Gustavo Del Vecchio
I contributi principali di Gustavo Del Vecchio riguardano la teoria monetaria, le teorie del capitale, interesse e credito, la dinamica economica. Il suo programma di ricerca parte dai lavori di Francesco Ferrara e Tullio Martello sulla struttura delle azioni economiche e li sviluppa approfondendo lo studio dell’interdipendenza oggettiva fra azioni in un’economia non coercitiva con divisione del lavoro, moneta e credito.
Gustavo Del Vecchio nacque a Lugo di Romagna il 22 giugno 1883 e morì a Roma il 6 settembre 1972. La sua educazione secondaria si svolse a Bologna, quella universitaria dapprima a Roma e in seguito a Bologna. A Roma seguì il corso di filosofia della storia tenuto da Antonio Labriola, a Bologna fu allievo di Tullio Martello e discusse il 6 luglio 1904 una tesi di laurea sulla teoria del monopolio (Preliminari alla teoria del monopolio, 1904; pubblicata in forma ampliata l’anno successivo con il titolo Prodotto netto e monopolio, 1905).
Dopo gli studi di perfezionamento all’Università di Berlino, Del Vecchio avviò un’intensa attività scientifica che lo portò a considerare, nell’arco di pochi anni, questioni centrali di teoria monetaria, teoria del capitale e analisi dinamica. Fu poi professore nell’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Trieste (1920-26), e successivamente presso le Università di Bologna (1926-38 e 1945-48); Bocconi (1930-38), Roma (1948-58). Il suo insegnamento accademico fu interrotto dai provvedimenti razziali nel 1938. Fu esule in Svizzera dal novembre 1943 al luglio 1945.
Fu ministro del Tesoro (e, ad interim, del Bilancio) nel governo della Repubblica italiana (1947-48) e governatore per l'Italia membro del Board of Governors del Fondo monetario internazionale (1948-50). Fu socio dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna e socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, professore emerito dell’Università di Roma, councillor e fellow dell’Econometric society, membro dei comitati di direzione di numerose pubblicazioni periodiche, tra le quali «Beiträge zur ökonomischen Theorie», «Econometrica», «Economia internazionale», «Rivista bancaria», «Rivista statistica».
Gli studi monetari di Del Vecchio (iniziati con il lungo saggio I principii della teoria economica della moneta, 1909) sono caratterizzati dal tentativo di delineare una teoria strutturale della moneta e del credito a partire dalla considerazione di «gruppi di vendite» ordinati secondo un criterio di importanza (Grundlinien der Geldtheorie, 1930; Ritorni alla teoria ferrariana del credito, 1930; Ricerche sopra la teoria generale della moneta, 1932). Di particolare rilievo sono anche i suoi contributi alla teoria del capitale. In questi scritti, che furono raccolti nel volume Capitale e interesse (1956), Del Vecchio sviluppa un punto di vista centrato su distribuzione temporale dei capitali, teoria dei depositi (rispetto a produzione e circolazione), teoria del credito e sconto. Le ricerche di analisi dinamica costituiscono un terzo fondamentale nucleo dei suoi scritti. Questi studi richiamano l’attenzione sul fatto che
crisi attraversate dal nostro sistema economico sono fatti secondari di una economia progressiva e non si possono chiarire come perturbamenti di una economia statica (Introduzione a G. Del Vecchio, Capitale e interesse, cit., p. 16).
Questo punto di vista collega gli studi di Del Vecchio alle ricerche di Joseph A. Schumpeter (Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, 1912) e spiega la sua posizione critica nei confronti della teoria keynesiana, sviluppata soprattutto nel saggio La costruzione scientifica della dinamica economica (1952; poi in Id., Capitale e interesse, cit., pp. 408-16). In questo scritto, Del Vecchio richiama la sua concezione che «il ciclo […] è un fenomeno secondario del progresso economico» (p. 415) e critica su questa base il contributo di John M. Keynes:
L’economia keynesiana ignora per principio il lungo periodo: e i cicli dei suoi modelli vivono in un orizzonte economico limitato. Essi ci possono dare il meccanismo di certe oscillazioni. Ma non ci possono dare l’impulso che le mette in moto (p. 416).
Negli scritti di teoria monetaria, teoria del capitale, analisi dinamica, è possibile individuare alcuni tratti comuni che sono così descritti da Federico Caffè:
quando [Gustavo Del Vecchio] vorrà precisare nei termini più generali i criteri di metodo per affrontare i problemi economici nella loro concretezza li individuerà […] nella esigenza di una concezione dinamica e non statica; nel carattere probabilistico e non categorico delle teorie; nella impossibilità di costituire un sistema teorico assolutamente chiuso e nella necessità di accettare una certa misura di frammentarietà (1983, p. 15).
