da Tiraboschi, l'ipotesi che la congiunzione dei nomi Galeotto e Guidotto fosse opera di Montalbani continuò a ritenere plausibile l'appartenenza di G. alla famiglia Guidotti: così Fantuzzi (p. 343), che lo identifica con un Guidotto di Martino Guidotti, marito di Bonvecina d'Andrea Pollicini, che nel 1307 fu bandito ed ebbe tre figli, di cui il minore, Francesco, fu anch'egli frate gaudente. L'identificazione fu poi sposata senza ulteriori prove da Gazzani.
Anche in merito alla qualifica di frate, che G. dà a se stesso nel proemio dell'opera, si avvicendarono varie ipotesi. Montalbani lo aveva detto, forse per omologarlo alle tradizioni familiari dei Guidotti, cavaliere di Malta. Lo troviamo poi inserito nel repertorio degli scrittori domenicani di Quétif - Échard, ma in una forma assai dubitativa e senza esplicita motivazione. Mehus opinò che tale inserzione fosse basata su un capolettera miniato del ms. II.iv.127 della Biblioteca nazionale di Firenze, proveniente dal convento servita di S. Annunziata (effettivamente citato in Quétif - Échard, ma senza alcuna menzione dell'immagine) in cui G. è raffigurato "alba indutum tunica ac pallio circumdatum cinericio". Proprio su questa base Mehus respinse l'ipotesi che G. fosse un domenicano per rivendicarlo invece ai gaudenti bolognesi, detti cavalieri di S. Maria Gloriosa ("At non dominicanorum, sed Fratrum Gaudentium Ordini, qui sub titulo Militum Sante Marie Bononie vigebat, nomen dederat Guidottus", p. clviii), senza denunciare il fondamento dell'affermazione, che è, forse, semplicemente la coincidenza della veste riprodotta nella miniatura con quella dei gaudenti, "bianca, con un mantello bigio" (G. Alidosi, Li cavalieri bolognesi di tutte le religioni et ordini, Bologna 1616, p. 19), piuttosto che con quella bianca e nera dei predicatori. Tra i gaudenti G. è poi registrato, senza ulteriore prova, da Federici. Va detto che nel prologo del Fiore G. dice di aver voluto diffondere la retorica in traduzione volgare, com'è proprio della categoria dei laici ("volgarezzare di latino in nostra loquenzia, siccome appartiene al mestiere de' ladici, volgarmente"): non è chiaro anzitutto se tra i laici cui accenna egli includa se stesso o i soli destinatari del volgarizzamento; in secondo luogo, se la tradizione dell'appartenenza di G. a ordine aperto ai laici cui dà voce Mehus si fondi, come una sorta di autoschediasma, sulla traccia offerta dal prologo, o se quest'ultima vada invece interpretata - nel caso in cui G. tra i laici ponga se stesso - come una conferma alla veridicità della notizia di Mehus.
