DEL VECCHIO, Gustavo
Nacque a Lugo di Romagna, presso Ravenna, il 22giugno 1883 da Cesare e Bice Cavalieri.
L'infanzia del D. fu turbata da un gravissimo lutto familiare: il padre fu infatti ucciso da un impiegato dell'azienda commerciale di cui era titolare. In seguito a questa tragedia, intorno al 1888 la famiglia si trasferì a Bologna; dove il D. frequentò le scuole elementari e secondarie. Nell'ottobre del 1900 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma, dove poté seguire tra l'altro il corso di filosofia della storia tenuto da A. Labriola, ma portò a termine gli studi universitari nell'università bolognese, presso la quale si laureò il 6 luglio 1904, discutendo una tesi sul monopolio, che fu pubblicata interamente l'anno successivo (Prodotto netto e monopolio, Bologna 1905).
A Bologna il giovane D. subì l'influenza di T. Martello e, per questa via, della scuola economica classica che in Italia aveva trovato in F. Ferrara il suo principale esponente. Tuttavia, pur riconoscendo sempre il suo debito intellettuale nei confronti dell'impostazione classica appresa dal Martello, il D. già nei suoi primi studi non aderì alla intemperanza dottrinale che caratterizzava l'insegnamento martelliano, riconoscendo anzi - con V. Pareto - i limiti della posizione generale da questo sostenuta. Mentre gli studi monetari del Martello, e soprattutto il saggio su La moneta e gli errori che corrono intorno ad essa (Firenze 1883), apparso con un'introduzione di Ferrara, influenzarono decisamente il D. nell'individuazione del settore della teoria classica più bisognoso di approfondimenti ed integrazioni, si può dire che il giovane studioso fin dall'inizio collocò questi studi in una prospettiva più generale, riconoscendo nella nuova teoria dell'equilibrio generale sostenuta da L. Walras e dal Pareto la sistemazione più conveniente, ed insieme la base teorica più efficace, per affrontare i problemi monetari.
Se infatti il valore dell'opera di Martello proprio in campo monetario non fu che lievemente compromesso da alcune disquisizioni liberiste in tema di libera coniazione, e riuscì quindi a sottrarsi al dogmatismo prevalente in altri lavori, il senso dell'indagine successivamente portata avanti dal D., pur essendo legata a questi iniziali punti di riferimento dottrinali, si pone in una costellazione assai più ampia di riferimenti e sviluppi analitici. Siccome il fondamentale contributo del D. all'economia è da individuarsi appunto in quella che J. Schumpeter ha chiamato la "conoscenza analitica", bisogna osservare che nella sua produzione scientifica il D. ebbe come termini di riferimento principali A. Marshall nella teoria dell'equilibrio parziale, Pareto nell'esame dell'equilibrio generale e M. Pantalconi nello studio della dinamica economica.
Agli interessi giovanili del D., comunque, non fu estranea anche l'opera di Marx, che egli studiò seguendo le indicazoni e le suggestioni del suo maestro all'università di Roma, Labriola, al quale fu legato da un rapporto di stima e di amicizia e del quale scrisse un commosso necrologio sulla Rivista popolare quando apprese la notizia della morte (1904), mentre sì trovava a Berlino per un periodo di studi di perfezionamento dopo essersi laureato a Bologna. A questi iniziali interessi per il materialismo storico, che peraltro non erano destinati ad essere coltivati specificamente, è probabilmente da ascriversi un altro aspetto generale della personalità scientifica del D., che - insieme alle ricerche monetarie - costituirà un elemento costante del suo impegno intellettuale: l'importanza assegnata alla storia del pensiero economico nella chiarificazione dei presupposti e degli sviluppi logici affrontati in economia pura. Il D. sottolineò sempre l'essenzialità della considerazione storica, e quindi della ricerca storiografica, per lo sviluppo analitico.
