COURTOIS, Guillaume (in Italia Guglielmo Cortese detto il Borgognone)
Nacque a Saint-Hippolyte in Borgogna nel 1628 (Pascoli, 1730; ma lo stesso Pascoli, altrove [cfr. Vite de' pittori... viventi] lo dice nato "l'anno Santo 1625").
Fu probabilmente il padre, il poco noto pittore Jean-Pierre, ad avviare alla pittura il C. e gli altri figli Jacques e Jean-François; ma ben poco si sa del periodo giovanile del Courtois. Tutte le fonti parlano concordemente del viaggio in Italia, iniziato nel 1636 circa, dei tre fratelli che passarono per Milano, Bologna, Venezia, Firenze e Siena sino a Roma. Qui il C. sarebbe giunto con i fratelli, per stabilirsi definitivamente, nel 1639-40 e ben presto lo troviamo nella scuola di Pietro Berrettini da Cortona.
I documenti attestano che le prime commissioni al giovane C. vennero da parte di Camillo Pamphili, probabilmente su segnalazione del maestro: nel 1653 dipinse un S. Eustachio, un Buon samaritano, una S. Maria Egiziaca e un S. Agostino in quattro grandi paesaggi di G. Dughet (Garms, Quellen... Doria-Pamphilj..., p. 77; Schleier, 1972, p. 324); nel 1654 fu pagato per alcune pitture per lo stesso committente nel palazzo di Nettuno (ibid.), ma purtroppo i documenti non specificano i soggetti raffigurati. Intorno agli stessi anni, il C. collaborò con il Dughet anche nella sala dei paesi in palazzo Pamphili a piazza Navona a Roma. Anche se non documentato dalle fonti, elementi stilistici e disegni preparatori inducono a ritenere opera del C. le erme maschili e i medaglioni con figure mitologiche dipinti a grisaille nel fregio che incornicia i paesaggi del Dughet (Prosperi Valenti Rodinò, 1976, pp. 30 s.).
La prima commissione pubblica di una certa rilevanza fu offerta al C. da Pietro da Cortona, che lo indicò - unitamente al fratello Jacques - all'ambasciatore veneziano Niccolò Sagredo, intenzionato a decorare la chiesa di S. Marco a Roma, quale suo degno sostituto. Il C. vi eseguì nella navata centrale due scene a fresco, Abdon e Sennen seppelliscono i martiri cristiani e l'Incoronazione di s. Marco papa (e forse una terza: il Martirio dei ss. Abdon o Sennen, già attribuita al Mola); nel coro le due tele laterali all'affresco del Romanelli, raffiguranti la Cattura di s. Marco e il Martirio di S. Marco. Il ritratto di N. Sagredo, conservato in sacrestia, è stato di recente attribuito al C. (Graf-Schleier, 1973) e costituisce un documento della sua rara attività ritrattistica. Nella stessa chiesa dipinse anche i due affreschi laterali della cappella del Sacramento, opera del Berrettini e decorata nella parte superiore da Ciro Ferri. Qui raffigurò Aronne che raccoglie la manna e il Sacrificio di Aronne, oggi molto danneggiati dall'umidità, ma ricostruibili attraverso numerosi studi preparatori conservati nel Kunstmuseum di Düsseldorf e nel Gabinetto nazionale delle stampe di Roma. La datazione di queste opere si aggira intorno al 1653-57, anni a cui P. Dengel fa risalire il restauro radicale della basilica da parte del Sagredo (Palast und Basilika S. Marco..., Rom 1911, pp. 90 ss.).
Sempre all'interessamento del Berrettini, soprintendente della decorazione, si deve la committenza dell'affresco nel palazzo del Quirinale nella galleria di Alessandro VII. L'opera, raffigurante la Vittoria di Giosuè sugli Amorriti, fueseguita nel 1656-57 (Wibiral, 1960) e segnò il debutto e l'affermazione ufficiale dell'artista nel mondo pittorico romano. Nel luglio del 1657 il C. entrò a far parte dell'Accademia di S. Luca insieme al Dughet, e nel 1660 vi fu eletto "primo rettore".
Nel 1658-59 Camillo Pamphili lo incaricò di dipingere uno dei soffitti del suo palazzo a Valmontone, accanto a P. F. Mola, G. Dughet, G. B. Tassi e F. Cozza, che dovevano decorare quattro sale con scene relative ai quattro elementi. Al C. fu affidata la decorazione della "stanza dell'acqua" (cfr. Prosperi Valenti Rodinò, 1976): suddiviso lo spazio in quattro grandi riquadri, entro comici rette da telamoni a grisaille su modello carraccesco, il C. celebrò il Mito dell'Acqua con le scene di Proteo e le Naiadi, il Trionfo di Anfitrite e di Nettuno e Aci e Galatea. Anche questi affreschi, oggi così rovinati a seguito dei danni subiti dal palazzo durante l'ultima guerra, sono ricostruibili in molti casi sulla base dei disegni preparatori conservati soprattutto nel Gabinetto nazionale delle stampe di Roma.
