MODENA, Gustavo
– Nacque a Reggio Emilia il 21 ag. 1876 da Flaminio e Arianna Beer, in una agiata famiglia ebrea. Nel 1894 rimase orfano del padre insieme con i suoi cinque fratelli.
Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Modena, si laureò a pieni voti il 5 luglio 1901 con A. Tamburini, discutendo una tesi dal titolo «Paralisi cerebrale infantile. Forma emiplegica». Durante il terzo anno di medicina (1897-98) fu ammesso a frequentare il laboratorio di anatomia normale diretto dal prof. R. Fusari, allievo di C. Golgi, e dal 1898 al 1901, durante i mesi di vacanza, fu allievo interno del San Lazzaro di Reggio nell'Emilia, l’istituto psichiatrico allora più avanzato in Italia, del quale frequentò i laboratori scientifici e le sezioni cliniche. Ancora studente, nel 1900 pubblicò il suo primo articolo, La fine struttura delle cellule nervose nella Rivista sperimentale di freniatria (XXVI, pp. 3-26), della cui redazione entrò a far parte tre anni più tardi.
Dopo la laurea, dal settembre 1901 all’aprile 1902, frequentò la clinica delle malattie nervose e mentali di Vienna, allora diretta da R. von Krafft Ebing. Nello stesso periodo visitò spesso l’ambulatorio delle malattie nervose e il laboratorio di anatomia normale e patologica del sistema nervoso, diretto da H. Obersteiner. Nel maggio 1902 fu nominato medico praticante nel frenocomio di San Lazzaro, dove prestò servizio di assistente nella sezione maschile. L’anno successivo fu designato presso il manicomio di Ancona, che dal 1888 era diretto da G. Riva, e nel 1906 ne divenne primario con funzioni di vice-direttore. Il M. era arrivato ad Ancona poco dopo l’inaugurazione nel 1901 del nuovo e grande ospedale psichiatrico, presso il quale avviò immediatamente un laboratorio suddiviso in tre sezioni (anatomica, istologica e batteriologica).
Fra ottobre e novembre del 1907 si recò a Monaco di Baviera per seguire il corso superiore di perfezionamento in clinica delle malattie mentali, tenuto dal professor E. Kraepelin e frequentato da molti studiosi stranieri. Poco dopo riportò pubblicamente la sua esperienza bavarese in una lettera indirizzata a R. Tambroni, direttore del Giornale di psichiatria e tecnica manicomiale, nonché responsabile del manicomio di Ferrara.
«Durante gli intervalli tra una lezione e l’altra – scriveva –, nei ritrovi serali tra i colleghi convenuti a Monaco, il discorso di attualità, l’argomento principe delle più vivaci discussioni era dato dalla dottrina di Freud e Jung, dal metodo psico-analitico nello studio e nella cura dell’isterismo e della demenza precoce» (Il corso di perfezionamento presso la clinica psichiatrica di Monaco, in Giorn. di psichiatria e tecnica manicomiale, XXXV [1907], p. 759). E, con tono scettico ma anche ammirato, concludeva scrivendo: «Nonostante tutto, l’entusiasmo dei seguaci di queste dottrine non si attenua e nella breve prefazione al suo lavoro l’Jung non esita a fare un parallelo fra Freud e Galileo: sarà davvero il metodo psicoanalitico il cannocchiale che ci permetterà di scoprire l’oscuro orizzonte di queste oscure malattie?» (ibid., p. 760). Inoltre, durante quel soggiorno ebbe modo di conoscere E. Jones, il futuro biografo di Freud, con il quale rimase in contatto per diversi anni.
Nel biennio 1908-09 il M. pubblicò, nella Rivista sperimentale di freniatria ()XXXIV, pp. 657-670; XXXV. pp. 204-217), Psicopatologia ed etiologia dei fenomeni psiconevrotici: Contributo alla dottrina di S. Freud, uno fra i primissimi saggi italiani dedicati alla psicoanalisi, di cui fece partecipe lo stesso Freud, come questi riferisce in una lettera a C.G. Jung (Lettera 167F, del 12 dic. 1909, in S. Freud, Epistolari. Lettere tra Freud e Jung 1906-1913, Torino 1990, p. 293).
In questo contributo il M. collocava l’opera freudiana all’interno della ricerca psicopatologica tedesca e ne illustrava ampiamente lo sviluppo e i temi principali, dando inoltre voce a sostenitori e critici dell’approccio psicoanalitico. Pur sottolineando la debolezza degli aspetti metodologici della teoria «che […] sfugge al controllo e all’obiettività» (Psicopatologia…, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXIV [1908], p. 657), riconosceva che si trattava di «problemi che meritano ancora ampio studio di analisi e di ricerche» e lamentava, in accordo con S. De Sanctis, che «in Italia si dà ancora un troppo limitato valore alle ricerche e ai metodi psicopatologici» (Psicopatologia…, ibid., XXXV [1909], p. 217).