Di questo impegno storiografico del D. si ha una testimonianza non solo nel metodo espositivo seguito già nei suoi primi lavori, e segnatamente nei saggi che dai Principi della teoria economica della moneta, pubblicati sul Giornale degli economisti del 1909, vanno fino alla collezione delle Ricerche sopra la teoria generale della moneta (Milano 1932), nei quali i contributi originali alla teoria dell'interesse, dello sconto e del credito vengono puntualmente sostanziati con la considerazione delle precedenti soluzioni offerte ai problemi monetari e con uno sforzo ricostruttivo di ampia portata. Del D. storico delle dottrine e storico della politica economica si ha un'espressione diretta e matura tanto nelle osservazioni pratiche contenute nelle Cronache della lira in pace e in guerra (Milano-Roma 1932 e successivamente ristampate) quanto nelle Vecchie e nuove teorie economiche (Torino 1932 e riedite sempre a Torino nel 1956) e nei Progressi della teoria economica (Padova 1936), che raccolgono la summa del suo lavoro storiografico.
La prima parte delle Vecchie e nuove teorie, dedicata ai "sistemi teorici di economia" e alla ricostruzione dei sistemi concettuali prevalsi nella fase pre e postsmithiana della scienza economica - sistema mercantilistico, fisiocratico, liberale e marginalista - fu anzi una sorta di vademecum storico per un'intera generazione di economisti italiani.
In quest'opera il D. assegnava una posizione centrale al sistema ricardiano che, da un lato, aveva sistemato compiutamente la teoria classica del valore-lavoro e preparato al tempo stesso - con la teoria della rendita basata sulle terre marginali - gli sviluppi successivi, e d'altro lato aveva realizzato l'ideale della scienza economica come disciplina logica e deduttiva. "Studiando Ricardo - osservava il D. - è possibile farsi un concetto di quella che sia la scienza economica, la quale non è una scienza descrittiva, ma un sistema di teorie, e cioè non è una narrazione di certi fatti ma un sistema di principi, i quali servono per interpretare i fatti". (ediz. 1956, p. 19).
Il D. era divenuto nel 1920 professore di economia politica nell'isfituto, superiore di scienze economiche e commerciali di Trieste. Nel 1926 passò all'università di Bologna, dove con diversi incarichi di insegnamento rimase fino al 1938. Dal 1930 al '38 insegnò anche economia all'università commerciale "Bocconi" di Milano, di cui fu rettore dal 1934 al 1939 e membro del comitato direttivo fino al 1946. Negli sviluppi successivi al sistema ricardiano il D. conseguentemente vedeva "una corrente di seguaci di Ricardo e una corrente di critici di Ricardo", correnti che tendono poi a fondersi, non senza una sintesi interna alla scuola marginalista, "nella sintesi più recente" offerta dalla scuola dell'equilibrio generale (ibid., p. 48). L'importanza attribuita alla domanda nella determinazione dei valore e l'abbandono della teoria del costo di produzione, che era stato propria di Ricardo, non sarebbero stati sufficienti, nella visione del D., a costruire il nuovo sistema completo di economia annunciato nelle opere di A. Cournot, H. Gossen, W. S. Jevons, K. Menger e I. Fisher. Solo con Marshall, Walras, Pareto e Pantaleoni, e quindi con le equazioni dell'equilibrio parziale e generale, si perviene a questa sintesi complessiva e al superamento - in senso quasi hegeliano - del sistema ricardiano.
Va comunque detto che il punto di vista storiografico del D., che tra l'altro ha avuto nella letteratura contemporanea un significativo sviluppo nei lavori di tutti quegli autori che, da Schumpeter a M. Blaug, hanno privilegiato gli aspetti analitici e formali dell'evoluzione delle teorie economiche, non si arresta alla nuova sintesi offerta dall'indirizzo walrasiano. Egli prende in considerazione anche i due indirizzi divergenti emersi dall'insegnamento marshalliano, indirizzi facenti capo al pionieristico lavoro di A. C. Pigou nel campo dell'economia del benessere e alla teoria del reddito e dell'occupazione di Keynes.
Il D. riconosce che il primo indirizzo ha considerevolmente arricchito le conoscenze relative al funzionamento "statico" dell'economia, impostando in forma moderna i problemi di ottimizzazione e di massimizzazione visti già dagli economisti settecenteschi con la ricerca delle condizioni più idonee al conseguimento della illuministica "felicità pubblica", ma riconosce anche che l'economia matematica non è stata in grado di generalizzare ulteriormente il sistema walrasiano-paretiano. Tuttavia, a suo avviso, anche l'indirizzo keynesiano, pur avendo tentato di spiegare con una teoria generale del reddito i fallimenti del mercato nell'assicurare la piena occupazione delle risorse, non è riuscito a fornire un nuovo principio unificatore della scienza economica.
