BERTANO, Gurone
Appartenente a una famiglia modenese, nacque a Nonantola nel 1499 da Francesco. Destinato alla carriera ecclesiastica, il B., diversamente dal fratello Pietro, che entrò nell'Ordine domenicano, assunse solo gli ordini minori, che abbandonò nel 1535.
A questo definitivo divorzio dalla carriera ecclesiastica egli arrivò in età già matura, dopo un'esperienza di "negozi" al servizio del re d'Inghilterra Enrico VIII, nel corso della quale maturò e si radicò in lui profondamente un'autentica vocazione per la politica, per l'arte tutta mondana del negoziare.
Quando il B. entrò al servizio di Enrico VIII non è noto: nel luglio del 1529 egli figura già come persona di fiducia dei fratelli Gregorio e Giovanni Battista Casale, diplomatici bolognesi che tutelavano gli interessi del re d'Inghìlterra presso le corti italiane, e in particolare presso la S. Sede. Dalla documentazione attualmente disponibile si può dedurre che egli abbia svolto essenzialmente mansioni di corriere tra l'Italia e l'Inghilterra. Una sorta di "cavallaro" di ariostesca memoria, tutt'altro che indifferente, però, all'attività politica vera e propria nella quale si trovò sempre in qualche modo coinvolto. Se nel corso degli anni (almeno cinque, dal 1529 al 1536) trascorsi al servizio inglese non pare che arrivasse mai al rango di agente politico, fece comunque, a quotidiano contatto con il lavorio diplomatico dei Casale, un prezioso apprendistato da cui emerse con una definitiva fisionomia di uomo di negozi.
L'ultimo viaggio del B. in Inghilterraper conto dei Casale è attestato nel gennaio del 1536; nel 1537 era al servizio di Ercole Gonzaga, e si trovava a Roma per "expedire le bolle" relative alla nomina, patrocinata dal Gonzaga, del fratello Pietro a vescovo di Fano.
Servì il Gonzaga perparecchi anni, sebbene non si possa, allo stato attuale delle ricerche, precisare in quali circostanze. Si sa solo che nel 1543 eseguì una delicata missione per conto del cardinale e, soprattutto, del fratello, il governatore dello Stato di Milano don Ferrante Gonzaga, presso la corte di Francesco I.
Certo è comunque che al servizio dell'influente cardinale trovò la via di Roma, di quel mondo curiale e prelatizio attraverso il quale passavano ancora gli interessi e i contrasti della grande politica europea. Era l'ambiente più connaturato a un uomo come il B., che vi gravitò nel corso di tutta la sua lunga esistenza e vi colse i maggiori successi della sua carriera di agente e consigliere politico. Pur continuando a servire il Gonzaga, egli si legò presto ad altri potenti cardinali, prestando anche i suoi servigi a Giovanni Salviati, Guido Ascanio Sforza di Santafiora, Alessandro Farnese.
In questa libera disponibilità al servizio diplomatico, esercitato per conto di questo o quel patrono, si definisce compiutamente la fisionornia storica del B.: classica figura cinquecentesca di agente politico italiano che concepiva l'arte del negoziare come attività autonoma, svincolata da stabili rapporti di dipendenza da un principe o comunque da uno Stato.
La fiducia e la considerazione del Farnese, il cardinale nipote di Paolo III, fruttarono al B. le due missioni diplomatiche più importanti di tutta la carriera.
Il 7 giugno 1546 col trattato di Ardres l'Inghilterra concluse la pace con la Francia, e nel corso delle trattative Enrico VIII manifestò un certo interesse per l'andamento del concilio di Trento. Le ripercussioni in Curia furono immediate: si volle cogliere subito l'occasione per tentare un avvicinamento con la corte di S. Giacomo. Dal Farnese fu scelto proprio il B., quanto mai adatto a condurre una missione del genere per la sua condizione di laico, privo di una specifica veste ufficiale di diplomatico pontificio, e fornito per di più di una notevole esperienza delle cose inglesi e di buoni rapporti con quella corte.