Agli inizi del Novecento Zaccagnini tornò sull'argomento e ritenne anzitutto da respingere per assenza di prove i due elementi di fondo della tradizione biografica cinque-settecentesca: che G. fosse appartenuto ai Guidotti, famiglia in cui non si trovano frati utili all'identificazione (il Guidotto di Martino di cui parla Fantuzzi, esule nel 1306, gli pare troppo tardo per aver dedicato un'opera a Manfredi morto nel 1266), e poi che fosse stato domenicano; ovviamente il rifiuto di questa tradizione, formulabile, come si è già notato, solo su base indiziaria (quella dell'assenza di riscontro documentario alle notizie tradite) lascia in realtà questa materia ancora sub iudice. Lo studioso, quindi, a partire da documenti d'archivio, reimpostò la questione nei termini in cui essa si pone ancor oggi. Un documento del cartolario dell'Università di Siena del 1278 accoglie una pubblica petizione perché presso lo Studio sia chiamato un "magister […] frater […] Guidoctus de Bononia" a insegnare grammatica e retorica (Chartularium, n. 32, 3 sett. 1278, delibera del Consiglio generale per la condotta "magistri Guidocti de Bononia, doctoris gramatice discipline et rectorice artis" sulla base d'una petizione presentata da "plurimi de civitate Senensi, tam domicelli quam tabelliones et alii iuvenes", desiderosi di "aderere scientiarum facultatibus, alii scilicet gramatice, alii rectorice, et perorationibus, sive arengis"; a tale docenza G. è chiamato in quanto "predictis omnibus edocendis frater Guidoctus de Bononia reperiatur sufficiens"). Risulta che questo maestro abbia tenuto i suoi corsi, nel 1278, presso la chiesa di S. Cristoforo (Prunai, p. 75; era comune in quei tempi, in cui il neonato Studio non aveva ancora una sede, che i maestri leggessero in case private o chiese). Altri cinque documenti di corresponsione di stipendio da parte dello Studio senese sono riferibili a G. (nn. 30, 33: luglio-ottobre e dicembre 1278, "fratri Guidocto de Bononia"; nn. 42, 44, 48: maggio-giugno, dicembre 1281, giugno 1282, "fratri Guidocto, magistro rectorice"). Questo maestro è il personaggio con cui sussistono maggiori probabilità di identificare G.: la collocazione senese del suo magistero si lega assai bene, come si dirà meglio, con la dedica a Manfredi contenuta nell'opera.
Bruni ha individuato una certa corrispondenza tra la menzione, nella delibera comunale, del valore anche pratico-oratorio ("perorazioni e arenghe") dell'insegnamento di G. e il concreto impianto del Fiore di rettorica, effettivamente più centrato su questo aspetto che su quello della composizione scritta. La differenza tra il Fiore e la Rettorica di Brunetto Latini è secondo Bruni proprio nel fatto che questo privilegia l'aspetto del dire (nel proemio G. dice che Manfredi troverà nell'opera che gli sta dedicando "sofficiente et adorno amaestramento a dire"), quella del dittare ("Rettorica èe […] di due maniere: una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio […]; l'altra insegna dittare, e di questa […] tratterà lo sponitore"). Tuttavia la destinazione civile della Rettorica brunettiana implica ipso facto la dimensione oratoria, come molti altri testi del genere, e dunque un'eventuale opposizione tra oralità e scrittura, specie nelle formule del documento senese (la gramatica e retorica da un lato, le perorationes e arengae dall'altro), non andrà intesa in senso troppo rigido.
Colto l'interesse di questo documento, Zaccagnini ha poi individuato quattro frati di nome Guidotto originari di Bologna registrati nei memoriali bolognesi del sec. XIII e ritenuto identificabile con il maestro presso lo Studio senese il frate Guidotto da Fiesso ("dominus Guidottus frater de penitentia quondam dommini Çambonelli de Flesso", memoriale di Ghiberto Guidolini, c. 17v). Nell'atto, del 1276, questi s'impegna con suo figlio Piero per il pagamento a Gisella, moglie del conte di Prendiparte, di 100 lire di bolognini, che essa riceve a nome del figlio Giacobino. Nel documento immediatamente precedente, in cui il conte di Prendiparte, tutore dei suoi fratelli Giovanni, Pietro e Zarlotto, dichiara d'aver ricevuto dal medesimo Piero, figlio di Guidotto da Fiesso, 500 lire di bolognini, Guidotto vi compare col titolo di "magister" ("magistri Guidotti de Flesso"). I due atti sono dunque riferibili al medesimo personaggio, che fu frate penitente e maestro; essendo i da Fiesso una famiglia nobile, la qualifica magistrale non indicherà, osserva Zaccagnini, l'esercizio d'un mestiere manuale, ma la docenza. Due documenti lo provano a Bologna nel 1273 (testimone "dominus Guidoctus quondam Zambonelli" nel memoriale di Giacomo di Benvenuto, c. 243v; Bartolomeo di Prendiparte vende un podere "frati Guidocto quondam filio domini çambonelli de Flexo", il 10 ottobre nello stesso memoriale, c. 243v); a quanto si legge in Zaccagnini risulta vivente ancora l'8 ag. 1282 (vende un terreno insieme con il figlio, memoriale di Domenico di Zacaria di S. Maria in Donis, c. 30r), e morto invece il 29 gennaio dello stesso anno: l'evidente incongruenza, forse dovuta a refuso tipografico, dev'essere verificata sul documento (memoriale di Iacopo da Ozzano, c. 16v, ove compare una "domina Landa, figlia quondam Guidocti de Fleso uxor Petri filii Petri Lambertini de Flexo", che egli avrebbe avuta da una "Aighina filia quandam Boninsegne", la quale fece testamento il 2 maggio 1285, memoriale di Iacopo da Cazano, c. 155v).