Se è infatti vero che Keynes, studiando i flussidi spesa, ha posto l'esigenza di dinamizzare l'apparato analitico dell'economia, è anche vero che quest'esigenza non si è poi realizzata nel metodo effettivamente seguito dall'economista di Cambridge nella Teoria generale dell'occupazione dell'interesse e della moneta (1936). I limiti di quest'opera, infatti, non risiedono solo nella scarsa generalità delle premesse ed ipotesi comportamentali adottate da Keynes, perché: "Quando Keynes ha posto il problema della disoccupazione ha teorizzato il fatto della disoccupazione come un fatto che dipende essenzialmente dalla rigidità del salario nominale" (ibid., p. 351), ed ha perciò generalizzato un fenomeno specifico dell'economia inglese fra le due guerre, ma si trovano anche nella mancata integrazione dei metodo dell'equilibrio parziale con quello generale, donde l'arbitraria distinzione keynesiana tra le variabili dipendenti e quelle indipendenti del modello, e soprattutto i fondamenti essenzialmente statici delle principali sezioni della sua analisi.
Nel saggio La costruzione scientifica della dinamica economica, che è del 1952ed è stato successivamente incluso in una delle raccolte più importanti di studi del D., Capitale e interesse (Torino 1956), egli ha modo di precisare quest'interpretazione dell'opera di Keynes, collegandola alla sua visione complessiva della storia della disciplina. Dopo aver notato che il fondamentale limite generale dell'economia tra le altre scienze sociali consiste nel suo carattere di scienza statica e nella sostanziale continuità delle ipotesi filosofiche che la animano ("Il carattere comune che hanno avuto come anello di una catena i grandi sistemi di economia dai fisiocrati al Marshall e al Pareto è consistito nel fatto di essere tutti sistemi statici.... Né sostanzialmente sono cambiate le premesse generali e filosofiche, dall'ordine naturale dei fisiocrati al Manuale di Pareto": La costruzione scientifica..., p. 408), si pronunciava criticamente sugli sviluppi dell'analisi keynesiana che avevano trovato espressione nella modellistica della crescita successiva all'iptegrazione della teoria del moltiplicatore e di quella dell'acceleratore.
Questa modellistica, secondo il D., da una parte tendeva a confondere la dinamica di breve periodo con i movimenti di più lungo periodo del sistema economico, trattando con i medesimi strumenti analitici i fenomeni ciclici e lo sviluppo in senso proprio, e d'altra parte allontanava di fatto l'economia dallo studio delle forze dinamiche che generano - come prodotto secondario del progresso - le temporanee oscillazioni del reddito e dell'occupazione ("Un legame molto più intenso lega le crisi, come effetto, a quel fenomeno più generale e duraturo che è costituito dal progresso secolare della nostra economia o, per lo meno, dalle onde lunghe del progresso economico": ibid., p. 415). Con l'economia keynesiana si ha invece "il meccanismo di certe oscillazioni, ma non l'impulso che le mette in moto", non rappresentando l'interazione fra il moltiplicatore e l'acceleratore un'adeguata descrizione del processo di accumulazione.
Federico Caffè - a proposito del ruolo assegnato dal D. ai processi di accumulazione, produzione e distribuzione rispetto ai fenomeni della circolazione e dello scambio - ha messo in rilievo una caratteristica originale del suo pensiero, dalla quale emerge una motivazione al suo atteggiamento critico nei confronti della dinamica postkeynesiana. Egli infatti già nelle Lezioni di economia pura (la cui prima edizione è del 1927 e i cui approfondimenti successivi porteranno alla sintesi della Economia generale, apparsa - quale primo volume del Trattato italiano di economia diretto dal D. con Celestino Arena - a Torino nel 1961) aveva preso le distanze dall'impostazione neoclassica tradizionale, affermando "il carattere prevalentemente economico dei motivi determinanti il fenomeno dello scambio ed il carattere non prevalentemente economico dei fenomeni della distribuzione" e della produzione (F. Caffè G. D., ora in Ilpensiero economico..., 1980, p. 519).