Caratteristica della prima fase dell’attività scientifica di Del Vecchio è la distinzione fra teorie di tipo oggettivo e teorie di tipo soggettivo, e insieme la consapevolezza della stretta connessione tra i rispettivi fenomeni quando si passa allo studio di situazioni concrete (Porta, Scazzieri 1996). A partire da queste premesse egli sviluppa una linea di ricerca che privilegia l’analisi strutturale delle azioni economiche, si concentra sugli schemi di connessione fra azioni nel tempo, e privilegia le forme di interdipendenza collegate a capitale, credito e moneta. Già in Prodotto netto e monopolio osserva che le teorie di tipo oggettivo partono dalla considerazione di un «oggetto concreto» e tendono a formulare «proposizioni approssimative» avvalendosi «di un metodo più che altro induttivo» (p. 77). Obiettivo di tali teorie è lo studio di una «realtà oggettiva, estrinseca e sociale» (p. 77). D’altra parte, le teorie di tipo soggettivo hanno «un oggetto astratto e perciò in parte arbitrario» e formulano «proposizioni rigorose ma ipotetiche» procedendo soprattutto «per deduzione» (p. 77).
La distinzione analitica (e insieme la connessione storico-empirica) fra approccio soggettivo e approccio oggettivo conduce Del Vecchio a identificare l’ambito della scienza economica «precisamente in quel punto in cui si trovano i rapporti – riconosciuti in modo più o meno formale da tutti gli economisti – fra certi motivi economici e certe azioni economiche» (p. 78). L’ambito della teoria del valore è considerato terreno privilegiato per lo studio delle relazioni fra teorie di tipo oggettivo e teorie di tipo soggettivo:
Da un lato dunque si cerca nel valore il fatto concreto, il fenomeno sociale: il numero dei sacchi di grano o il peso della moneta d’oro; dall’altro lato si fa l’analisi minuta dei moventi intimi dell’individuo, si cerca la misura normale per i sentimenti di piacere e di dolore e da questi si deriva la luce per illuminare i processi sociali per cui si scambiano merci e servizi (p. 79).
Secondo Del Vecchio è possibile ricondurre la distinzione fra approccio oggettivo e approccio soggettivo alla distinzione fra metodo della media e metodo del limite:
Il concetto classico del valore è basato sopra la teoria delle medie […] Tutte le variazioni, dipendenti dal tempo, dalle contingenze del mercato, dalle trasformazioni tecniche, dalla diversa proporzione e durata del capitale impiegato […] quali influiscono sulla formazione dei singoli prezzi, sono appunto le forze le quali, per quanto singolarmente considerate tendano a spostare in tutti i modi e tutte le direzioni il fenomeno, con la loro azione combinata debbano ricondurlo alla linea normale (p. 80).
Nelle teorie di tipo soggettivo, invece, si sostituisce al concetto di media il concetto di limite, e si ritiene che tale concetto «nella sua astrazione e generalità [possa] esprimere tutti i fenomeni economici, tutti i fenomeni di valore […] senza altro presupposto che il principio economico del minimo mezzo» (p. 84).
Secondo Del Vecchio, i due punti di vista oggettivo e soggettivo sono difficilmente conciliabili sul piano strettamente analitico:
[I]l limite e la media sono due strumenti non solo diversi, ma inconciliabili: o i rapporti fra il costo ed il valore […] si dispongono con frequenza sempre maggiore intorno ad un punto centrale, e allora hanno nella media la formula necessaria; o non presentano questa particolare disposizione, anzi una frequenza sempre maggiore o costante verso un estremo, ed hanno la norma nel limite (p. 84).
Per quanto sia difficile trovare un punto di conciliazione tra approccio oggettivo e approccio soggettivo sul piano strettamente analitico, il lavoro di Del Vecchio mostra in concreto come il superamento della dicotomia sia ipotizzabile se si passa dalla considerazione di azioni singole a quella di un intero campo di azioni possibili. In questo modo l’area di indeterminazione al cui interno si collocano le scelte soggettive è a sua volta delimitata dalla struttura del campo specifico di volta in volta rilevante.
In questi anni prendono forma gli studi ai quali Del Vecchio dedicherà gran parte della successiva attività scientifica. Si tratta di un programma di ricerca che parte dall’analisi dei «rapporti economici attraverso il tempo» (Introduzione, cit., p. 19) e sviluppa su quella base lo studio della «costituzione tecnico-economica della società» (Sulla teoria economica delle crisi, 1914; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 380). In particolare, è attraverso l’articolazione nel tempo delle rispettive connessioni che si manifestano, secondo Del Vecchio, sia la struttura dei rapporti economici fra le persone sia quella dei rapporti economici fra le cose. In questo modo, egli pone al centro delle sue indagini le posizioni di asimmetria temporale (fra persone o beni) e costruisce su quella base i suoi contributi allo studio di moneta e credito, capitale, crisi e dinamica economica.