La qualifica di frater e quella di magister di Guidotto da Fiesso coincidono con il pochissimo che di G. apprendiamo dal Fiore, mentre la sua presenza a Bologna nel 1276 non contraddice l'insegnamento, testimoniato nel cartolario senese, ch'egli avrebbe svolto a Siena dal 1278, collocabile nel quadro della migratio di docenti bolognesi che sappiamo aver caratterizzato i primordi di questa Università. Insomma, nulla osta al fatto che G. coincida con il "Guidoctus de Bononia" del cartolario senese e che questi a sua volta si identifichi con Guidotto da Fiesso. Anche i pagamenti di stipendio dello Studio senese del 1281 non confliggono con la sua presenza a Bologna nel 1282 come venditore d'un terreno insieme con il figlio Piero. Il fatto poi che Guidotto da Fiesso sia stato un frate penitente di S. Domenico, ordine aperto ai laici che alcuni rivendicano ai predicatori e altri ai gaudenti, si concilia da un lato con la notizia formulata o recepita da Mehus (G. frate gaudente di S. Maria Gloriosa) e dall'altro con la dedica a Manfredi, inconcepibile per un domenicano e plausibile da parte d'un gaudente, membro d'un Ordine di tipo cavalleresco e militare di cui fece parte il ghibellino Loderengo Andalò (osservazione già di Gazzani). L'appartenenza ai gaudenti controbilancerebbe infine l'unico dato del profilo di Guidotto da Fiesso che risulti in sé ostico alla dedica imperiale del Fiore: l'antica e nobile famiglia bolognese dei da Fiesso era di parte guelfa e a questa fazione diede vari membri nei Consigli dei secoli XIII e XIV. Una minore aderenza di Guidotto e del padre Zambonello all'orientamento politico di famiglia sarebbe comunque suggerita, secondo Zaccagnini, dal fatto che nessuno dei due risulta esser stato membro dei Consigli.
Venuto a conoscenza d'una lista di maestri e ripetitori di grammatica in Bologna pubblicata da Livi, ove compare un fra Guidotto da Bologna, con accanto la data 1233-60, Zaccagnini abbracciò in un secondo tempo questa opzione identificativa e ripudiò l'identificazione di G., da lui precedentemente proposta, con Guidotto da Fiesso. In realtà, ammessa e non concessa l'esistenza e l'autenticità del documento pubblicato da Livi, non più rintracciato da Zaccagnini, il maestro ivi menzionato semplicemente come "Guidotto da Bologna" può coincidere con Guidotto da Fiesso almeno quanto il "Guidoctus de Bononia" oggetto della condotta allo Studio di Siena del 1278; il personaggio della lista non oppone inoltre al mantenimento della precedente identificazione alcun ostacolo cronologico. Insomma, non si capisce su quali elementi si basasse la ritrattazione di Zaccagnini, e quindi la sua prima proposta identificativa resta plausibile fino a prova contraria: G. è quasi certamente identificabile con il frate Guidotto da Bologna che insegnò a Siena dal 1278 al 1281; questi fu forse al secolo il maestro e frate penitente Guidotto di Zambonello da Fiesso, che si trovava sicuramente a Bologna nel 1273, 1274 e 1276; ebbe un figlio, Piero, e una figlia, Landa, e morì nel 1282.