La teoria dell'accumulazione non poteva perciò darsi una sistemazione rigorosa, analoga a quella raggiunta dalla teoria marginalista dello scambio. Se la teoria della produttività marginale dei fattori della produzione forniva il principio distributivo in condizioni statiche, e se la parsimonia ed il risparmio dovevano essere considerati come delle condizioni per l'accumulazione, cionondimeno nessuna conclusione teorica generale sostenuta dall'evidenza statistica poteva essere dedotta da queste proporzioni della teoria tradizionale. Una conclusione di questo tipo non può infatti prescindere, nel pensiero del D., dall'esame dei molteplici fattori dinamici, storici ed istituzionali, che influenzano le decisioni di risparmio e di investimento.
L'inadeguatezza ed il meccanicismo della modellistica keynesiana avevano perciò la loro controparte nell'incapacità -da parte della teoria neoclassica - di sottrarsi all'analisi statica dei principali aspetti dell'economia industriale, ed in primis della stessa categoria del profitto.
Avvicinandosi alla teoria schumpeteriana dell'imprenditore-innovatore (fu Schumpeter a richiedere al D. che le sue ricerche inonetarie fossero pubblicate in tedesco in un compendio uscito con il titolo Grundlinien der Geldtheorie nel 1930), il D. riteneva che il profitto retribuisse precisamente quei caratteri dell'attività imprenditoriale, che non potevano essere considerati nello scherma statico, perché legati alla crescita e allo sviluppo dell'economia. "Organizzazione e profitto - egli osservava - non si possono comprendere che fuori dai limiti dell'economia statica, perché la determinazione di tutti gli elementi dell'impresa dipende dal fatto che l'economia è in continuo movimento, in continuo divenire" (Lezioni di economia pura, p. 236).
D'altra parte, anche il saggio d'interesse non poteva essere considerato come il fondamentale meccanismo di regolazione dello sviluppo, perché il D. negava esplicitamente che variazioni del tasso d'interesse potessero influenzare significativamente l'ammontare di risparmio e, per questa via, le condizioni di parsimonia.
L'accumulazione andava quindi trattata con metodo sociologico, considerandone i rapporti con la distribuzione dei patrimoni e dei redditi, con la dinamica ed il ricambio sociali, con la costituzione politica e le stesse oscillazioni economiche (cfr. Capitale e interesse, p. 82).
In campo monetario i maggiori contributi del D. consistono nel tentativo di applicare al valore della moneta il principio dell'utilità marginale, ed in ciò egli si collegò ad una tradizione di studi che risaliva direttamente a Walras e alla teoria dell'equilibrio generale. In questi studi, tuttavia, egli segui un approccio originale, logicamente diverso da quello impostato dalla scuola di Cambridge e da quello successivamente prevalso nella teoria generale delle "scelte di portafoglio". L'utilità della moneta non andava infatti collegata, secondo il D., alla possibilità di impieghi alternativi della ricchezza, bensì all'utilizzazione della moneta in "gruppi di vendite" graduati in differenti ordini di importanza.
Il "gruppo maggiore di vendite", scontate le possibili variazioni subite nel corso del tempo, era per il D. l'elemento da prendere in considerazione per determinare il valore della moneta e per estendere il principio marginafistico a questo particolare settore di analisi (cfr. l'esposizione che della teoria del D. ha dato G. Dernaria, La moneta nell'equilibrio economico generale, ora in Studi di economia, finanza e statistica in on. di G. D., Padova 1963, pp.237-257).
Oltre a menzionare le ricordate ricerche sul risparmio e sul consumo culminate nell'analisi anticipatrice dei bilanci di famiglia delle Relazioni tra entrata e consumo, uscite sul Giornale degli economisti del 1912, va anche detto che gli interessi del D. furono indirizzati alla scienza delle finanze e alla chiarificazione dei rapporti tra questo particolare settore d'indagine e la scienza economica propriamente intesa. Egli non vedeva infatti alcuna distinzione tra i due aspetti del processo economico studiati in queste diverse ottiche disciplinari e riteneva che la teoria delle imposte e delle spese dovesse risultare - secondo il ragionamento già seguito da Luigi Einaudi - dall'applicazione dei teoremi generali della teoria pura all'azione dell'operatore pubblico. Non vi era in altri termini alcuna precisa ragione analitica per distinguere, come invece aveva fatto un ampio indirizzo della scuola italiana di finanza pubblica, l'edificio generale dell'economia dall'apparato utilizzato nella teoria dei processi finanziari.