Un importante aspetto della riflessione teorica di Del Vecchio è costituito dalle ricerche su capitale e credito, considerati come elementi necessari nello studio dei «rapporti economici attraverso il tempo» (Introduzione, cit., p. 19). In particolare, capitale e credito costituiscono per Del Vecchio aspetti essenziali della «struttura di azioni» attraverso cui si realizza il coordinamento nel tempo di produzione e consumo.
L’analisi del capitale porta Del Vecchio a respingere la concezione secondo cui il capitale dovrebbe essere considerato «come qualche cosa di materiale e per così dire di tangibile» (Introduzione, cit., p. 19) e ad affermare che esso deve al contrario essere trattato come «una categoria economica, cioè in termini semplici uno dei numerosi punti di vista dai quali è possibile e talora conveniente di considerare tutti i fenomeni economici» (p. 19). In particolare, egli osserva che «[l]a nozione di capitale […] è arbitraria» e che la si deve giudicare
non [confrontandola] con un tipo oggettivo esistente, ma [riferendola] ai rapporti di fatto, che [essa deve] contribuire a chiarire. Così la nozione principale di capitale, fuori dalle questioni di nomenclatura, è estesa ad esprimere il complesso della ricchezza esistente e valutata in un punto del tempo; per modo che le discussioni intorno al contenuto della nozione di capitale hanno dovuto cedere il luogo a ricerche più sostanziali intorno ai rapporti economici attraverso il tempo (Il capitale disponibile, 1911; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 289).
In questo modo diviene centrale in Del Vecchio la considerazione delle condizioni strutturali e istituzionali che possono assicurare il coordinamento attraverso il tempo delle azioni economiche, soprattutto nel caso in cui debbano essere esclusi sistemi coercitivi di disposizione nei confronti delle persone. A questo riguardo osserva:
L’economia di una società, in cui è possibile la disposizione dell’attività di un’altra persona, è essenzialmente diversa da quella in cui tale disposizione non è possibile, e però non crediamo di errare, assumendo quest’ultima condizione storica nello studio dell’economia attuale (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, 1908; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 242).
Da questo punto di vista, diviene in gran parte irrilevante la distinzione fra ricchezze materiali e ricchezze immateriali, dal momento che passano in primo piano le posizioni relative possibili in un dato sistema economico e i rapporti fra individui o gruppi che si stabiliscono concretamente sulla base di quelle possibilità. La stessa distinzione fra «soggetti» e «oggetti» dell’attività economica perde di rilievo teorico:
La teoria dei coefficienti economici si presta all’analisi assai meglio di quella che contrappone soggetti e oggetti dell’economia, appunto perché lascia la scelta fra la considerazione degli oggetti, degli atti, delle qualità o dei rapporti a seconda della questione di cui si tratta; ma è in parte arbitraria, perché un coefficiente può essere sostituito nell’enumerazione da parecchi suoi elementi o essere considerato come elemento di uno più comprensivo (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, cit., pp. 266-67).
Una conseguenza importante della centralità assegnata alla natura dei rapporti, piuttosto che a quella di «soggetti» e «oggetti», si ha con il passaggio dalla considerazione di attori isolati a quella di attori che interagiscono nella «economia sociale»:
per l’economia sociale, la quale non è né una serie di economie isolate l’una dall’altra, né un’economia determinata da una sola volontà come un’economia isolata, sorge la questione se vi siano altri beni oltre gli oggetti materiali (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, cit., p. 267).
In questa prospettiva, acquista immediato rilievo il sistema delle posizioni relative fra attori in un contesto dinamico:
L’organizzazione della economia concreta è essenzialmente relativa, rappresenta il risultato di un’opera non mai terminata per avvicinarsi a una condizione di perfetta economicità […] L’organizzazione è dunque una funzione essenzialmente dinamica dell’economia (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, cit., p. 268; corsivo dell’autore).
La divisione del lavoro individua la necessità di un sistema di norme e procedure capaci di assicurare una sufficiente regolarità all’insieme dei rapporti economici attraverso il tempo:
In un’economia a lavoro e in genere a funzioni divise, oltre l’attività produttiva nel senso più stretto, occorre anche quella per attuare gli scambi; la quale anzi ha un’importanza generale assai rilevante e dà luogo a un elemento del costo di produzione, che si può chiamare costo dello scambio (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, cit., p. 243).
