hacktivism
<hä'ktiviʃm> s. ingl., usato in it. al masch. – Espressione composta di hack[ing] (la pratica e l'attitudine a modificare, migliorandole, le prestazioni dei computer) e [ac]tivism (azione politica diretta tipica dei movimenti dal basso), con la quale si indica l'azione diretta in rete condotta con l'ausilio di strumenti informatici. Si presenta nel cyberspazio – inteso come luogo di rappresentazione e di conflitto sociale –, non soltanto come pratica ma anche come paradigma teorico e invito all'attività, proprio dei movimenti migranti, pacifisti, ecologisti, femministi, di critica al sistema dei consumi e della fabbrica dell'informazione, nella consapevolezza dell'importanza assunta dai media e dalla comunicazione nella società globalizzata. I riferimenti letterari dell'h. si ritrovano nelle narrazioni cyberpunk di autori come William Gibson e Bruce Sterling, nei cui racconti i cowboy della consolle combattono a suon di bit contro le zaibatsu (le conglomerate multinazionali). I paradigmi teorici vanno invece cercati nelle teorizzazioni del net-criticism (critica della rete) di Ricardo Dominguez, Geert Lovink, Patrice Riemens e degli italiani Franco Berardi detto Bifo, Tommaso Tozzi e altri. L'assunto teorico può essere rintracciato nella teorie situazioniste di Guy Debord e nell'analisi di Michel Foucault, secondo il quale il luogo della comunicazione, della produzione di sapere e di discorso è anche il luogo del potere. Tale assunto, rivisitato alla luce delle nuove possibilità di comunicazione date dal digitale e dalle reti telematiche, ha trovato terreno fertile in quanti hanno teorizzato l'assalto all'informazione, intesa come insieme di flussi di comando e controllo capitalistico, un potere basato su un sistema di relazione e non più coincidente con un luogo fisico, ma capace di determinare effetti reali sia sull'opinione pubblica sia sulle borse e i mercati, avendo come conseguenza l'impoverimento delle masse lavoratrici, il depauperamento delle risorse del pianeta e la negazione dei diritti fondamentali dei popoli. Nell'analisi di questo rapporto fra il potere e la comunicazione viene sviluppata la critica hacktivist alla società odierna, per la difesa dei beni comuni dell'informazione e della conoscenza che si producono nei circuiti dell'interazione sociale, che i media e l'industria tradizionale tendono a non riconoscere. Tra le pratiche di h., la netstrike è una forma di protesta collettiva attuata su Internet che punta a interrompere momentaneamente e in maniera pacifica il flusso di informazione da e verso un sito web, mentre il subvertising capovolge i termini dell'informazione delle grandi aziende per rivelarne il carattere illusorio e di sfruttamento. Al centro delle proteste degli hacktivist c'è da sempre la critica all'industria della comunicazione intesa come fabbrica del consenso, orientata a considerare i cittadini soltanto come consumatori invece che portatori di diritti. Per riappropriarsi della creatività diffusa e del lavoro gratuito e non remunerato nelle reti telematiche e nei social network, gli hacktivist hanno elaborato sistemi complessi di comunicazione mettendoli al servizio di movimenti globali come quello degli indignados nel 2011. Gli hacktivist hanno anche avuto un ruolo di rilievo nella cosiddetta primavera araba del 2010-11, quando hanno supportato con strumenti creati ad hoc le proteste della società civile e dei blogger tunisini, egiziani, libici e siriani.