hacktivismo
s. m. Attivismo politico esercitato attraverso attacchi informatici.
• come già visto per i gruppi in Iran, Yemen, Tunisia e Cina, gli hacker pro-Assad dimostrano che gli strumenti per liberare il pensiero in rete possono essere usati per opprimerlo. Altrettanto se non più efficacemente, perché in Siria non c’è il controllo democratico necessario a individuare e colpire gli abusi. È l’occasione per riflettere su un nuovo equilibrio globale nei confronti del cosiddetto «hacktivismo»: senza gli eccessi nelle punizioni visto in Occidente, e senza l’impunità troppo spesso testimoniata nei regimi autoritari. (Fabio Chiusi, Messaggero Veneto, 29 agosto 2013, p. 4, Attualità) • L’era delle intrusioni informatiche di massa sembra insomma portare con sé un messaggio inquietante, che avvicina il mondo intero ai paesi dove i costumi sessuali sono più rigidi, e le punizioni per pratiche o credenze ritenute immorali più severe: se un collettivo di hacker o chi per loro decide che un comportamento è errato e va punito, chi lo mette in atto sarà punito. E la punizione, come si addice a una società dello spettacolo, sarà pubblica, disponibile a tutti potenzialmente per sempre, dato che una volta che un dato è in rete è impossibile assicurarsi non lo sia mai più. Una operazione che ricorda non tanto l’hacktivismo ridanciano di Anonymous quanto quella compiuta nel 2011 da un hacker pachistano, che ha violato il sito della Corte Suprema per chiedere, in un impeto di perbenismo, che tutti i siti pornografici fossero chiusi. (Fabio Chiusi, Repubblica, 26 agosto 2015, p. 20).
- Adattato dall’ingl. hacktivism.
- Già attestato nel Corriere della sera del 21 ottobre 2002, Corriere Economia, p. 24 (Maria Teresa Cometto).