Il 12 giugno 1546 egli arrivò a Parigi e, dopo i primi contatti col nunzio G. Dandino, fu ricevuto da Francesco I al quale dichiarò di voler tentare "per mezzo della S. M.tà recuperare il regno da altri perduto d'Inghilterra" e offrire la mediazione pontificia per il raggiungimento della pace con Carlo V. Sin dalle prime battute il B. ebbe netta l'impressione che il re non intendeva accontentarsi della semplice funzione di mediatore e mirava a controllare tutta la trattativa, con il proposito di far pesare il suo intervento in direzione dei rapporti con l'imperatore, alleato,di Paolo III nella lotta contro i protestanti tedeschi. Di questo atteggiamento francese si rese ben conto il B. che il 28 giugno notificò a Roma il malumore di Francesco I per il persistere dell'alleanza pontificia con Carlo V e la sua riluttanza a togliere ai luterani l'appoggio inglese, favorendo un'intesa con Roma. Vinte le esitazioni del re, che verso il 12 luglio sondò la corte inglese sul desiderio pontificio di iniziare trattative con Londra, il B. poté mettersi in viaggio. Arrivò a Londra il 2 agosto e il giorno dopo l'ambasciatore francese Odet de Selve lo presentò a corte, precisando cautelosamente che il suo re non intendeva "aulchunement prendre le faict dudict gentilhomme en main", se non nella misura in cui conveniva a Enrico VIII. Subito dopo il B. fu ricevuto dal primo segretario di stato sir William Paget che "luy tint long propoz et feist grandz interrogatoyres". Il giorno successivo dovette subire un nuovo pesante interrogatorio del Paget che gli rinfacciò gli intrighi papali per indurre Francia e Impero a portare le armi contro l'Inghilterra. Dopo questo secondo interrogatorio fu ricevuto dal re, ma del colloquio non restano purtroppo testimonianze dirette, dato che quasi tutte le lettere spedite dal B. dall'Inghilterra non sono conservate. Dai dispacci del Selve si può desumere tuttavia che Enrico VIII si dichiarò disposto a sottomettersi a un concilio "pourveu qu'il feust congrégé par authorité de tous les princes chrestiens et que s'y l'on ne voulloyt mectre en France qu'il ne refusoyt poinct d'y envoyer". Almeno questo disse il Paget al Selve, mentre il B. precisò allo stesso Selve "que l'on ne luy parla de remectre le concile en vostre royaulme, mais seullement d'envoyer en vostre dict royaulme gentz lettrés de la part de tous les princes chrestiens, eulx estantz en bonne paix et union pour desmeler ledict négoce avec les depputés dudict roy d'Angleterre" (Correspondance politique…,p. 22). La proposta di Enrico VIII sembrò al B. del massimo interesse e certamente suscettibile di dare l'avvio a una trattativa seria. In questo senso ne scrisse a Roma sollecitando una risposta che aprisse il dialogo. Un tale atteggiamento non trovò corrispondenza nel Dandino, che il 15 agosto accompagnò una lettera del B. alla Curia con una scettica postilla (Arch. Segr. Vat., AA, I-XVIII, c. 103 r). La proposta di Enrico VIII piacque invece molto ai Francesi che, come rilevò il Dandino, "se con questo mezzo potessero tirare il concilio in casa loro, fusse per metterli una grande authorità in mano da potersi acconciare molte cose ecclesiastiche a lor modo, et havere N. S. sotto la loro censura" (Arch. Segr. Vat., Segr. Stato, Francia, 2, c. 247r). Da questo atteggiamento negativo il Dandino sembrò uscire per un momento, allorché vide arrivare a Parigi un inviato di Enrico VIII, il veneziano Francesco Bernardo, venuto con l'incarico di trattare con lui. Se il B. abbia avuto parte nel provocare questa missione non è noto, ma non è da escludere, considerata l'insistenza con cui egli si adoperò in favore della riapertura del dialogo con la corte inglese e della sua conseguente divergenza col Dandino, che senti come un'importante ostacolo al raggiungimento di un accordo. Il Bernardo comunque non ebbe col Dandino miglior successo del Bertano. Il nunzio