Nella prospettiva appena delineata, il capitale di un sistema economico (considerato come «il complesso della ricchezza esistente e valutata in un punto del tempo») è collegato da Del Vecchio all’insieme dei «rapporti economici attraverso il tempo» (Il capitale disponibile, cit., p. 289). In altri termini, l’analisi del capitale come categoria astratta (anziché come analisi dei «beni costituenti il capitale») è riferita al processo di trasferimento di diritti di disposizione sulla ricchezza da un periodo all’altro (e, in linea di principio, da un individuo all’altro). La formazione di capitale attraverso il risparmio è caratterizzata come «quel momento (reale o immaginario) nel quale il capitale non ha ancor trovato la sua forma concreta in un capitale determinato» (Il capitale disponibile, cit., pp. 289-90).
In questo modo, la teoria del capitale viene a essere considerata elemento costitutivo di una più generale teoria della ricchezza, in cui si rivolge attenzione all’insieme dei rapporti intersoggettivi che collegano una persona all’altra attraverso il tempo, e quindi fa dipendere l’esercizio effettivo dei diritti di disposizione alla maggiore o minore «esigibilità» delle promesse ottenute. Un aspetto interessante di questo approccio si ha nell’interesse di Del Vecchio per il collegamento tra risparmio e dinamica sociale, soprattutto per quanto riguarda gli effetti del diverso accrescimento delle classi sociali sui processi di accumulazione (Teoria dell’interesse, 1915, poi in Id., Capitale e interesse, cit., pp. 70-91; si veda anche Caffè 1983, pp. 20-21; Giva 1990, p. 400).
L’attenzione per il coordinamento delle attività economiche attraverso il tempo è anche alla base delle ricerche di Del Vecchio sulla teoria della moneta (Demaria 1961). In quest’ambito, egli muove da un’interpretazione critica delle teorie quantitative (in senso lato) della moneta. Infatti,
[Le teorie quantitative] affermano la dipendenza degli elementi concreti dai rapporti di scambio (prezzo) […] Le variazioni dei prezzi, le oscillazioni dei cambi, dello sconto e dello stesso interesse sono considerati […] quale elemento determinante in modo unilaterale l’equilibrio e la dinamica dei fatti corrispondenti (I principii della teoria economica della moneta, cit.; rist. in Id., Ricerche sopra la teoria generale della moneta, cit., pp. 5-6).
In questo modo, l’analisi economica manca al compito «di determinare i legami di dipendenza dei fenomeni strumentali (prezzi in senso ampio) da quelli fondamentali (quantità concrete) e nello tempo di chiarire la loro reciproca dipendenza» (I principii della teoria economica della moneta, cit., p. 92).
Il superamento della concezione quantitativa della moneta è richiesto, secondo Del Vecchio, dalla considerazione esplicita del tempo di giacenza della massa monetaria in relazione ai requisiti della circolazione di particolari categorie di beni. In questa prospettiva, Del Vecchio (in linea con l’insegnamento di Martello) sottolinea che la questione di «risolvere i problemi dello sconto, dell’interesse, dei cambi nei loro reciproci rapporti ed in quelli con il problema fondamentale dei prezzi» (p. 95) è strettamente connessa alla considerazione del credito e dei suoi rapporti con il coordinamento intertemporale delle attività economiche (si vedano pp. 95-96).
Diviene in questo modo centrale la considerazione delle condizioni strutturali e istituzionali che possono assicurare tale coordinamento, soprattutto nel caso in cui debbano essere esclusi sistemi coercitivi di «disposizione» nei confronti delle persone (Ricchezze immateriali e capitali immateriali, cit., pp. 242-43). La teoria monetaria di Del Vecchio muove da uno schema analitico riferito a uno «stato ipotetico» del sistema economico (I principii della teoria economica della moneta, cit., p. 101) per giungere all’indagine di situazioni concrete che possono «essere oggetto soltanto di un giudizio di approssimazione» (p. 101).
Il primo stadio delle ricerche di Del Vecchio è caratterizzato dall’introduzione del concetto di «gruppo di vendite»:
Un gruppo di vendite è l’insieme delle merci rispetto alle quali un pezzo di moneta non può compiere più di una operazione (o una o nessuna, non una in media). Il gruppo di vendita sarà dunque determinato da un certo periodo di tempo, scorso il quale un pezzo di moneta può servire a compiere un altro atto: questo periodo, se fosse grandissimo (mercato istantaneo a intervalli lunghissimi) determinerebbe un grandissimo valore della moneta; se fosse brevissimo (mercato permanente e continuo) un valore della moneta molto basso (I principii della teoria economica della moneta, cit., pp. 105-06).