Questo gruppo di opere giovanili presenta caratteristiche analoghe di cortonismo stretto, evidenti in particolare negli affreschi di Valmontone, dove il linguaggio aereo e barocco del maestro viene ripreso nelle sue componenti essenziali. All'interesse per i Carracci, aggiornato sul modello più dinamico del Lanfranco, si fonde la lezione di Pietro da Cortona, compreso a fondo nel suo messaggio barocco e tradotto in un linguaggio esuberante nelle forme e nel colore che rimarrà caratteristico del Courtois. Anche la presenza del Mola, attivo in S. Marco, al Quirinale e a Valmontone negli stessi anni in cui vi lavorava il C., ebbe una certa ripercussione nel giovane artista. E ciò si coglie, ancor più che nei dipinti, nel modo sommario di schizzare le composizioni, molto inchiostrate, nello spiccato senso di pittoricismo che macchia i fogli e arricchisce in senso coloristico le prime esperienze cortonesche.
Si deve probabilmente a questa influenza l'attribuzione al Mola di alcune figurette di personaggi di casa Pamphili affacciati ad una balaustra intenti a far musica, affrescati nella sala del principe dello stesso palazzo a Valmontone. Ma ancora una volta i disegni ed una più attenta analisi stilistica hanno permesso di riferire questo ciclo pittorico al C., che dipinse le figurine su un paesaggio già affrescato dal Dughet (Prosperi Valenti Rodinò, 1976, pp. 37-41).
Dopo il 1659 il C. fu chiamato ad aiutare il fratello Jacques nella decorazione della cappella della Congregazione Prima Primaria dei gesuiti, un piccolo oratorio ricavato in una sala del Collegio Romano attiguo alla chiesa di S. Ignazio. Dopo varie questioni attribuitive, lo Schleier (1970, pp. 12-14) ha chiarito definitivamente la paternità delle scene raffigurate, operando una distinzione convincente fra i due fratelli, ammettendo l'intervento specialistico di Jacques nelle scene di battaglie sugli sfondi. Al C. spettano invece le scene con vittorie riportate per l'intervento della Vergine, e cioè: Eraclio sconfigge le armate di Cosroe, S. Pulcheria, il Trionfo dell'imperatore Zimisches, la Battaglia di s. Luigi re di Francia e Giuliano l'Apostata trafitto da s. Mercurio.
Nella Vergine che appare a Ferdinando di Castiglia e nella Battaglia di Lepanto il C.eseguì con certezza le figure, mentre le scene di battaglia si devono al fratello. L'opera del C. comprendeva anche la decorazione dell'arco sopra l'altar maggiore con il Padre Eterno (oggi distrutto), una Gloria di angeli e i Santi gesuiti Ignazio e Francesco Saverio. L'intero ciclo fu realizzato dal C. dopo il 1659, perché l'opuscolo di M. Sollazzi (La nuova Congregazione Prima Primaria... novamente aperta al Collegio Romano, Roma 1659) ricorda solo gli affreschi realizzati dal fratello: in base a motivi stilistici il Graf (1976, p. 29) propone una datazione attendibile intorno agli anni 1660-63.
Come già nella cappella del Sacramento in S. Marco, il C. divise la decorazione della cappella Cesi in S. Prassede con Ciro Ferri. Mentre il Ferri affrescò le due lunette, il C. eseguì fra il 1661 e il 1663 l'affresco della volta (Padre Eterno, S. Filippo Neri, S. Pasquale papa, S. Firminia, S. Prassede) e le due tele laterali con l'Immacolata che appare a s. Anna e s. Gioacchino e l'Adorazione dei Magi. In queste due ultime opere e nel S. Giovanni Gualberto, oggi in sacrestia, il C. si presenta con uno stile giàpienamente maturo e personale, in cui confluiscono le giovanili influenze cortonesche e le più recenti acquisizioni berniniane.
Sulla base di confronti stilistici con queste tele, lo Schleier (1970, pp. 3 ss.) ha attribuito al C. un'Adorazione dei Magi e un'Adorazione dei pastori provenienti dalla collezione Colonna e acquistati dallo Stato per la Galleria nazionale d'arte antica di Roma, datandoli però al settimo decennio del secolo (I. Faldi, Acquisti, doni... 1962-70, catal., Roma 1970, nn. 9 s.).