fece sapere a Roma il 28 settembre di essersi "resoluto scrivere a messer Gurone che se ne torni" (Ibid., AA, I-XVIII, c. 118r). Il punto di vista del nunzio fu accolto integralmente dalla Curia dalla quale il B. attese invano quella risposta tante volte e così calorosamente sollecitata. La sua missione era dunque fallita: il 30 settembre il cancelliere Thomas Wriothesley gli dichiarò che il persistente silenzio di Roma era fin troppo eloquente e che il re non aveva alcuna voglia di trattare con chi tentava solo "to touch his policy, which his Majesty and all his realms and dominions will for ever, as they justly may by God's law, maintain in every part" (Letters and papers…, XXI, 2, p. 101) e gli ingiunse di abbandonare l'Inghilterza su due piedi con la stessa segretezza con cui era venuto. A tale ingiunzione il B. non nascose la sua viva irritazione per l'atteggiamento della Curia, tanto da confessare al Wriothesley che non aveva più voglia di servire il papa e che voleva solo tornare "to his country and live with his wife and children". Il cancelliere lo consolò assicurandogli la continuazione della benevolenza del re; anche all'ambasciatore francese il Wriothesley dette le più ampie assicurazioni sulla condotta irreprensibile del B., precisando che le ragioni dell'improvviso sfratto stavano nel fatto "que dejà quelques ungs de ce pays disoint asses ouvertement que les choses de ce royaulme estoint en terme de se changer et que ce roy se voulloyt accorder avec le pape et telz bruictz estoint dangereux et pouvoint engendrer quelque émotion" (Correspondance politique…, p.38). La stessa giustificazione aveva dato anche al B., che in una lettera del 30 settembre, la sola conservata delle tante spedite dall'Inghilterra, non mancò di esprimere al Dandino tutta la sua aperta indignazione per il comportamento della Curia.
Sulla base della documentazione attualmente disponibile è difficile stabilire se in questa positiva valutazione dell'atteggiamento inglese il B. si trovasse nel giusto o se, invece, si lasciasse prendere la mano dal comprensibile desiderio di valorizzare a tutti i costi la sua missione, forzando i termini di una situazione che, a giudizio del Dandino, non consentiva alcuna speranza di arrivare a un accordo con Londra. è da osservare, tuttavia, che la divergenza tra il B. e il Dandino rispecchiava, in fondo, un modo sostanzialmente diverso di intendere i termini e la natura stessa di un tale eventuale accordo, che per il B. non poteva certo risolversi nella pura e semplice abdicazione di Enrico VIII alla sua politica ecclesiastica. L'impegno estremo con cui egli svolse la sua missione in Inghilterra non sembra comunque essere stato dettato da mera ambizione diplomatica.
Assai poco sensibile, se non del tutto indifferente, a quelle motivazioni di natura essenzialmente religiosa che inducevano uomini come il Dandino a respingere ogni prospettiva di trattative con Enrico VIII, che non mirasse sic et simpliciter "a procurare, anchorché senza armi, la reduttione delle heresie d'Inghilterra, come ha fatto l'imperatore per via della forza quelle di Alemagna" (Ibid., Segr. Stato, Francia, 2, c. 232v), il B. era portato da tutta la sua educazione e dalla sua condizione di uomo di negozi, che nel libero gioco politico trovava la sua ragione di vita, a contrastare ogni atteggiamento di chiusura in senso controriformistico, a favorire per quanto possibile la conservazione di una situazione aperta di dialogo tra cattolici e riformati. Un tale atteggiamento lo poneva obiettivamente, seppur per ragioni ben diverse, sulla stessa linea di azione del fratello Pietro, il quale proprio in quegli stessi mesi sosteneva a Trento, in perfetto accordo col Seripando, quelle tesi tanto ardite sul problema della giustificazione, tipiche del movimento della Riforma cattolica, che gli procurarono l'accusa di nutrire simpatie luterane.