Questo quadro biografico si accorda poi con le circostanze compositive dell'opera retorica di Guidotto. Come sottolineato da Speroni (p. xlv), Manfredi si formò a Bologna e fu in stretti rapporti, durante il suo regno, con Siena: sono dunque plausibili le occasioni di contatto tra il rielaboratore del Fiore e il suo regale destinatario, la cui morte costituisce come s'è detto il termine entro cui collocare la composizione dell'opera guidottiana. Poiché essa rielabora il testo già esistente del Fiore (in particolare la seconda e la terza redazione), questo ne costituisce invece il termine post quem; la cronologia giamboniana oggi accettata suggerisce che le prime tre redazioni del Fiore fossero circolanti attorno al 1260, termine dopo il quale andrebbe collocato il rifacimento di Guidotto. La distanza cronologica tra redazione guidottiana (1260-66?) e insegnamento senese (1278-82) del maestro e frate "Guidoctus de Bononia", ritenuta da Bruni di ostacolo all'identificazione, non pare invece comprometterla: nulla impedisce che G. sia stato chiamato a Siena in tarda età; l'ipotesi di Zaccagnini, che individuava il docente a Siena in Guidotto da Fiesso, morto nel 1282, cioè alla fine del periodo senese, confermerebbe questo dato.
L'apporto originale di G. al Fiore si riduce al prologo e ai primi sei capitoli. La digressione proemiale, d'un certo interesse, traccia una sorta di storia della retorica, definita arte d'invenzione ciceroniana, ma tramandata ai posteri da Virgilio, che avrebbe recato a compendio poetico i contenuti della disciplina. L'idea per cui leggendo l'Eneide "invenies in poeta rhetorem summum" (Donato) discende dai commenti tardoantichi, ma non è chiaro donde G. abbia tratto la notizia che il poeta "trasse il grande fascio [della retorica] in picciolo vilume, e recollo in abreviamento", non riferibile, per di più, al poema (impossibile definire più di novemila versi un "piccolo volume"). Delle varie ipotesi formulabili in merito alla concreta fisionomia della rielaborazione due sono conciliabili con i termini 1260-66: la prima possibilità è che un'opera retorica guidottiana, composta ante 1266, di cui fosse sopravvissuto il solo prologo e i primi sei capitoli sia stata poi accorpata al Fiore da un anonimo compilatore, mentre la seconda prevede che lo stesso G. abbia rielaborato seconda e terza redazione del Fiore aggiungendovi la parte iniziale. Può invece comportare uno spostamento in avanti della cronologia l'eventualità che G. abbia rielaborato in anni più tardi, inglobandovi le due redazioni del Fiore, un'operetta da lui composta prima del '66. Ma l'ipotesi più probabile, anche a parere di Speroni (p. xlvi), è la seconda: una rielaborazione effettivamente svolta da G., collocabile grosso modo negli anni 1260-66, cioè dopo la diffusione delle prime tre redazioni del Fiore e prima della morte di Manfredi.
In un codice si trova inoltre attribuito a G. il testo che va sotto il nome di Bestiario toscano (Napoli, Biblioteca nazionale, XII.E.11, sec. XV, c. 1r: "Comincia il libro della virtu e proprieta degli animali ridotto allo spirito per frate Ghuidotto da Bologna. Et chiamato fiore di virtù Maggiore"; il testo del codice è studiato e descritto da Miola) in parte coincidente col bestiario contenuto nel Trésor di Brunetto Latini. È noto inoltre un "abicy disposta per maestro Guidotto", cioè una raccolta paremiografica in distici baciati, di materia devozionale, tramandata da codici tardotrecenteschi o quattrocenteschi. Il nome di Guidotto compare anche nel testo come autore dello stesso ("rimò Ghuidotto e non altro poeta", ms. della Biblioteca nazionale di Firenze II.ii.68, c. 293r), ma in due codici latori d'una diversa redazione il nome di Guidotto è sostituito, in questo verso, da quello di "Giuseppo". Novati restituì la prima redazione della raccolta alfabetica a un maestro Guidotto, forse fiorentino, che ritenne vissuto nel tardo Trecento poiché non anteriori a quest'epoca sono i codici in nostro possesso. Questo non è ovviamente sufficiente a escludere che l'autore possa esser vissuto invece nel sec. XIII e coincidere con G.; tuttavia, se all'età tarda della tradizione si aggiungono l'assenza della qualifica di "frate" e la provenienza bolognese dell'autore, si comprende come né Novati né Sansone formulino la possibilità di identificare l'autore del testo con Guidotto. Questa ipotesi, enunciata, "se non si tratti d'omonimia", da Speroni (p. xlv), è di per sé plausibile, poiché, come testimoniato da varie fonti, i maestri e autori di retorica usavano impiegare e raccogliere "in suis summis plurima proverbia […] ad rudium informationem seu ad sue scientie ostentationem" (Corrado di Mure, Summa de arte prosandi, in Briefsteller und Formelbücher des 11. bis 14. Jahrhunderts, a cura di L. Rockinger, I, München 1863, p. 482).