Ancora sulla scia dell'influenza del Mola appare il grande affresco raffigurante la Visione di s. Ilario nella quinta cappella della navata sinistra in S. Giovanni in Laterano databile intorno al 1660 circa. Nel gruppo della Trinità, che sovrasta la composizione, è ripresa una forte ispirazione formale dalla nota incisione del Bloemart su disegno del Mola; anche gli studi preparatori delle singole figure, realizzati a gessetti colorati su carta azzurra o avana, documentano un intenso pittoricismo desunto dal Mola. All'incirca a questo periodo si può far risalire l'affresco raffigurante Abacuc visita Daniele nella fossa dei leoni, dipinto nel soffitto del refettorio del convento di S. Maria sopra Minerva, attribuito a G. Gemignani, ma restituito al C. da Graf e Schleier (1971, pp. 800 s.).
È con la realizzazione del dipinto dell'Assunta (1660-61; Golzio, 1939, p. 403) per l'altare laterale di S. Tommaso da Villanova a Castelgandolfo, commissionato dalla famiglia del pontefice regnante, Alessandro VII Chigi, che inizia la collaborazione fra il C. e G. L. Bernini. A partire dagli anni '60 infatti, dopo la morte di Guidobaldo Abbatini, il Bernini scelse come suo decoratore ufficiale il C., affidandogli la parte pittorica delle sue ampie macchine architettoniche.
Dai bozzetti e dai disegni dell'Assunta emerge chiaro come l'ispirazione del C. oscilli ancora fra il Cortona e il Lanfranco. Con il grande affresco che riempie tutta l'abside della chiesa dell'Assunta ad Ariccia, e che raffigura l'Assunzione di Maria incielo in una gloria di angeli e con gli Apostoli in basso, il C. fa sua la componente berniniana che trionfa nella padronanza atmosferica e spaziale delle figure gigantesche. Quest'opera, realizzata fra il 1664 e il 1666 nella chiesa eretta dal Bernini per Alessandro VII, è da considerarsi la più significativa del C. maturo, a lungo studiata e meditata dall'artista come si può ricostruire attraverso i numerosi studi preparatori (cfr. Graf, 1973) conservati a Düsseldorf e a Vienna, e il bozzetto ad olio rintracciato nelle stanze di s. Luigi presso la chiesa di S. Ignazio (cfr. Prosperi Valenti Rodinò, 1977).
Alla piena maturità del C. appartiene anche il dipinto, purtroppo disperso, commissionato dal Bernini en pendant con quello di G. Gimignani sul lato sinistro della cappella Fonseca in S. Lorenzo in Lucina. L'opera, che rappresentava il Re Acab e il profeta Elia sul monte Carmelo, è ricostruibile sulla base di una copia conservata a Düsseldorf (Graf, 1976, fig. 308) e di numerosi disegni preparatori.
Da questi studi scaturisce il forte ascendente raffaellesco della composizione, che riprende spunti puntuali dagli arazzi vaticani e dagli affreschi di Giulio Romano nella sala di Costantino, attualizzati in senso barocco berniniano.
Ancora su commissione del Bernini il C. eseguì la Predica di s. Francesco di Sales per il santuario di Galloro, di cui esiste il pagamento saldato nel 1663 (Golzio, 1939, p. 417; ma il Salvagnini, 1937, p. 164, lo data al 1666), dipinto di qualità modesta che fa pensare ad una larga partecipazione di bottega, e la celebre pala con la Crocifissione di s. Andrea per l'altar maggiore della chiesa di S. Andrea al Quirinale (1668-71), l'opera più rappresentativa e celebre del Courtois.
Accanto alla più evidente componente berniniana, si viene delineando in questi anni una influenza del Maratta, l'artista che operò a Roma intorno alla metà del Seicento la fortunata fusione di classicismo e barocco. L'adesione del C. allo stile del Maratta, documentata dai biografi quali il Pascoli (1730), è particolarmente evidente nella produzione grafica di quegli anni, più morbida e insistita, e nelle dolci fisionomie femminili di dipinti quali la Madonna del Rosario tra i ss. Domenico e Caterina, eseguito su commissione di G. B. Borghese nel 1666 per la chiesa di S. Gregorio a Monteporzio Catone, oppure quelli già citati con l'Adorazione dei Magi e l'Adorazione dei Pastori nella Galleria nazionale d'arte antica di Roma.