Nonostante lo sfratto ricevuto, il B. non abbandonò subito l'Inghilterra, fino a quando non gli arrivò la risposta dalla Curia, che il 23 ottobre gli ordinò di rientrare in Italia. Nonostante l'insuccesso della sua missione in Inghilterra, il B. ebbe al suo rientro a Roma un nuovo delicato incarico: questa volta si trattava di portare a Carlo V una proposta di mediazione pontificia per concludere con la Francia una pace stabile che sostituisse il trattato di Crépy (settembre 1544),ormai decisamente pericolante. Alla revisione degli accordi di Crépy, prima che l'imperatore concludesse la sua campagna contro gli Smalcaldici, erano fortemente interessati i Francesi, che se ne ripromettevano grandi vantaggi e non risparmiarono fatiche per ottenere l'appoggio del papa e staccarlo dall'alleanza imperiale. Le vittorie di Carlo V in Germania avevano suscitato a Roma la preoccupazione che a guerra finita egli pretendesse regolare la questione religiosa a suo arbitrio, con la conseguenza di spingere la Curia a lesinare e poi a interrompere bruscamente gli aiuti militari e finanziari all'imperatore. La situazione maturava nel senso di uno spostamento della S. Sede dalla parte francese.
In questo quadro rientrava la missione del B., al quale fu ordinato, come risulta dall'Instruttione del 3 genn. 1547, di far presente a Carlo V la necessità di lasciare a Francesco I il Piemonte, al fine di realizzare quella stabile pace con la Francia che sola poteva consentire il felice proseguimento della campagna tedesca e un impegno risolutivo contro l'espansionismo turco. Il principale argomento di pressione era la minaccia di sospendere gli aiuti papali "che se li dimandano per conto dell'impresa di Germania".
Preparò la missione con molta accuratezza, recandosi appositamente a Mantova e a Milano per procurarsi l'appoggio dei suoi vecchi patroni, il cardinale Ercole Gonzaga e il governatore dello Stato di Milano, Ferrante Gonzaga. Si fermò quindi alcuni giorni a Trento, dove vide anche il fratello Pietro, oltre a vari cardinali. Munito di commendatizie, consigli e suggerimenti vari, proseguì per la Germania, ma a Sterzing una malaugurata caduta da cavallo lo costrinse a letto per un paio di settimane col rischio di fargli perdere l'incarico. La notizia dell'incidente occorsogli provocò a Roma grande irritazione: la Curia aveva già provveduto a sostituirlo col fratello Pietro, quando il B. si rimise in viaggio. li 26 genn. 1547 arrivò a Ulm, dove soggiornava in quel momento la corte imperiale, e, d'accordo con il nunzio G. Verallo, il 27ebbe il primo incontro col Granvelle, dal quale si ebbe un'accoglienza assai cordiale. Il giorno seguente fu ricevuto da Carlo V al quale presentò la sua ambasceria con la proposta di un convegno a tre (Impero, Francia, S. Sede) per concordare le modalità della pace. La risposta dell'imperatore fu che "tutto era niente si non si veniva al particulare et a partiti che si potessero accettare" (Nuntiaturberichte…, IX, p. 435). In quanto poi alla minaccia papale di sospendere gli aiuti, l'imperatore sapeva bene che il papa stava trescando con i Francesi alle cui pressioni si doveva questo bel risultato. Il B. cercò di smentire come poté queste affermazioni, adducendo a scusa le strettezze finanziarie della Curia. Dopo questa prima udienza, comunque, le prospettive di convincere Carlo V ad accettare la proposta di Paolo III non migliorarono affatto, anzi fu proprio nell'udienza successiva del 2 febbraio che il collerico imperatore in uno scatto d'ira lanciò, alla presenza del B., la celebre invettiva sul "mal francese" di Paolo III. Per il B. non c'era più niente da fare: il 7 febbraio fu ricevuto in udienza di congedo insieme al Verallo, e fu un altro sfogo.