L’interesse del concetto di «gruppo di vendite» risiede soprattutto nella possibilità di introdurre la considerazione di aspetti storici e strutturali che il concetto di «massa circolante» (di beni) non consentirebbe di specificare:
la stessa massa circolante [di beni] può dar luogo ad un numero assai diverso di gruppi di vendite, da due in più, a seconda delle varie qualità delle merci e del modo in cui esse sono prodotte e consumate dai diversi individui (p. 106).
Nella prospettiva appena descritta, si delinea quella che potremmo considerare una «teoria strutturale» e «sociale» del credito e della moneta, in cui (sia per il credito sia per la moneta) passa in primo piano la funzione di «intermediario di scambi» (p. 103), capace di assicurare lo «scambio indiretto», cioè il coordinamento fra attività economiche in situazioni in cui vi sia «una differenza di tempo fra il momento in cui uno dà una merce e quello in cui riceve il corrispettivo in un’altra merce» (p. 133). In particolare, secondo Del Vecchio,
[la] teoria della moneta si può esprimere con una serie di equazioni dello scambio, ognuna delle quali ha per oggetto […] una specie di merci e di servigi da far circolare. Siano per esempio da prendere in separata considerazione: titoli (azioni e consolidato ecc.), materie prime e derrate, prodotti finiti all’ingrosso, imposte e fitti, interessi, ecc., servizi personali di varie specie, merci al dettaglio, terre, case ed altri oggetti di prezzo rilevante. Si può in un primo momento supporre che ognuna di queste specie abbia un suo strumento di circolazione (Un capitolo di teoria monetaria, «Rivista bancaria», 1925, 4, p. 238).
Il passaggio dall’economia astratta appena descritta a un’economia monetaria effettiva avviene attraverso la considerazione di una nuova situazione ipotetica, considerata però più vicina alla concrete condizioni in cui avvengono gli scambi di beni:
Sia una società composta di produttori di derrate agricole (grano, diremo per brevità) e di manufatti di consumo immediato, con circolazione esclusivamente monetaria, senza scambi almeno monetari né fra gli agricoltori, né fra i manifattori, ma solo tra gli uni e gli altri e attraverso una classe di intermediari […] [M]anchino del tutto i fenomeni di distribuzione e quelli di circolazione fuori di quelli indicati, relativi a cose semplicemente ed immediatamente utili (manchino dunque atti di circolazione dei fattori di produzione del grano e del manufatto). … [S]ia la massa monetaria omogenea, divisibile, tale da non richiedere spese di trasporto, di conservazione o d’altro, ed in quantità determinata; sia [la massa monetaria] senza nessun’altra funzione o ufficio o servizio, fuor di quello costituito dall’essere effettivo intermediario degli scambi (I principii della teoria economica della moneta, cit., pp. 142-43).
In questa situazione, il valore della moneta viene determinato in base all’ipotesi «che il mercato del grano all’ingrosso ossia l’occasione di vendita degli agricoltori ai mercanti, abbia luogo una volta l’anno e quello dei manufatti ogni giorno» (pp. 144-45). In queste condizioni, «la massa di moneta» avrà un valore «misurato dalla quantità annualmente venduta di grano o, ciò che fa lo stesso, di manufatti» (p. 145). Questa conclusione riflette la concezione, propria di Del Vecchio, della moneta come fondo che svolge la funzione di intermediario degli scambi, rendendo possibile la circolazione dei flussi di prodotti fra i settori del sistema economico.
In particolare, la situazione ipotetica considerata da Del Vecchio consente di individuare condizioni che permettono alla quantità di moneta disponibile in un particolare mercato (un fondo) di facilitare la circolazione dei beni scambiati in quel mercato (un flusso o insieme di flussi). La «riduzione» del fondo a flusso si realizza attraverso un’opportuna suddivisione degli intervalli temporali rilevanti:
Al momento del raccolto gli agricoltori hanno tutto il grano dell’anno, i commercianti una massa di moneta, i manufattori nulla di pronto. I commercianti compreranno con tutta la moneta tutto il grano che sarà venduto nel corso dell’anno; poi giorno per giorno (corsivo aggiunto) acquisteranno dai manifattori il loro prodotto e riavranno la moneta vendendo loro il grano, per modo che in confronto degli agricoltori si troveranno ad avere scambiato il grano contro il manufatto; agli agricoltori di giorno in giorno venderanno il manufatto di cui abbisognano ricevendo di ritorno il denaro pagato per l’acquisto del grano tutto in una volta: in confronto degli agricoltori si troveranno ad avere scambiato manufatto contro grano ed attuato così lo scambio inverso, complementare di quello con gli agricoltori (p. 144).
