HAART (Highly active antiretroviral therapy)
Sigla che indica tutti i protocolli di combinazione in cui farmaci attivi contro bersagli molecolari diversi del ciclo vitale di HIV (il virus responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, AIDS) sono somministrati in forma di cocktail e ad alta concentrazione. Tale approccio nacque nel 1995-1996 con l’introduzione della seconda classe di farmaci antiretrovirali: gli inibitori della proteasi virale (PI, Protease inhibitor), somministrati in combinazione con i farmaci di prima generazione, ovvero gli inibitori della retrotrascrittasi (RTI, Reverse transcriptase inhibitor), di cui la Zidovudina (AZT, Azidothymidine) è stata il capostipite, e a loro volta suddivisibili, per natura chimica, in nucleosidici (NRTI) e non nucleosidici (NNRTI). Attualmente esistono cinque classi di farmaci antiretrovirali, combinabili in protocolli HAART, ovvero: (a) RTI (NRTI e NNRTI); (b) PI; (c) inibitori della fusione della membrana virale con quella cellulare; (d) inibitori del legame al corecettore virale; (e) inibitori dell’integrasi virale. Di queste cinque categorie di farmaci solo le prime tre sono approvate per uso clinico, ma l’approvazione delle ultime due è imminente. (a) RTI. Questi farmaci inibiscono la fase di retrotrascrizione del genoma virale (costituito da RNA) in DNA, tappa fondamentale per permettere al virus d’integrarsi stabilmente nei cromosomi della cellula infettata. La sottoclasse NRTI, a cui appartiene il capostipite AZT, viene incorporata al posto della timidina dall’enzima RT e agisce come terminatore di sintesi della catena nascente di DNA virale con una specificità di 100÷300 volte rispetto alle polimerasi cellulari. La sottoclasse di NNRTI, invece, si lega all’enzima RT alterandone le capacità funzionali. (b) PI. La proteasi virale, sintetizzata dal gene pol, è essenziale per tagliare il precursore proteico Gag nelle diverse forme mature di proteine (quali p24, p17 e p6). Tale funzione è essenziale per la formazione di nuove particelle virali (virioni) infettanti, per cui la sua inibizione colpisce una delle funzioni essenziali per il ciclo vitale del virus. (c) Inibitori della fusione. Dopo l’interazione col recettore primario (CD4) e il corecettore chemochinico (CCR5 o CXCR4) da parte di gp120 Env, la seconda glicoproteina codificata dal gene env di HIV, gp41, cambia drasticamente conformazione spaziale ed esercita il proprio potenziale fusogenico inserendosi nella membrana della cellula bersaglio d’infezione. L’inibitore di fusione si lega a gp41 e ne impedisce la funzione. (d) Inibitori del corecettore. Successivamente al legame con la molecola CD4 (recettore primario), gp120 Env cambia conformazione ed espone siti di legame per il secondo recettore, o corecettore, ovvero una molecola a 7 domini transmembrana della famiglia dei recettori per le chemochine (citochine specializzate nell’indurre la migrazione leucocitaria). Tra questi, il ruolo primario è della molecola nota come CCR5 e i virus che utilizzano, assieme a CD4, CCR5 (in gergo, virus R5) sono responsabili della pandemia mondiale e della trasmissione del virus da individuo a individuo (indipendentemente dalla modalità di trasmissione). A oggi, solo un inibitore di CCR5 è alle soglie dell’approvazione per uso clinico, ma è prevedibile che altre molecole si aggiungeranno a breve. Inibitori del secondo tipo di corecettore utilizzato dal virus nella fasi tardive dell’infezione, e quasi solamente nel sottogruppo B di virus presenti nel mondo occidentale, ovvero la molecola CXCR4 (per i rispettivi virus X4, più spesso R5X4, ovvero capaci di utilizzare entrambi i co-recettori chemochinici), sono stati sviluppati, ma, al momento, abbandonati per tossicità. (e) Inibitori dell’integrasi. Dopo la retrotrascrizione del proprio genoma da RNA a DNA, forme lineari di DNA virale possono integrarsi nei cromosomi umani a opera dell’enzima integrasi che realizza un vero e proprio lavoro di taglio e ricucitura in siti preferenziali del genoma umano. Altre forme di DNA virale circolarizzate non possono integrarsi e, tipicamente, aumentano in concentrazione per effetto