Nonostante l'insuccesso delle sue missioni, il cardinale Famese continuò a utilizzare il B.: già nel marzo dello stesso anno 1547, ritornato appena dalla Germania, venne messo al seguito del cardinale Girolamo Recanati di Capodiferro, destinato legato in Inghilterra, nel tentativo di riprendere contatto diretto con quel governo, dopo la morte di Enrico VIII avvenuta il 28 genn. 1547. Il legato si era già messo in viaggio, ma non si allontanò troppo da Roma, perché presto fu chiaro che il duca di Somerset, al governo del paese in nome del decenne Edoardo VI, non aveva alcuna intenzione di accettare la ripresa del dialogo con Roma. Invece di andare in Inghilterra il B. andò a Bologna, sempre nello stesso mese di marzo, con un incarico papale di cui non si ha notizia precisa. Restò ancora al servizio della Curia fino alla primavera del 1548, allorché i suoi rapporti col Farnese cominciarono a guastarsi.
Dopo questa data non si ha più notizia di missioni svolte dal B. per conto della Curia o comunque del Famese. Sembra invece che egli si mettesse al seguito del fratello Pietro, divenuto il 9 giugno 1548 nunzio pontificio presso la corte imperiale. Il 20 ag. 1548 risulta a Trento per conto del fratello e nel marzo del 1549 a Roma, impegnato in un'importante operazione intesa a preparare la candidatura al soglio pontificio di uno dei suoi antichi patroni, il cardinale Giovanni Salviati.
Di una candidatura Salviati il B. parlava già in una lettera del 15 maggio 1546, con la quale cercava di tranquillizzare il Famese, che ne era preoccupato, dandogliela per assai dubbia. Il Salviati era sostenuto ora caldamente anche da un altro antico patrono del B., il cardinale Ercole Gonzaga, di concerto col quale egli tentò di convincere il Farnese ad accettarlo, ma senza riuscirci. Sopraggiunta il 14 nov. 1549 la morte di Paolo III, il B. interessò a favore della candidatura del Salviati anche il fratello Pietro nel tentativo di ottenere l'adesione imperiale. Due lettere di Pietro al B. del 10 febbr. 1550 illuminano queste trattative che non ebbero però successo. Il 7 febbr. 1550 d'altra parte il conclave aveva eletto a pontefice il cardinale Del Monte che assunse il nome di Giulio III.
Dopo il fallimento della candidatura del Salviati, del B. mancano notizie: dovette ritirarsi a Nonantola, dove appare nel 1552, quando il duca di Ferrara Ercole d'Este lo nominò nel febbraio gentiluomo di camera e suo oratore alla corte imperiale, in sostituzione del conte Ercole Rangoni, con una provisione di 1.000 scudi. Tale nomina offrì al fratello Pietro, in quel momento nunzio per la seconda volta presso la corte imperiale, una buona occasione per rinnovare con maggiore insistenza la richiesta di essere esonerato dall'incarico ("non stanno bene due fratelli in una corte"); la sua richiesta fu esaudita, ma il B., dopo avere riscosso una buona parte degli scudi destinatigli, non ricevette le lettere credenziali e restò a Modena. Alla fine del marzo si seppe che era stato sostituito con altra persona, forse proprio in conseguenza delle dimissioni del fratello Pietro.
Restò lontano dai negozi, vivendo tra Modena e Nonantola, ancora altri dieci anni, fino al 1562, quando ritornò alla politica attiva come segretario del cardinal di Lorena, il più autorevole esponente dell'episcopato francese nell'ultima fase del concilio di Trento, che lo mandò a Roma per tenere i rapporti con la Curia.