Nella stessa lettera in cui menzionava a Jung «un certo dottor Modena di Ancona», Freud asseriva che il M. gli avesse «chiesto informazioni per una traduzione nella sua lingua». Secondo E. Jones, infatti, il M. era impegnato nella traduzione dei Tre saggi sulla teoria della sessualità (E. Jones, Vita e opere di Sigmund Freud, Milano 2000, p. 364), come testimonia lo stesso Freud in un'altra missiva diretta a Jung in cui gli comunicava di aver ricevuto la visita, nell’aprile 1910 a Vienna, da parte di un certo M., «un giudeo italiano tutto nero» (lettera 185F del 12 apr. 1910, in S. Freud, Epistolari..., p. 330) che era in cerca di un «editore per la Teoria sessuale» (lettera 187F del 22 apr. 1910, ibid., p. 335). Qualche mese prima aveva, invece, scritto all’amico di Zurigo che «quel Modena di Ancona, che si era fatto avanti per una traduzione, non ha più scritto» (lettera 171F del 2 genn. 1910, ibid., p. 304). In realtà, i Tre saggi sulla teoria della sessualità videro la luce in edizione italiana soltanto nel 1921 a opera dello psichiatria M. Levi Bianchini, che nel 1915 aveva fondato la collana «Biblioteca psicoanalitica italiana».
Intanto, nel 1908 il M. aveva avuto l’opportunità di compiere un viaggio di studio attraverso i manicomi tedeschi (Appunti di tecnica manicomiale (a proposito di una visita fatta ad alcuni istituti della Germania), in Giorn. di psichiatria e tecnica manicomiale, XXXVI [1908], pp. 354-360). L’anno successivo, mentre ricopriva la carica di vicedirettore del manicomio di Ancona, aveva presentato istanza di conseguimento della libera docenza in clinica delle malattie nervose e mentali presso la R. Università di Roma, che gli sarebbe stata accordata nel 1910. Già nel 1905 aveva inoltrato la domanda per l’acquisizione della libera docenza per psichiatria e neuropatologia presso l’Università di Modena, senza però ottenerla. Nel 1911 sposò Giulia dei conti Bonarelli di Castelbompiano, figlia del sindaco di Ancona e appartenente a una nobile famiglia cattolica. Diciannovenne, ella era allora studentessa di medicina a Bologna, dove si sarebbe laureata nel 1916 per poi affiancare il marito nella gestione di attività assistenziali durante la Grande Guerra (G. Bonarelli Modena, Neurologia di guerra in Francia, in Rivista sperimentale di freniatria, XLII [1917], 1, pp. 279-297) e, dopo, nel manicomio, dove si occupò soprattutto di elettroterapia. Il 1° apr. 1913 il M. fu incaricato della direzione interna dell’istituto psichiatrico anconetano, di cui venne ufficialmente nominato direttore nell’agosto dello stesso anno in seguito a concorso, dove ebbe commissari A. Donaggio, successore di Tamburini, e G. Mingazzini, anconetano, direttore della clinica psichiatrica di Roma.
Nel 1915, sulla rivista di E. Morselli, (Quaderni di psichiatria, II [1916], 6, p. 241), uscì un nuovo articolo del M. su La psicoanalisi in neuropatologia e in psichiatria, che elogiava la «genialità dello psicologo viennese», nonché «la novità di alcune sue coraggiose vedute». Nonostante questi entusiasmi, però, il M. ricercava una posizione di equilibrio tra un approccio clinico fondato su dati sperimentali e l’innovativa centralità attribuita, nello studio della psicopatologia, a concetti quali «l’imperio della sessualità, il valore dei sogni ecc…» (ibid., p. 242). Egli, cioè, si poneva in una posizione di «benevola aspettativa» nei confronti della terapia psicoanalitica, attendendo che «una più larga esperienza personale e di altri ci dia qualche maggior argomento, qualche più valida prova delle affermazioni di Freud e dei suoi seguaci» (p. 248).
