QUARELLI, Gustavo
QUARELLI, Gustavo. – Nacque a Torino, il 14 giugno 1881.
Si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Torino conseguendo la laurea a pieni voti nel 1905. Aveva studiato presso l’Istituto di patologia generale con Cesare Sacerdoti e Benedetto Morpurgo. Passò quindi alla clinica medica generale diretta da Camillo Bozzolo, dove venne nominato assistente volontario, assistente effettivo (1912) e quindi, nel 1915, primo assistente.
Conseguita nel 1913 la libera docenza in patologia speciale medica, iniziò il suo corso libero sulle malattie dei lavoratori presso l’Università di Torino. Si interessò principalmente alla terapia della sifilide con il preparato di Erlich-Hata, ma anche alla tossicologia industriale studiando l’intossicazione acuta da paraldeide e l’azione della nitroglicerina sui lavoratori e sui loro familiari (Sull’avvelenamento da nitroglicerina negli operai del dinamitificio di Avigliana, in Atti del IV Congresso nazionale per le malattie del lavoro (malattie professionali), a cura di A. Ranelletti, Roma 1913, pp. 259-263).
Nel corso della prima guerra mondiale svolse il ruolo di consulente medico presso la direzione della sanità territoriale del I corpo d’armata con ricerche sulla vaccinazione endovenosa contro il colera e l’infezione eberthiana, sulla spirocherosi ittero-emorragica sperimentale e sulla diagnosi precoce e sulla terapia della malaria. Ciò gli valse la medaglia d’argento per la salute pubblica e quella della sanità.
Nel primo dopoguerra sviluppò un progetto di ricerca tendente a valorizzare il lavoro graduato e sorvegliato come fonte di immunizzazione attiva e quindi di terapia per la tubercolosi. I risultati vennero compendiati in una monografia (Lavoro e tubercolosi: capacità al lavoro dei tubercolotici, autoimmunizzazione dei tubercolotici col lavoro (metodo di Paterson), cura di lavoro ed elioterapia..., Torino 1922).
Nel 1922 vinse il concorso per primario di medicina all’ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista e della città di Torino. Gli furono affidati compiti organizzativi della sanità torinese e divenne membro del Consiglio provinciale di sanità, sovraintendendo alla costruzione del nuovo ospedale Le Molinette. È in questa fase che Quarelli, ripercorrendo la strada tracciata da Luigi Devoto a Milano e da Luigi Ferrannini a Napoli e, per alcuni aspetti, da Aristide Ranelletti a Roma e in seguito da Francesco Molfino a Genova, si adoperò per l’istituzione di un reparto clinico per lo studio e la cura dei malati di lavoro; obiettivo raggiunto nel 1926 con l’istituzione di dieci letti presso l’ospedale di S. Giovanni. Nasceva così e si sviluppava la medicina del lavoro a Torino, ottimo punto di osservazione delle numerose patologie dipendenti dalle attività lavorative.
Si trattava di una medicina del lavoro che si svolgeva prevalentemente al letto del malato e non nelle botteghe e nelle fabbriche, sganciata da approfondimenti tecnici nel campo dell’igiene industriale, diventando solo secondariamente denuncia sociale e istanza per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Le riforme del periodo giolittiano (1902-15) avevano formalmente allargato la tutela dei diritti dei lavoratori, ma non nel campo specifico della protezione della salute. Marginale era il ruolo dell’Ispettorato del lavoro, privo di una componente medica almeno fino all’arrivo, nel 1914, di Luigi Carozzi, il ‘braccio sinistro’ di Devoto a Milano, impegnato poi nel commissariato per le Fabbricazioni di guerra prima di trasferirsi a Ginevra per dirigere il Servizio di igiene del lavoro dell’Ufficio internazionale del lavoro. I controlli in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro venivano delegati da parte dello Stato a un organismo nato da una associazione degli industriali, il futuro Ente nazionale per la propaganda e quindi per la prevenzione contro gli infortuni (ENPI).