Da questo momento il B. prese residenza in Roma dove visse fino alla morte. La sua attività di agente romano del cardinal di Lorena, capo dell'opposizione conciliare alla politica ecclesiastica della Curia, è allo stato attuale delle ricerche scarsamente documentata. Certo è che questa posizione, che comportava una frequentazione quotidiana dei più qualificati ambienti di Curia, gli guadagnò la stima e la considerazione del cardinale Carlo Borromeo e dello stesso papa Pio IV.
Neanche in questa sua nuova posizione il B. si sottrasse alla tentazione di influenzare in qualche modo la politica della Curia, alla quale cominciò a indirizzare memoriali nella classica forma dei consigli politici, non senza successo. Si sa, ad esempio, di un Discorso de M. Guron Bertano dato prima al card. Borromeo et di poi per la commissione sua dato al card. Morone (in Haus-Hof-und Staatsarchiv di Vienna, Romcorrespondenz, fasc. 19), datato 2 febbr. 1563, contenente la proposta di accogliere le richieste imperiali in tema di disciplina ecclesiastica come contropartita alla concessione di permettere la conclusione del concilio, che servì di base alla trattativa condotta dal cardinale G. G. Morone con la corte imperiale.
Questa attività di consulente politico egli continuò a svolgere anche sotto il pontificato di Pio V, per il quale stese numerose memorie, alcune delle quali (dal 15 febbr. 1566 al 21 luglio 1568) si conservano nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. lat.4698, cc. 232r-248r). Fra di esse ha particolare rilievo una letteradiscorso del 5 ott. 1566 Sul modo di acconciar le cose di religione in Germania, per la lucida disamina della situazione tedesca e gli importanti spunti che rinviano decisamente alla lezione realistica della tradizione politica italiana. Con questo deciso prevalere del momento della riflessione e della precettistica sull'impegno politico diretto, dal quale pure non si staccò del tutto neanche negli ultimi anni della sua lunga e agitata esistenza (nel 1570 figura come agente del duca di Ferrara a Roma), si conclude significativamente, in clima di trionfante Controriforma, la sua carriera di uomo di negozi. Il B. morì a Roma il 4 dic. 1573.
Fonti e Bibl.: Manca qualsiasi tentativo di biografia complessiva del B. che bisogna ricostruire quasi sempre direttamente sulle fonti. Per le date di nascita e di morte, alcune indicazioni sulla famiglia e altri dati biografici, Cfr. T. de' Bianchi, Cronaca modenese, V,Parma 1867, pp. 297-298; XI, ibid. 1881, pp. 138, 146 s., 164, 461; XII, ibid. 1884, pp. 183, 188; V. Forcella, Iscriz. delle chiese e d'altri edifici di Roma…, VII, Roma 1876, pp. 304, 305. Per gli anni trascorsi al servizio di Enrico VIII utili notizie si ricavano da Vetera monumenta Hibernorum et Scotorum historiam illustrantia…, a cura di A. Theiner, III, Romae 1864, p. 603; Letters and papers, foreign and domestic, of the reign of Henry VIII, IV, 3, 1529-1530, a cura di J. S. Brewer, London 1876, ad Indicem, sub voce Guron; V, a cura di J. Gairdner, ibid. 1880, ad Indicem, sub voce Bertinus; VI, ibid. 1882, ad Indicem, sub voce Bertinus; VII, 2, ibid. 1883, p. 345; IX, ibid. 1886, ad Indicem, sub voce Gurone; X, ibid. 1887, pp. 25, 75; Calendar of State Papers and manuscripts, relating to English affairs, existing in the archives and collections of Venice…, IV, 1527-1533, a cura di B. Brown, London 1871, p. 252. Per i rapporti