I contributi di Del Vecchio presentano una sistemazione originale degli atti di produzione e scambio all’interno di una teoria generale dei «rapporti di disposizione». Questa prospettiva richiama l’attenzione sulle interdipendenze strutturali fra le posizioni degli attori o dei gruppi sociali, e sulle «interferenze» tra fenomeni, per cui «certe azioni esercitate in certi campi» hanno effetti «su certi altri campi» (Lezioni di economia applicata, parte II, Politica economica, 1937, p. 55).
Come abbiamo visto, Del Vecchio ritiene essenziale distinguere, sotto questo profilo, fra società costrittive e società non costrittive. In questo secondo caso, l’introduzione della moneta svolge una funzione strutturale fondamentale, nel senso che attraverso la moneta viene immesso nel sistema economico un fondo la cui esistenza permette di effettuare scambi che risulterebbero altrimenti impossibili a causa della mancata sincronizzazione fra produzione e consumo in un’economia «a lavoro e in genere a funzioni divise» (vedi sopra).
Questo punto di vista porta a una serie di interessanti conseguenze per quanto riguarda la teoria del capitale e della dinamica economica. Sotto questo profilo sono centrali le osservazioni di Del Vecchio a proposito della «circolazione del capitale», che egli distingue nettamente sia dalla «statica del capitale» sia dalla «dinamica del capitale». La statica del capitale consiste nella trasformazione del capitale tecnico all’interno di processi produttivi in cui al cambiamento «nella forma tecnica dei singoli beni» fa riscontro «la mancanza di mutamento, propria del capitale» (Il capitale disponibile, cit., p. 299); la dinamica del capitale riguarda processi di accumulazione (o decumulazione) del capitale tecnico ed è collegata a «una produzione in misura maggiore o minore, non più eguale, al consumo» (p. 299). In nessuno dei due casi (statica e dinamica del capitale) possiamo parlare di circolazione del capitale, dal momento che si rimane nel dominio «dei fatti di produzione e di consumo» (p. 300). In senso stretto, secondo Del Vecchio, possiamo parlare di circolazione del capitale solo nel caso in cui avvenga un trasferimento della capacità di disporre di un certo fondo monetario o reale da un certo soggetto a un altro soggetto, come avviene con il credito oppure con alcuni contratti di noleggio e affitto (pp. 300-01).
Le relazioni fra capacità di disporre, credito e circolazione del capitale sono costitutive dei sistemi economici a funzioni e lavoro divisi, e sono a fondamento di alcuni degli aspetti più caratteristici dei processi dinamici che hanno luogo in sistemi economici di quel tipo. In particolare, il credito «consente atti di scambio i quali non sarebbero possibili in regime puramente monetario» (Il credito in generale, 1931; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 305). Esso «serve a rendere la disponibilità, non soltanto qualitativa ma anche quantitativa, delle ricchezze indipendente dalla loro distribuzione fra i vari individui» (p. 305).
Su queste basi Del Vecchio costruisce la propria teoria delle crisi economiche distinguendo tra il «fatto della crisi» che si può «prospettare anche in economia pura» (Sulla teoria economica della crisi, 1914; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 379) e le crisi caratteristiche di una moderna economia capitalistica. In termini generali
si ha un fatto di crisi ogni qualvolta vi sono dei beni o degli individui, i cui servigj attuali hanno utilità finale nulla o sono disponibili in tale quantità ed in tali condizioni, che conviene piuttosto conservarli per il futuro che impiegarli di mano in mano che si rendono disponibili (p. 379).
D’altra parte, la teoria delle crisi che può essere costruita a partire dalle premesse dell’economia pura non può dare conto con precisione dei caratteri specifici delle crisi economiche nell’economia moderna. Occorre quindi passare dagli schemi concettuali dell’economia astratta alla considerazione delle crisi in sistemi economici caratterizzati da
produzione molto estesa nel tempo […] produzione con ingenti capitali fissi a logorio lento, […] consumo di beni molto durevoli, […] distinzione fra salariati ed imprenditori e fra lavoratori e proprietari, uso dello scambio per mezzo di moneta o di credito (p. 380).