Ugualmente intensa fu l'attività del D. quale organizzatore di cultura, attività testimoniata non solo dagli incarichi accademici via via ricoperti e dall'insegnamento (cui non volle rinunciare neanche nel periodo dell'esilio in Svizzera), ma anche dal respiro internazionale che egli seppe dare alla cultura economica italiana proprio nella fase in cui il fascismo tentava di chiudere i canali di comunicazione tra le diverse comunità scientifiche (partecipò alla direzione di numerose riviste scientifiche italiane e straniere, tra le quali la Rivista statistica, Economia internazionale, Rivista bancaria, Econometrica, Beiträge zur oekonomischen Theorie).
Il D. d'altra parte, da analista, fu sempre estraneo alle confusioni e all'eclettismo teorico sui quali si basava la dottrina corporativa, mantenendo anzi, soprattutto nel periodo bocconiano.1 uno stretto collegamento con gli sviluppi più innovativi della teoria economica contemporanea e non a caso nel 1937, curando il quarto volume della "Nuova collana di economisti italiani e stranieri" diretta da G. Bottai e C. Arena, il D. non faceva alcuna concessione alle degenerazioni analitiche che il fascismo aveva per lo più legittimato, presentando agli studiosi italiani una serie di lavori che - da K. Menger a P. Sraffa e da D. H. Robertson a H. Mayer - costituivano invece i punti di riferimento principali dell'evoluzione della teoria pura nei primi trent'anni del secolo.
Decaduto dall'insegnamento a causa delle leggi razziali e rifugiatosi in Svizzera durante l'occupazione tedesca, nel 1948 il D. fu chiamato a ricoprire la cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario nella facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma, cattedra che tenne fino al ritiro dall'insegnamento. Nel secondo dopoguerra fu nominato dapprima direttore della commissione per la valutazione statistica dei danni di guerra, istituita dal governo Parri presso il Ministero della ricostruzione tenuto da Meuccio Ruini (1945), e poi - dal 6 giugno 1947 al 23 maggio 1948 - ricoprì l'incarico di ministro del Tesoro nel IV gabinetto De Gasperi, assumendo anche per un breve periodo l'interim del bilancio, quando Luigi Einaudi, che ne era il titolare, fu eletto presidente della Repubblica.
Il D. condivise pienamente la cosidetta "linea Einaudi", culminata nelle misure di restrizione creditizia e di drastica riduzione della liquidità assunte nell'ottobre del 1947, e con E. Corbino poté far valere i diritti di un'impostazione di politica economica che vedeva nella stabilizzazione della lira e nell'arresto della spirale infiazionistica determinatasi nel dopoguerra la conditio sine qua non dell'ingresso dell'economia italiana nel mercato internazionale. Un'impostazione questa che, mentre doveva avere delle conseguenze assai pesanti sul piano sociale nelle condizioni dei dopoguerra, si ricollegava per il resto ad una tradizione di pensiero cui Einaudi - e lo stesso D. collaboratore della Riforma sociale - sierano costantemente richiamati nell'Italia liberale e soprattutto nel dibattito sul protezionismo.
Dal 1948 al 1950 fu governatore per l'Italia membro del Board of Governors del Fondo Monetario Internazionale a Washington e dal 1958 fu membro del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Professore emerito dell'università di Roma dal 1958, il D. fu socio nazionale dell'Accademia delle scienze di Bologna, dell'Accademia dei Lincei di Roma e dell'Istituto internazionale di statistica. Fellow e consigliere della Econometric Society, tenne lezioni e corsi universitari a Ginevra, Buenos Aires, San Paolo. Premio "Marzotto" per l'economia nel 1965 e membro della direzione dei "Giornale degli economisti"dal 1927 al 1972, collaborò con continuità alla Libertà economica, alla Riforma sociale, alla Rivista delle società commerciali, alla Rivista di politica economica, alla Rassegna di diritto e di economia.
Il D. morì a Roma il 6 sett. 1972.