Scoppiata la prima guerra mondiale, il M. organizzò e diresse, presso il manicomio di Ancona, un centro neurologico destinato alla cura e alla rieducazione degli invalidi di guerra (Il Centro neurologico di Ancona. Organizzazione. Risultati: comunicazione alla III Conferenza interalleata per l’assistenza agli invalidi di guerra, Roma… 1919, in Giorn. di psichiatria e tecnica manicomiale, XLVIII [1920], 1-2, p. 259). Nel 1916 con la moglie compì un viaggio in Francia su incarico dell’Ispettorato di sanità militare, per verificare l’organizzazione dei servizi per neurotraumatizzati; e rimase ammirato dalla loro efficacia e impostazione, come riportò in un resoconto pubblicato nella Rivista sperimentale di freniatria (L’organizzazione dei Centri neurologici in Francia, XLII [1917], 1, pp. 344-355). Sulla scia di questa esperienza si fece promotore ad Ancona di ulteriori iniziative assistenziali, quali l’apertura di una scuola di arti e mestieri e di una colonia agricola per mutilati, oltre alla realizzazione di un’officina di protesi. Nel manicomio avrebbe anche aperto una ricca biblioteca, inaugurata nel 1920 e dedicata al maestro scomparso l’anno prima (La commemorazione di Augusto Tamburini. L’inaugurazione della biblioteca del manicomio, Ancona 1922). Il M. da tempo si era inoltre impegnato nella lotta contro l’alcolismo (Alcoolismo nella provincia di Ancona nel triennio 1909-1911, Pesaro 1912).
Vicepresidente della Società freniatrica italiana per molti anni e socio onorario della Société française de neurologie, oltre che tra i fondatori della Società medico-chirurgica marchigiana, nel 1925 il M. divenne membro dell’Accademia marchigiana di scienze, lettere e arti. Su suo progetto, e sotto la sua direzione, nel 1925 venne istituito un Ufficio statistico delle malattie mentali, appoggiato dall’Istituto italiano di igiene, previdenza e assistenza sociale col concorso dei ministeri di Economia nazionale e degli Interni e della Provincia di Ancona. Corrispondente del neonato Istituto nazionale di statistica, elaborava i dati su Le malattie mentali in Italia: relazione statistico-sanitaria sugli alienati presenti nei luoghi di cura al 1° genn. 1926 con un riassunto sulle condizioni dell'assistenza e sull'ordinamento degli ospedali psichiatrici in Italia (a cura di G. Modena, Roma 1928), registrando, fra l’altro, che l’alto numero dei malati di mente dipendeva anche dalla scarsa mobilità manicomiale (La morbosità per malattie mentali in Italia nel triennio 1926-1927-1928, Roma 1933). Collocato all’interno del manicomio anconetano, nel 1939 l'Ufficio sarebbe stato trasferito a Roma presso l’ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà.
Negli anni Venti, intanto, l’atteggiamento del M. nei confronti della psicoanalisi, dapprima partecipe e curioso, divenne polemico e sfavorevole.
Nel suo intervento al XVI Congresso della Società italiana di freniatria a Roma nel 1923 (Nosografia e patogenesi delle psiconeurosi, in Riv. sperimentale di freniatria, XLVIII [1924], 1, pp. 28-53), dichiarò che «le prime ammissioni di Freud restavano in parte in un terreno di equilibrata interpretazione […], ma poi la costruzione di una "soprastruttura" […] la "pesca nell’anima" fece deviare la valutazione scientifica e obiettiva […] inquinando la scienza di una psicologia trascendentale e danneggiando anche molti buoni elementi e molte geniali vedute» (ibid., p. 33). In particolare il M. confessò di essere stato «attratto dalle opere di Freud e illuso della azione utile anche terapeutica del metodo», tanto da aver «applicato in tre casi i metodi psicoanalitici», per poi concludere che «in dodici anni di sereno esame della letteratura psicoanalitica e di ricerca di casi guariti con la terapia di Freud, non ho trovato una prova sicura della utilità specifica di questo metodo di cura: non credo che altri possano dimostrarmi il contrario» (ibid., p. 35).
Dopo aver confutato l’efficacia del metodo freudiano e averne criticato il pansessualismo, volle rivolgere la sua attenzione, piuttosto, al legame tra lesioni organiche e alterazioni della personalità e ai progressi dell’endocrinologia. Per il M. non era possibile subordinare le condizioni organiche agli elementi psicologici come era intenzione degli psicoanalisti; «primo in Italia a far conoscere le idee di Freud e per qualche anno illuso del valore curativo», gli parve dunque opportuno enunciare pubblicamente una «revisione del precedente ottimismo» (ibid., p. 36).
Con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione dell’11 apr. 1929, il M. ebbe definitivamente confermata l’abilitazione alla libera docenza in clinica delle malattie nervose e mentali presso le Università. A seguito del terremoto dell’ottobre 1930, si avviarono dei lavori di ricostruzione del manicomia di Ancona, diretti dall’ingegner G. Beer, vicepresidente della Provincia e zio del Modena; la nuova palazzina della direzione venne inaugurata il 4 nov. 1934 con un discorso del M. dai toni entusiasti riguardo il fascismo.