Fra questi aspetti, Del Vecchio segue Albert Aftalion (Les crises périodiques de surproduction, 1913) nell’assegnare particolare importanza alla distinzione tra capitale fisso e capitale circolante, e al determinarsi di uno squilibrio (proporzione errata) tra le due forme di capitale (si vedano Sulla teoria economica delle crisi, cit., pp. 386-88; Lezioni di economia applicata, parte I, Dinamica economica, 1937, pp. 163-64). Del Vecchio tuttavia critica il tentativo di Aftalion di cercare «la spiegazione di fatti generali in considerazioni capaci di spiegare soltanto dei fatti parziali del mercato» (Sulla teoria economica delle crisi, cit., p. 377) e individua la spiegazione delle crisi economiche moderne nella specifica «costituzione tecnico-economica della società» (p. 380). È caratteristica di quella costituzione la destinazione nei processi produttivi di beni strumentali collegati da rapporti che sono al tempo stesso di complementarietà e asimmetria per quanto riguarda i rispettivi profili di utilizzazione. Questo fa sì che la dinamica economica nelle fasi di prosperità economica dia luogo a «una rottura di equilibrio non fra produzione e consumo ma fra produzione e produzione» (p. 386). In particolare, le fasi di espansione economica tendono, secondo Del Vecchio, a generare asimmetrie crescenti nella struttura produttiva, con alcuni beni prodotti in quantità eccessiva e altri beni prodotti in quantità insufficiente.
Un esempio è la disponibilità rispettiva di impianti ferroviari e carbone nella fase di passaggio dalla prosperità alla depressione:
è facile riscontrare come [gli impianti ferroviari] abbiano tutte le qualità per cui è facile si determini la sovrapproduzione e nessuna di quelle, per cui la correzione è facile, ed al contrario [il carbone] ha complessivamente in alto grado le opposte attitudini. E l’esperienza anche recente insegna come la fame del carbone e gli eccessivi impianti ferroviari sono tra i fatti salienti del passaggio dalla prosperità alla depressione (p. 388).
Più in generale, nella fase di avvio della depressione,
è tutta la produzione che ha assunto una posizione disarmonica […] fra la fine del movimento ascendente, segnalata spesso da un panico di borsa, e l’inizio della depressione, così della produzione come dei prezzi, vi è un periodo, il più drammatico forse della vicenda economica, nel quale diventa sensibile questa disarmonia nella produzione e si cerca di porvi riparo senza riuscirvi (p. 388).
In uno scritto successivo, di fronte alla crisi dei primi anni Trenta, Del Vecchio conferma la centralità della proporzione fra categorie di beni strumentali, anche se introduce una precisazione di grande interesse rispetto alla distinzione tra capitale fisso e capitale circolante:
Lo schema tradizionale attribuisce una grande importanza alla contrapposizione tra capitale fisso e capitale circolante in connessione con la tecnica arretrata della prima metà del secolo passato, nella quale la produzione aveva ancora un carattere prevalentemente manuale, anche se la macchina aveva fatto il suo ingresso nel sistema industriale. Oggi al contrario, dacchè la macchina genera non solo il prodotto industriale, ma anche contribuisce in misura prevalente a tutte le materie prime e le derrate, il significato della distinzione tra capitale fisso e capitale circolante […] non ha più preciso riscontro in quelle che sono le condizioni dei beni più significativi per il processo economico ed in particolare per le loro crisi (Aspetti teorici della crisi mondiale, 1932; poi in Id., Capitale e interesse, cit., p. 402).
Un aspetto caratteristico della classica spiegazione strutturale delle crisi economiche (le proporzioni fra componenti del capitale tecnico complessivo) rimane essenziale per spiegare la nuova crisi, anche se in condizioni produttive in cui «quasi tutto il capitale» è divenuto «capitale fisso, almeno nel senso che la stessa produzione di capitale circolante è prevalentemente opera di capitale fisso», per cui «la fondamentale distinzione tra capitale fisso e capitale circolante deve assumere una più sottile e complessa formulazione anche con riferimento alla teoria delle crisi» (p. 402).
In altri termini, Del Vecchio ritiene che una spiegazione delle crisi rilevante per specifiche configurazioni tecnico-economiche non possa prescindere dall’individuazione della forma particolare che assume la proporzione tra componenti della dotazione complessiva di beni strumentali. Fermo restando il criterio strutturale fondamentale (la proporzione tra componenti del capitale complessivo di un sistema economico) si ritiene opportuno superare la distinzione qualitativa, considerata obsoleta, tra capitale fisso e capitale circolante, sostituendo a essa una diversa formulazione (che in questo caso è soltanto accennata).
Più in generale, Del Vecchio sottolinea l’importanza dei criteri di disposizione sui beni prevalenti in ciascun sistema economico, e quindi la centralità dei principi organizzativi e istituzionali che guidano la distribuzione della capacità di disporre all’interno del sistema sociale. Quest’ultima determina a sua volta il maggiore o minore grado di «esigibilità» della disposizione (e quindi il maggiore o minore grado di liquidità del capitale), a seconda della maggiore o minore prossimità dei beni rispetto alla fase di «esaurimento nel consumo» (Sulla teoria economica delle crisi, cit., p. 389).