di farmaci inibitori dell’integrasi. Quando il DNA virale è integrato nel genoma umano prende il nome di provirus che rappresenta una forma perenne (rispetto alla vita della cellula infettata) d’infezione. I problemi legati ai protocolli HAART, in grado di azzerare rapidamente la replicazione virale, sono essenzialmente legati alla loro tossicità, alla difficoltà di seguirli fedelmente a causa della loro complessità (i primi protocolli prevedevano l’assunzione di una trentina di pillole al giorno in diversi momenti della giornata), al loro costo (non in tutti i Paesi le cure sono a carico dello stato) e, in ultima analisi, all’emergenza, comunque, di varianti resistenti. La prossima introduzione di nuove categorie di farmaci (inibitori di CCR5 e dell’integrasi) permetterà una maggior diversificazione di protocolli e, forse, un abbassamento complessivo della loro tossicità. In questi anni, inoltre, la case farmaceutiche hanno migliorato la composizione e posologia di questi farmaci producendo pillole che già combinano diversi farmaci negli opportuni dosaggi, per cui oggi i protocolli HAART possono essere sostenuti con poche pillole al giorno, assunte mattino e sera. Un’importante conseguenza della HAART, se seguita fedelmente, è che l’abbassamento prossimo all’azzeramento della replicazione virale comporta una sostanziale diminuzione della probabilità di trasmissione del virus a persone non infettate. Questo dato biologico, al momento, non ha ancora avuto un impatto positivo sull’andamento dell’epidemia per ragioni complesse (solo il 10% della popolazione infettata ha attualmente accesso a protocolli HAART). Per contro, la possibilità di trasmettere varianti virali già resistenti a una o più categorie di farmaci antiretrovirali compromette in parte l’efficacia della HAART e pone seri problemi di strategie terapeutiche d’attacco. A questo proposito, si è passati nel tempo da una logica basata su trattamenti immediati e pesanti a una più attendista, per cui la maggioranza dei pazienti non viene trattata se non quando il numero di linfociti T CD4+ circolanti non sia sceso al di sotto delle 500 cellule per μl (in genere a 350 cellule/μl) a meno che i livelli di viremia (definita come numero di copie virali per ml di sangue venoso) non sia particolarmente elevata (>100.000 copie/ml). Tale strategia permette di guadagnare tempo ed evitare di selezionare precocemente mutazioni di resistenza a diverse classi di farmaci. Una strategia sostanzialmente abbandonata, al di fuori di studi clinici sperimentali controllati, è la cosiddetta interruzione programmata di terapia (STI, Structured therapy interruption) in cui, partendo da alcune osservazioni di casi clinici individuali in cui la HAART era stata interrotta, si osservavano intervalli anche di diversi mesi prima della ripresa della replicazione virale (misurata come livelli di viremia o caduta del numero di linfociti T CD4+ circolanti), verosimilmente per un aumentato controllo immunologico della replicazione virale. Studi clinici allargati hanno dimostrato che tale evenienza si verifica in ca. il 10% dei pazienti, mentre nella maggior parte dei rimanenti non si hanno benefici e, in diversi casi, s’induce una progressione di malattia accelerata. Si mantengono tuttavia alcuni protocolli STI in pazienti multi-resistenti ai farmaci con lo scopo di permettere al virus originale, più adattato (fit) a quel paziente in condizioni di assenza di pressione farmacologica, di riemergere per indurre una pur transitoria risensibilizzazione alla terapia farmacologica (nella logica di guadagnare tempo e ridurre la tossicità da farmaci). Oltre alla HAART, si profila la possibilità di utilizzare strategie basate sulla ricostituzione immunologica del paziente, di cui l’esempio più avanzato è la terapia intermittente con interleuchina-2 (IL-2), attualmente in studi di fase III, in base alla capacità di questo regime terapeutico di aumentare stabilmente il numero di linfociti T CD4+ circolanti e di sinergizzare, per quest’effetto, con la HAART senza interferire sugli effetti antivirali di questa terapia.
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