Quarelli e i suoi allievi, Angelo Viziano, Giovan Battista Audo Giannotti, Giuseppe De Dominicis e Alberto Velicogna ebbero modo di studiare da un punto di vista clinico e sperimentale l’intossicazione da solfuro di carbonio tra gli addetti alla produzione della seta artificiale (la viscosa). L’industria occupava circa 20.000 lavoratori a basso costo in 27 aziende e l’Italia era divenuta il secondo produttore mondiale, dopo gli Stati Uniti, della fibra sintetica. Veniva impiegato circa mezzo chilogrammo di solfuro di carbonio per ogni chilogrammo di filato prodotto, per una produzione di circa 4 milioni di chilogrammi al mese. Quarelli presentò le sue ricerche a un congresso internazionale (Intossicazione da solfuro di carbonio della lavorazione di seta artificiale..., in Il contributo dell’Italia al V Congresso medico per gli infortuni del lavoro e per le malattie professionali, Roma 1929, pp. 805-818) divenendo un esperto di solfocarbonismo riconosciuto a livello nazionale e internazionale.
Accanto alle manifestazioni del tipo parkinsoniano postencefalitico, in questi lavoratori vennero descritte manifestazioni non dissimili da quelle dell’encefalite epidemica chiamata letargica. Le ricerche sperimentali eseguite nell’Istituto torinese dimostrarono lesioni del corpo striato e della regione ipotalamica, oltre all’alterazione del ricambio del calcio. Nel 1934 Quarelli comunicò la sintesi delle sue ricerche (Due primi casi di crisi narcolettiche in intossicati da solfuro di carbonio, con sindrome striata, in Atti dell’XI Congresso nazionale di medicina del lavoro, Torino 1935, pp. 269-275). La malattia si manifestava con diminuzione della forza muscolare e della potenza sessuale, con ipoeccitabilità dei nervi e dei muscoli e, in quasi il 30% dei casi, con segni di sofferenza extrapiramidale. Una sindrome extrapiramidale nell’avvelenamento da solfuro di carbonio, nota anche come sindrome di Quarelli, fu in seguito riconosciuta e confermata da altri studiosi, e non solo in Italia.
Furono descritti altri tipi di disturbi, neurologici o non, nei lavoratori della seta artificiale con manifestazioni così varie da far concludere che nel solfocarbonismo può succedere qualsiasi cosa. Solo nel decennio successivo Enrico Carlo Vigliani in Italia, Alice Hamilton negli Stati Uniti, e altri autori stranieri stabilirono che l’intossicazione cronica da solfuro di carbonio produceva un’encefalopatia diffusa, arteriosclerotica, con segni e sintomi molto diversi da caso a caso. Nei primi anni dell’industria i casi di psicosi acuta venivano ricoverati presso i manicomi e sfuggivano all’osservazione dei medici del lavoro. In seguito, il numero reale di malati venne distorto dall’altissimo turnover (fino al 120% per le femmine e al 90% per i maschi nel corso di cinque anni) che faceva sì che i soggetti più deboli abbandonassero rapidamente le fabbriche.
Nel 1929 la facoltà medica di Torino nominò Quarelli professore incaricato di clinica delle malattie professionali. Il finanziere e poi industriale della viscosa Riccardo Gualino sostenne generosamente il nuovo Istituto di medicina del lavoro, dotato di laboratori, di una ricca biblioteca, di nuovi allievi e anche di un Museo di igiene del lavoro.
La partecipazione attiva della ‘scuola’ torinese ai Congressi nazionali per le malattie del lavoro, poi, dal 1922, di medicina del lavoro, dava conto delle ricerche scientifiche relative al cromismo professionale, al lavoro a domicilio, alla silicosi, all’anchilostomiasi (L’anchilostomiasi nella Prov. di Torino, in Atti dell’XI Congresso nazionale di medicina del lavoro, Torino 1935, pp. 206-215, in collaborazione con S. Bidallo), al saturnismo, alla patologia dei lavoratori dei campi, a quella dei marinai (ibid., pp. 37-72), alla fisiopatologia dello sport; a questa Quarelli dedicherà anche un contributo di tipo storico (La medicina dello sport nel pensiero di Bernardino Ramazzini, in Medicina del lavoro, XXIV (1933), pp. 343-353). Un altro scritto di carattere storico, oggetto di una conferenza tenuta agli ufficiali medici del corpo d’armata di Torino, Quarelli lo pubblicò nel 1934: Sintesi di storia delle malattie professionali, ibid., XXV (1934), pp. 139-146.