Tra il settimo e l'ottavo decennio il C. eseguì numerosi dipinti, ora sparsi in vari musei, in cui affiorano gli stessi caratteri di cortonismo vigoroso, arricchito di componenti berniniane, molesche e marattesche: dal Sacrificio di Isacco (Genova, Galleria Durazzo Pallavicino) alla Fuga in Egitto (New Haven, Yale University Gallery; ne esiste il bozzetto nella collezione Longhi di Firenze), al Buon samaritano (Besançon, Musée des Beaux-Arts) al Ratto di Sara (Greenville, S. C., Bob Jones University Art Gallery), tutti restituitigli dallo Schleier, a due Episodi dell'Eneide e Agar e Ismaele (oggi Roma, coll. Lemme), al S. Sebastiano curato dalle pie donne (Monaco, coll. privata: Graf, 1976, ill. 786), al Mosé e Aronne che chiedono la liberazione dei figli di Israele (Roma, palazzo Altieri).
Sulla base della documentazione dei suoi numerosi disegni pervenutici, conservati in massima parte a Roma e a Düsseldorf, è possibile ricostruire una vasta attività pittorica del C. in questo periodo, oggi purtroppo perduta o ancora da rintracciare. Nel 1669, in occasione della canonizzazione di s. Maria Maddalena de' Pazzi e di s. Pietro d'Alcantara, il C. ebbe l'incarico di eseguire lo stendardo raffigurante la santa - il santo fu raffigurato da L. Baldi - per la basilica di S. Pietro in Vaticano. Questa composizione, visibile in una incisione della tribuna di Pietro Santi Bartoli, è identificabile in un dipinto conservato a Roma in collezione privata (Graf-Schleier, 1973, fig. 32).
L'opera più palesemente berniniana del C. è il dipinto raffigurante il Sangue sparso di Cristo per la chiesa romana di S. Agnese in piazza Navona, oggi disperso, commissionatogli nel 1671 (Quellen... Doria-Pamphilj…, p. 85, n. 360) e di cui esistono ricevute di pagamento del 1672 e '73 (Golzio, 1933-34): anche se contestata da alcuni studiosi (Martinelli, 1950; Fagiolo, 1967), altri (Schleier, Enggass, 1979; Prosperi Valenti Rodinò) ritengono che il bozzetto ad olio di tale soggetto della collezione Giocondi Forti di Roma sia da attribuire al C. e non al Gaulli o allo stesso Bernini, e sia da mettere in rapporto con questa commissione. La scena si attiene strettamente alla celebre composizione incisa dallo Spierre, che tanta diffusione ebbe alla fine del sec. XVII.
Tra le opere tarde, le fonti ricordano la decorazione, perduta, della cappella di palazzo Altieri a Roma, con Storie della Vergine. Èprobabile che anche questa commissione risalga al Bernini, impegnato nel 1674 nella ristrutturazione del palazzo per ordine di Clemente X. Caratteri berniniani e gaulleschi rimangono peculiari dell'ultima attività del C. e contraddistinguono tanto la Vergine col Bambino e i ss. Carlo Borromeo, Filippo Neri, Domenico e Felice, dipinto nel 1677 su Commissione di Domenico Altimani nella chiesa della SS. Trinità de' Pellegrini, (M. V. Brugnoli, Attività della Soprintendenza alle gallerie del Lazio [catal.], Roma 1969, n. 32), quanto il Cristo in casa di Marta e Maria dipinto fra il 1678 e il '79 per l'altare maggiore di S. Marta al Collegio Romano (oggi nel convento dei SS. Quattro Coronati).
Al periodo giovanile risale l'attività grafica del C. come incisore all'acquaforte: sicuramente sua è Abdon e Sennen seppelliscono i martiri, che riproduce l'affresco in S. Marco, mentre alcune perplessità attributive sorgono riguardo alla Resurrezione di Lazzaro dal Tintoretto (Roma, Calcografia nazionale, cat. 745) e a tre Scene di battaglia siglate "G. C.", nel secondo volume del De bello Belgico di Famiano Strada del 1647, attribuitegli dal Salvagnini (1937, p. 42).Nel corso della sua attività il C. eseguì invece disegni per incisioni tradotti in rame da altri, tra cuil'Annunciazione per il Messale di Alessandro VII, incisa nel 1662 dal Valet; una tesi con l'Arte di prendere le altezze in geometria, incisa dal Bonacina e un'altra tesi di Teologia incisa dal Clouvitet e dedicata a Giovanni Casimiro II di Polonia.
Il C. morì a Roma il 15 giugno 1679, lasciando quali allievi gli sconosciuti Jean-Blaise Chardon e Antonio Dupré (cfr. Bousquet, 1980, pp. 80 ss.).
Fu sepolto in S. Andrea delle Fratte, che era la sua parrocchia, dal momento che sin dal 1672 abitava con la moglie Felice Renzi in una casa in piazza di Spagna. Un suo ritratto, opera di ignoto del sec. XVII, è conservato all'Accademia di S. Luca a Roma (cfr. G. Incisa della Rocchetta, Lacoll. dei ritratti d. Accad. di S. Luca, Roma 1979, ad Ind.).
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