Edizioni: B. Giamboni, Fiore di rettorica, a cura di G. Speroni, Pavia 1994, pp. 149-152; il bestiario è parzialmente edito in Per nozze Rainone - De Zerbi. Dal libro della virtù e proprietà degli animali ridotto allo spirito per frate Guidotto da Bologna, a cura di F. Ettari, Napoli 1885; i versi paremiografici sono editi in F. Novati, Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana de' primi tre secoli, in Giorn. storico della letteratura italiana, XV (1890), pp. 336-401; poi in G.E. Sansone, Garzo e G. nell'alfabeto paremiografico dell'alessiano, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, I, Firenze 1983, pp. 48 s.
Fonti e Bibl.: L. Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone, I, Venezia 1584, p. 125; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi…, Bologna 1714, p. 125; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana… con le annotazioni del signor Apostolo Zeno, Venezia 1753, p. 122; L. Mehus, Ambrosii [Traversarii] vita in qua historia litteraria Florentina ab anno 1192 usque ad annum 1440, in A. Traversari, Latinae epistolae a d. Petro Canneto… in libros XXV tributae, Florentiae 1759, pp. clvii s.; F. Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori, Milano 1767, I, p. 230; V, pp. 452-454; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, I, Bononiae 1769, pp. 609 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Roma 1783, pp. 404-406; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784, pp. 337-344; D.M. Federici, Istoria de' cavalieri gaudenti, I, Venezia 1789, pp. 328 s.; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi, e moderni della famosa Università, e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1847, p. 172; A. Miola, Le scritture in volgare dei primi tre secoli della lingua ricercate nei codici della Biblioteca nazionale di Napoli, Bologna 1878, pp. 239 s.; A. Gazzani, Frate G. da B.: studio storico-critico con testo di lingua inedito del sec. XIII, Bologna 1885; F. Tocco, Il Fior di rettorica e le sue principali redazioni secondo i codici fiorentini, in Giorn. storico della letteratura italiana, XIV (1889), 3, pp. 337-364; D. Barduzzi, Documenti per la storia della R. Università di Siena, Siena 1900, pp. 14 s.; G. Zaccagnini, Per la storia letteraria del Duecento, in Il Libro e la stampa, luglio-dicembre 1912, novembre-dicembre 1913 (estratto); C. Di Giulio, Il Fiore di rettorica di fra G., la Rettorica ad Erennio e i libri De inventione di Cicerone, Assisi 1914; G. Livi, Dante e Bologna. Nuovi studi e documenti, Bologna 1921, p. 108; G. Zaccagnini, La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna nei secoli XIII e XIV, Ginevra 1926, p. 90; Id., Rimatori e prosatori del secolo XIII, in Archivum Romanicum, XVIII (1934), pp. 344 s.; G. Prunai, Lo Studio senese dalle origini alla "migratio" bolognese (sec. XII - 1321), in Bull. senese di storia patria, LVI (1949), pp. 72, 75 s.; G.B. Speroni, La tradizione manoscritta del "Fiore di rettorica", in Studi di filologia italiana, XXVIII (1970), pp. 5-53; H. Wieruszowski, Politics and culture in Medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 417 n. 3, 619; F. Bruni, Documenti senesi per fra G. da B., in Medioevo romanzo, III (1976), pp. 229-235; J. Quétif - J. Échard, Scriptores Ordinis praedicatorum, I, p. 906; Enc. dantesca, III, p. 330.