col cardinale Gonzaga e con Guido da Fano, cfr. Letters and papers, foreign and domestic, of the reign of Henry VIII, a cura di J. Gairdner, XII, 1, London 1891, pp. 395, 397; W. Friedensburg, Der Briefwechsel Gasparo Contarini's mit Ercole Gonzaga,in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, II (1899), p. 177; A. Stella, La lettera del cardinale Contarini sulla predestinazione, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XV(1961), p. 416. Per le missioni alle corti di Francesco I, Enrico VIII e Carlo V e gli altri ulteriori incarichi fino al 1552, cfr. Arch. Segreto Vaticano, AA. I-XVIII, 6532, cc. 91 v, 99 r, 103 r, 108 r-v, 112 r-v, 117 v-118 r, 127 r, 304 r, 306 r-307 r, 308 r-v, 312 r-314 r, 315 r-v, 317 r-v, 319 r-v, 321 r-v, 323 r, 325 r-328 r, 329 r; Ibid., Segret. di Stato, Francia,2, cc. 232 r-233 r, 243 v, 246 v-247 r, 268 r-v, 275 r; Ibid., Lettere di principi, 12, cc. 419-342 v; W. Maurenbrecher, Karl V. und die deutschen Protestanten 1545-1555, Düsseldorf 1865, Anhang, pp.86-99; Correspondance politique de Odet de Selve, a cura di G. Lefèvre-Pontalis, Paris 1888, pp. 18, 21, 22, 33, 37, 38, 39, 41; Venetianische Depeschen vom Kaiserhofe (Dispacci di Germania), a cura di G. Turba, II, Wien 1892, pp. 155, 158, 171; Nuntiaturberichte aus Deutschland, IX, a cura di W. Friedensburg, Gotha 1899, ad Indicem; XI, a cura di W. Friedensburg, Berlin 1910, ad Indicem; XII, a cura di G. Kupke, Berlin 1901, ad Indicem; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diariorum, I, Friburgi Brisgoviae 1901, ad Indicem; Actorum, II, ibid. 1911, p. LX, n. 4; Epistularum, I, ibid. 1916, ad Indicem; II, ibid. 1937, pp. 416, 907; Letters and Papers, foreign and domestic, of the reign of Henry VIII, a cura di J. Gairdner, XXI, 1, London 1908, ad Indicem; 2, a cura di R. H. Brodie, ibid. 1910, ad Indicem; A.Pieper, Zur Entstehungsgeschichte der ständigen Nuntiaturen, Freiburg i.B. 1894, pp. 130, 189-192; C. Capasso, Paolo III (1534-1549), II, Messina 1923, pp. 482-484; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, II, Brescia 1962, pp. 302, 461 s., 462, 468 s. Per i rapporti col Salviati e la questione della sua candidatura al pontificato, cfr. Legazioni di A. Serristori… (1537-1568), a cura di G. Canestrini e L. Serristori, Firenze 1853, pp. 199-200; G. Müller, Die Kandidatur G. Salviatis im Konklave 1549-50, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, XLII-XLIII (1963), pp. 435-452. Per i rapporti col cardinal di Lorena e l'attività svolta ai margini della Curia nell'ultimo decennio di vita, cfr. Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Spagna, 39, f. 129 v; Instructions et lettres des roi trèschrestiens et de leurs ambassadeurs et autres actes concernant le concile de Trente, a cura di Dupuy, Paris 1654, pp. 550-557; Zur Geschichte des Concils von Trient (1559-1563), a cura di Th. Sickel, Wien 1872, pp. 414, 435 s.; Die römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV., a cura di J. Susta, III-IV, Wien 1914, ad Indicem; Correspondencia diplomatica entre España y la Santa Sede durante el pontificado de S. Pio V,a cura di L. Serrano, Madrid 1914, III, p. 404; IV, pp. 157 s., 163; G. Constant, La légation du cardinal Morone près l'empereur et le concile de Trente. Avril-décembre 1563, Paris 1922, pp. LIV,173, 532, 589; H. Jedin, Krisis und Wendepunkt des Trienter Konzils (1562-63), Würzburg 1941, ad Indicem.