Questa configurazione tecnico-sociale interagisce con condizioni di «generale progresso economico» (p. 389) che, da un lato, riproducono di volta in volta condizioni di differente liquidità tra diverse componenti del capitale complessivo di un sistema economico, dall’altro, determinano «una straordinaria svalutazione di tutti gli impianti, cioè di tutti i capitali fissi in quanto ne abbassa sostanzialmente il costo di riproduzione sotto quello che è stato il costo di produzione» (Aspetti teorici della crisi mondiale, cit., pp. 403-04). In questo modo, progresso economico e crisi si rivelano strettamente connessi, sia nel senso che le crisi liquidano posizioni consolidate e realizzano forme di rinnovo delle «aristocrazie economiche», sia nel senso che attraverso movimenti di espansione economica si determinano squilibri strutturali che sono all’origine delle crisi (La costruzione scientifica della dinamica economica, cit., p. 415; si veda anche Le crisi e le teorie economiche, 1927).
Preliminari alla teoria del monopolio, Bologna 1904 (rist. in forma ampliata con il titolo Prodotto netto e monopolio, Bologna 1905).
I principii della teoria economica della moneta, «Giornale degli economisti», 1909, settembre, pp. 254-72, novembre-dicembre, pp. 507-53 (rist. in Id., Ricerche sopra la teoria generale della moneta, Milano 1932).
Un capitolo di teoria monetaria, «Rivista bancaria», 1925, 4, pp. 236-42.
Le crisi e le teorie economiche, «Giornale degli economisti e rivista di statistica», s. IV, 1927, gennaio, pp. 109-19.
Grundlinien der Geldtheorie, in Beiträge zur ökonomischen Theorie, Tübingen 1930.
Ritorni alla teoria ferrariana del credito, in Economia politica contemporanea. Saggi di economia e finanza in onore del prof. Camillo Supino, Padova 1930, pp. 239-50.
Ricerche sopra la teoria generale della moneta, Milano 1932.
Lezioni di economia applicata, parte I, Dinamica economica; parte II, Politica economica, Padova 1937.
Capitale e interesse, Torino 1956.
In quest’ultimo volume sono raccolti molti saggi, già in precedenza pubblicati, tra cui di particolare rilievo:
Ricchezze immateriali e capitali immateriali (1908), pp. 208-80.
Il capitale disponibile (1911), pp. 281-304.
Sulla teoria economica delle crisi (1914), pp. 370-96.
Teoria dell’interesse (1915), pp. 23-107.
Il credito in generale (1931), pp. 305-14.
Aspetti teorici della crisi mondiale (1932), pp. 396-408.
La costruzione scientifica della dinamica economica (1952), pp. 408-16.
G. Demaria, Conversazioni bibliografiche: Gustavo del Vecchio, «Giornale degli economisti», n.s., 1954, 9-10, pp. 499-532.
G. Demaria, La moneta nell’equilibrio economico generale, «Giornale degli economisti», 1961, 11-12, pp. 680-700.
F. Caffè, Gustavo del Vecchio, quale Ministro del Tesoro, «Giornale degli economisti e annali di economia», n.s., 1973, 11-12, pp. 811-25.
L. Dal Pane, Commemorazione di Gustavo del Vecchio, «Giornale degli economisti e annali di economia», n.s., 1973, 11-12, pp. 826-36.
F. Caffè, Gustavo del Vecchio (1883-1972), in F. Caffè, Frammenti per lo studio del pensiero economico italiano, Milano 1975, pp. 71-88.
F. Caffè, Introduzione ad Antologia di scritti di Gustavo del Vecchio nel centenario della nascita, a cura di F. Caffè, Milano 1983, pp. 13-23.
F. Caffè, Gustavo del Vecchio, in The new Palgrave. A dictionary of economics, ed. J. Eatwell, M. Milgate, P. Newman, London-Basingstoke, 4° vol., 1987, pp. 800-01.
G. Gozzi, R. Scazzieri, Economics at Bologna. Studies in the history of economic theory, Bologna 1988.
D. Giva, Del Vecchio Gustavo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 38° vol., Roma 1990, ad vocem.
P.L. Porta, R. Scazzieri, Produzione, ricchezza e struttura delle azioni umane. Percorsi della teoria economica da Tullio Martello a Gustavo del Vecchio, relazione presentata alla XXXVII Riunione scientifica annuale della Società italiana degli economisti (Bologna 25-26 ottobre), 1996.
G. Antonelli, Gustavo del Vecchio, in La cattedra negata: dal giuramento di fedeltà al fascismo alle leggi razziali nell’Università di Bologna, a cura di D. Mirri, S. Arieti, Bologna 2002, pp. 177-83.