CHAUFFOURIER, Gustave Emile
Nacque a Parigi il 18 sett. 1845 da Joseph e da Costance Damion. Nulla sappiamo della sua formazione, se non che piuttosto precoce dovette essere l'inizio della sua attività come fotografo, dal momento che dopo il 1865 si stabilì a Palermo, dove al n. 34 di via Bottai fondò con il compatriota Perron lo studio "Photographie parisienne", specializzandosi nel genere del ritratto, come testimoniano i molti esemplari conservati in collezioni private palermitane. Alla fine del 1870 soggiornò per un lungo periodo a Napoli, dove studiò e probabilmente fotografò le collezioni archeologiche locali, come si può supporre dal permesso rilasciatogli il 9 dicembre di quell'anno dalla Sopraintendenza generale del Museo nazionale e degli Scavi di antichità di Napoli, che gli permetteva l'accesso al Museo per un anno.
Nel 1873 si stabilì a Roma, dove venne immatricolato come cittadino francese dalla ambasciata di Francia e iniziò a svolgere la sua attività di fotografo professionista, come annota la Guida Monaci di quel periodo, subentrando nello studio fotografico di C. B. Simelli, al n. 509 di via del Corso e diventando rapidamente uno dei fotografi romani più apprezzati dall'aristocrazia e dalla borghesia cittadina. Negli anni successivi sposò Filomena Foschi, da cui ebbe quattro figli: Ada nata nel 1880, Ginevra nata nel 1883, Pietro ed Emilio nati nel 1888 e nel 1894, destinati a continuare l'attività paterna. Documentò in questo periodo, in una grande serie di lastre, circa trecento - ora conservate nell'Archivio fotografico comunale al Museo di Roma - gli aspetti più salienti, vecchi e nuovi, della Roma umbertina.
Nel 1883 compiva in compagnia della moglie un lungo viaggio in Austria e nei Balcani, desiderando effettuare un reportage fotografico, secondo la moda e lo spirito del tempo, sugli usi e i costumi folcloristici di quelle popolazioni. Al suo rientro a Roma, dopo il 1885, si stabilì nello studio al n. 2 di via S. Giuseppe Capo le Case e più tardi, a fine '800, al n. 3A di via Pompeo Magno. Agli inizi del secolo si trasferì al n. 262 di via degli Scipioni, affiancando alla sua attività di fotografo anche quella di editore di vedute fotografiche, come risulta dall'intestazione delle sue fatture commerciali e dalla pubblicità, stampata sui retri delle sue fotografie.
Dopo il 1910 spostò il suo studio al n. 7 di via Tacito dove morì il 25 sett. 1919.
Bibl.: S. Negro, Nuovo Album romano, Vicenza 1965, p. 23; Roma cento anni fa nelle fotografiedel tempo (catal.), Roma 1971, pp. 14, 26 s., 32-37, 40, 42, 44, 48 s., 51 ss., 57 ss., 61, 63 s., 66 ss., 72, 90, tavv. 11-16, 18, 56; L. Cavazzi Palladino, G. E. Ch. e il fondo omonimo nell'Archivio fotografico comunale, in Boll. dei Musei comunali (Roma), XXIV (1977), pp. 89-100; Roma deifotografi 1846-1878 (catal.), Roma 1977, p. 44; P. Becchetti, Fotografi e fotografia in Italia 1839-1880, Roma 1978, p. 96; M. Falzone del Barbarò, in Palermo d'allora, Milano 1979, p. 249; Fotografia ital. dell'Ottocento (catal.), Milano 1979, p. 149.