Nonostante ciò, con la promulgazione delle leggi razziali in Italia, il 23 nov. 1938 il M., in quanto ebreo, fu esonerato dalla direzione del manicomio, che occupava da ben venticinque anni, da parte dell’amministrazione provinciale. In realtà egli si era già ritirato nella sua casa di Roma, in congedo per motivi di salute, dopo la morte della giovane moglie Giulia (19 ag. 1936), che lo aveva affranto. Aveva allora affidato la guida dell'ospedale al suo vice N. De Paoli. Dal 1° genn. 1939 lasciò definitivamente l’incarico e perse anche la carica di vicepresidente della Società italiana di psichiatria. Nel dopoguerra questa gli fu immediatamente restituita, mentre l’amministrazione provinciale anconetana aveva già tentato nel 1944, sotto il comando alleato, di riparare all’espulsione del noto psichiatra dalle istituzioni cittadine. Secondo la bozza di delibera conservata presso gli archivi provinciali, si intendeva conferire al M. la qualifica di direttore emerito del manicomio e affidargli l’oneroso compito di guidare la ricostruzione postbellica in ambito psichiatrico. A tale progetto, però, si oppose colui che dal 1939 aveva assunto la carica che era stata del M., G. De Nigris, il quale volle fermamente ribadire la natura puramente onorifica di quella qualifica. L’annosa vicenda della reintegrazione del M. si sarebbe protratta negli anni, finché nel 1950 gli venne riconosciuta la ricostruzione di carriera che dava continuità amministrativa anche agli anni dell’espulsione per motivi razziali, restituendogli così denaro e anzianità di servizio.
Nel 1946, al primo Congresso nazionale degli psichiatri nel dopoguerra, il M. pronunciò un vibrante discorso inaugurale facendo voti affinché la Repubblica Italiana avesse una completa ed esemplare organizzazione sanitaria, in cui venisse contemplata anche la funzione sociale della neuropsichiatria (Parole dette alla Seduta inaugurale del XXIII congresso della Società italiana di psichiatria, in Rass. di studi psichiatrici, XXXV [1946], pp. 3 s.).
Il M. trascorse gli ultimi anni di vita nella capitale, rimanendo ancora attivo come clinico e uomo di cultura. Morì a Roma il 13 apr. 1958. La salma fu traslata al cimitero delle Tavernelle di Ancona.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Liberi docenti, Serie prima (1910-30), b. 220: G. M.; Arch. di Stato di Ancona, Arch. della Provincia di Ancona, Titolo XIV, Ospedale neuropsichiatrico, bb. 46 (1901-10), 99 (1911-20), 132 (1921-30); manca la busta relativa agli anni seguenti. Sull’attività e situazione del manicomio, vedi le singole annate dell'Annuario del manicomio provinciale di Ancona (Ancona), per gli anni 1903-25. M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino 1990, pp. 58, 147 s., 164 s., 179; A. Vanni et al., La prima comunicazione scientifica sulla psicoanalisi in Italia. La lettera di G. M. al Giornale di psichiatria clinica e tecnica manicomiale, Ferrara 1907, in L’Arcispedale S. Anna di Ferrara, XL (1990), 1, pp. 41-46; G. Rocca, G. M. e le origini della psicoanalisi in Italia, in Psicoterapia e scienze umane, XXXVII (2003), 1, pp. 97-111; C. Pierpaoli - G. Ceccarelli, G. M.: tra psichiatria e psicoanalisi, in La psicologia in Italia: nuovi saggi storiografici, a cura di G. Ceccarelli, Urbino 2003, pp. 53-108; V. Babini, La storia della psichiatria italiana del Novecento: i primi venti anni, in Psicoterapia e scienze umane, XL (2006), 3, pp. 617-648 (in partic. pp. 629-631, 639, 643); S. Fortuna, Il manicomio di Ancona e la biblioteca A. Tamburini, in Il 46° Congresso della Società italiana di storia della medicina (1907-2007), a cura di S. Colucci, Siena 2007, pp. 151-157; C. Pierpaoli, G. M. e la psicoanalisi in Italia, in Lettere dalla facoltà. Boll. della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università politecnica delle Marche, XI (2008), 2, pp. 41-46; P.F. Peloso, La guerra dentro: la psichiatria italiana tra fascismo e resistenza 1922-1945, Verona 2008, pp. 118, 157 s., 164, 200; S. Fortuna, Il trattamento dei malati mentali ad Ancona (1749-1978), in Manicomi marchigiani: le follie di una volta, a cura di G. Danieli, Ancona 2008 [ma 2009], pp. 147-168.