Molti sono stati i lavori pubblicati da Quarelli e dai suoi allievi sulle riviste specializzate, in massima parte italiane, su pneumoconiosi da mole smeriglio, disturbi da ozono, pressione arteriosa nel personale di macchina dei piroscafi, amianto (Tracheite da asbesto, ibid., pp. 218-223, lezione raccolta dal dott. A. Velicogna), sulla dermatosi pigmentaria progressiva (morbo di Schamberg) da vapori di benzina, sull’intossicazione da nitrato di potassio, sulla pseudosindrome di Korsakoff da ossicarbonismo, sulla patologia e clinica dei gas bellici, su alcuni disturbi osservati in soggetti a causa di posizioni o movimenti di lavoro (Malformazioni scheletriche della mano in mungitori di latte, in Atti dell’VIII Congresso nazionale di medicina del lavoro..., Napoli... 1929, Milano 1929, pp. 68-71).
Un manuale agile ma compendioso di medicina del lavoro che riassumeva molti dei lavori di Quarelli riscosse un certo successo (Clinica delle malattie professionali, Torino 1931), arricchita di un’impressionante iconografia ripresa da un museo specializzato austriaco. L’interessante indice del volume elenca malattie da eccesso di lavoro (fatica fisica e intellettuale, profilassi); malattie professionali da ambiente di lavoro (luce, aria, costituzione chimica, pressione atmosferica, ambienti rumorosi, odorosi, tremuli, stato elettrico, telefoniste, suolo); malattie da posizione, compressione, movimenti di lavoro; malattie da materiale di lavoro; gas bellici; malattie parassitarie e infettive; appendice (dermatosi professionali). Nel 1932 (e nella nuova edizione del 1936) Quarelli compilò il capitolo Malattie da lavoro di un fortunato trattato: Medicina interna. Manuale pratico per medici e studenti, 6 voll., Torino 1932.
Nel 1940 pubblicò una ponderosa monografia su La silicosi, edita a Torino sotto gli auspici della Società reale mutua di assicurazioni (in collaborazione con G. De Dominicis). Classificando la malattia silicotica in tre stadi con tabelle di sintesi molto chiare, l’autore ne sollecitò prima di altri il riconoscimento assicurativo come malattia professionale scrivendo con decisione: «Vogliamo, cioè, affermare che la silicosi è malattia autonoma, a sé stante, e non che essa sia (secondo, per esempio, la teoria di autori francesi), una tubercolosi silicizzata e che dalla tubercolosi non possa differenziarsi anche se ora con minore, ora con maggiore difficoltà» (ibid., p. 6).
Nel 1938 Quarelli fu nominato vicepresidente della Società italiana di medicina del lavoro e membro della Commissione permanente internazionale per lo studio delle malattie professionali. Ottenne la docenza in medicina del lavoro nel 1938, a seguito del concorso per la cattedra di medicina del lavoro dell’Università di Napoli, dove si era classificato secondo dopo il vincitore, Nicolò Castellino; Gaetano Pieraccini, non iscritto al partito fascista, venne esluso dalla prova. Nel 1941 fu nominato per chiara fama professore ordinario di medicina del lavoro presso l’Università di Torino, carica che manterrà fino allo scadere dei limiti per età. Quarelli aveva sempre conservato il posto di primario di medicina presso l’ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista e della città di Torino. Morì a Torino il 17 ottobre 1954.
Fonti e Bibl.: [E.C. Vigliani] Necrologio, in Medicina del lavoro, XLV (1954), p. 642; G.B. Audo Gianotti, Necrologio di G. Q., in Folia medica, XXXVIII (1955), pp. 159-167; G. De Dominicis, Necrologio di G. Q., in Minerva medica, XLVI (1955), pp. 233-236. F. Carnevale - A. Baldasseroni, Mal da lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Roma-Bari 1999, pp. 92, 130; Id., La lotta di Mussolini contro le malattie professionali (1922-1943). I lavoratori e il primato italiano nella produzione di seta artificiale, in Epidemiologia e prevenzione, XXVII (2003), pp. 114-120; Id., Etiologia, patogenesi e igiene industriale della silicosi: sviluppi delle conoscenze scientifiche, in Giornale italiano di medicina del lavoro e di ergonomia. XXXI (2009), Suppl., pp. 270-278.