Oltre alle opere citate, vanno ricordati: Ricchezze immateriali e capitali immateriali, Alessandria 1908; Teoria dello sconto, Roma 1914; Lineamenti generali della teoria dell'interesse, Roma 1915; Grundlinien der Geldtheorie, Tübingen 1930; Iprincipi della Carta del lavoro, Padova 1934; Economia generale, Torino 1961. Si ricordano, inoltre, i corsi universitari: Lezioni di economia politica, I, Economia pura, Padova 1922; II, Economia applicata, ibid. 1923; III, Fenomeni sociali e teorie economiche, ibid. 1924; IV, Ilsistema economico odierno, ibid. 1925; Teoria del commercio internazi . onale, I-II, Teoria degli scambi tra i diversi mercati e Teoria dei pagamenti internazionali, ibid. 1923, III, Problemi di politica economica internazionale, ibid. 1924, Lezioni di scienza delle finanze, I-II, Teoria della finanza pubblica e Sistema tributario italiano, ibid. 1923; III, L'ordinamento della finanza pubblica in Italia, ibid. 1925; Lezioni di economia applicata, I-II, Dinamica economica e Politica economica, ibid. 1933; Lezioni di economia politica, IV, La sintesi economica e la teoria del reddito, ibid. 1950, V, Introduzione alla finanza, ibid. 1954.
Opuscoli e saggi: La riforma tributaria nel comune di Alessandria, in La Riforma sociale, XIII (1906), 3, pp. 232-39; Iprincipi della teoria economica della moneta, in Giornale d. economisti, XX (1909), 39, pp. 254-72, 507-53; Iprincipi della politica sociale, Bologna 1911; Relazioni tra entrata e consumo, in Giorn. d. economisti, XXIII (1912), 44, pp. 111-42, 228-54, 389-439; Sulla teoria economica delle crisi, ibid., XXV (1914), 48, pp. 425-52; Questioni di economia teorica relative alla guerra, Roma 1916; La dinamica dei prezzi decrescenti e il riordinamento della circolazione, in Giorn. d. economisti, XL (1925), 65, pp.305-17; Teoria economica della assicurazione, Milano 1928; La moneta nella teoria dell'equilibrio economico, in Giorn. d. economisti, XLIV (1929), 69, pp. 135 s.; voce Credito, in Enciclopedia Italiana, XI, Roma 1931, La teoria delle crisi come critica delle teorie economiche, in Festschrift für A. Spiethoff, München 1933, pp. 283-88; Per la teoria degli odierni pagamenti internazionali, in Giorn. d. economisti, LII (1937), 77, pp. 461-68; La costruzione scientifica della dinamica economica, ibid., n. s., XI (1952), 9-10, pp. 584-91; Risposta al questionario: la disoccupazione in Italia, Roma 1953; Osservazioni teoriche sul problema delle "aree depresse", in Giorn. d. economisti, n. s., XIII (1954), 7-8, pp. 402-09; Prefazione a G. Fuà, Reddito nazionale e politica economica, Torino 1957; Scritti di teoria economica e di statistica, Milano 1966; Antologia di scritti di Gustavo Del Vecchio nel centenario della nascita (1883-1983), intr. a cura di F. Caffè, Milano 1983.
Fonti e Bibl.: Necr. in Corr. della sera, 7 sett. 1972; S. Steve, G. D. 1883-1972, in Riv. di diritto finanz. e scienza d. finanze, XXXII (1973), 9, pp. 381 s.; G[iovanni] D[emaria], Scomparsa del professore G. D., in Giorn. d. economisti, n. s., XXI (1972), 11-12, pp. 739 ss.; F. Caffè, G. D. (1883-1972), in Frammenti per lo studio del pensiero economico ital., Milano 1975, pp. 72-88. Cfr. inoltre G. Demaria, Convers. bibliografiche: G. D., in Giorn. d. economisti, n. s., XIII (1954), pp. 499-532; Studi di economia, finanza e statistica in on. di G. D., Padova 1963, pp. 711-38 (con una bibl. del D. di 205 schede); Studi ined. in mem. di G. D., Milano 1974; F. Caffè, G. D., in Ilpensiero economico ital., a cura di M. Finoia, Bologna 1980, pp. 519-30; La cultura econ. nel periodo della ricostruzione, a cura di G. Mori, Bologna 1980, pp. 425 s.