Vedi HADDA dell'anno: 1960 - 1973 - 1995
HAḌḌA (v. vol. III, p. 1080 e S 1970, p. 365)
Il sito fu identificato dal francese A. Court che nel 1827 menzionò le rovine di «Heddé», delle quali riconobbe la notevole antichità. Tale scoperta aprì la strada a ulteriori esplorazioni e scavi. Nel 1834 Ch. Masson dedicò alcune settimane all'esplorazione dei siti della regione: a «Hidda» aprì quattordici stūpa per estrarne le reliquie. Insieme ai manufatti artistici portati alla luce attraverso і suoi saggi a Tapa Kalān, egli rinvenne anche monete grecobattriane e indo-scitiche, monete romane dell'epoca di Domiziano e, dallo stūpa IO (denominato Tope kalan = Top-e Kalān), monete bizantine di Teodosio II, Marciano e Leone I (databili tra il 408 e il 474 d.C.), oltre a monete sasanidi e, in maggior numero, eftalite.
Le indagini di Masson ebbero un seguito nelle attività di W. Simpson, il quale nel 1879 effettuò altri saggi a Tapa Kalān e a Šakhil-e Ghundi e studiò le grotte di Tapa-ye Zargarān. Successivamente alla proclamazione dell'indipendenza dell'Afghanistan e alla firma di una convenzione archeologica con la Francia nel 1922, una missione composta da A. Foucher e da A. Godard si insediò a Jalalabad. Come іsuoi predecessori, A. Godard effettuò dei sondaggi a Tapa Kalān, dove riportò alla luce tre cappelle. Il proseguimento degli scavi, che già avevano ottenuto risultati positivi, fu affidato da A. Foucher a J. Barthoux, il quale nell'inverno del 1926-1927 portò a termine lo scavo quasi completo dei monumenti dell'area di culto di Tapa Kalān. L'inverno successivo furono scavati, con molta fretta, altri dodici monasteri. Soltanto sette di essi sono stati pubblicati: Bāgh Gai (a 1.300 m a SO del villaggio), Šakhil-e Ghundi (a c.a 1.000 m in direzione NE), Deh Ghundi (a 250-300 m verso N), Gār Now (a 1.000 m a SO), Tapa Kaifarihā(a 300 m a O), Tapa Kalān (a 450 m a SO) e Prates (a 1.700 m, in linea d'aria, a SE del villaggio). La maggior parte delle statue portate alla luce erano state lasciate in situ, ma in seguito a incidenti verificatisi con gli abitanti del villaggio tre-quattromila pezzi, comprendenti teste e ornamenti raccolti tra le macerie, furono divisi tra il governo afghano e il governo francese.
Dimenticata dalla ricerca scientifica per alcuni decenni, nel 1965 la regione di H. fu oggetto di nuove esplorazioni da parte di una missione dell'Università di Kyoto diretta da Sh. Mizuno. Le indagini si concentrarono sul complesso di Lalma, situato a c.a. 3.000 m a SO di H.; gli archeologi vi riportarono alla luce un grande stūpa a pianta quadrata (9,4 m di lato alla base) con scalinata sul lato SE. Il monumento era originariamente circondato da numerosi stūpa di piccole dimensioni, sedici dei quali furono scavati. I risultati degli scavi permisero agli archeologi giapponesi di distinguere due periodi, il primo compreso fra il 300 e il 400 d.C., che vede il grande stūpa circondarsi degli stūpa minori, e un secondo, che ha inizio intorno al 400 d.C. Queste due fasi sono distinte dalla totale ristrutturazione del sito.
Le circostanze che determinarono l'inizio degli scavi afghani a H. nel 1966 richiederebbero una spiegazione molto lunga: basterà ricordare che le attività ebbero avvio per volere del re dell'Afghanistan, Zaher Shah, il quale affidò la direzione degli scavi all'unico archeologo dell'epoca, Sh. Mustamandi. Quest'ultimo indirizzò le indagini sul sito di Tapa Šotor, situato c.a 600 m a NO del villaggio di H., meno violato dagli scavi clandestini e pressoché ignorato dagli archeologi inglesi e francesi. Il giovane gruppo di archeologi afghani vi condusse sette campagne di scavo (dal 1966 al 1973), nel corso delle quali venne riportata alla luce l'area di culto di un monastero buddhista (v. s 1970, p. 365). I rivolgimenti politici che accompagnarono la nascita della repubblica del presidente Daud produssero dei mutamenti tra gli alti funzionari. L'archeologo Z. Tarzi sostituì Mustamandi alla guida della Direzione Generale per l'archeologia e la conservazione dei monumenti storici. Per mantenere un rapporto di continuità con le attività precedenti, Z. Tarzi proseguì gli scavi nel promettente sito di Tapa Šotor. Con i suoi collaboratori egli condusse cinque campagne di scavo a Tapa Šotor (tra il 1974 e il 1979) e due a Tapa-ye Top-e Kalān (tra il 1977 e il 1979); se l'indagine di quest'ultimo sito e stata finalizzata a una migliore comprensione dell'ultima fase dell'attività monastica e artistica di H., gli scavi di Tapa Šotor hanno portato un contributo fondamentale per un riesame di quanto proposto a suo tempo da Barthoux. A eccezione degli scavi effettuati a Bāgh Gai e a Gār Now, che restituirono piante relativamente complete dei complessi monastici buddhisti, Barthoux aveva dedicato le sue attenzioni unicamente alle aree di culto (cortili con stūpa) dei monasteri. Dei 531 stūpa riportati alla luce dall'archeologo francese, solo 349 compaiono sulle piante degli scavi, mentre dei restanti 182 non è stato pubblicato alcun dato. Omissioni di tal genere si riscontrano anche nell'ambito delle sculture di argilla. Malgrado ciò, le indagini di Barthoux hanno il merito di aver reso noto al mondo scientifico un tipo di produzione plastica al culmine della resa tecnica, in cui facilità e maestria si fondono per creare un'arte degna della massima attenzione.
Basandosi sull'analisi di diverse centinaia di stūpa, e rivolgendo particolare attenzione ai materiali impiegati, Barthoux propose una classificazione di questi monumenti in senso evolutivo: gli stūpa in mattoni (inizialmente crudi, in seguito cotti) o in schisto sembrano essere i più antichi; l'uso dello schisto rappresenta una tradizione in declino, ed esso viene sostituito dal calcare in blocchi squadrati e da pietrame; i rivestimenti in calce precedono quelli in stucco: la sagoma dello stūpa tende a snellirsi con la sovrapposizione di piani che recedono l'uno rispetto al precedente; delle prime fasi evolutive lo studioso nota la sobrietà della decorazione. Per quanto riguarda l'uso degli ordini architettonici, insieme ai richiami agli ordini persiani, Barthoux sottolinea il predominio di quelli greci, in particolare il corinzio. Ma essi vengono spesso giustapposti, fino a esser confusi, a causa di una interpretazione molto libera delle tradizioni architettoniche, spesso sacrificate alla rapidità dell'esecuzione, mentre la fantasia favorisce l'introduzione di figure grottesche nella decorazione architettonica. In merito all'adattamento delle linee architettoniche e all'impiego delle nicchie, egli osserva la comparsa tardiva della nicchia trilobata. Per quanto concerne la forma degli stūpa, una prima classe è costituita da quelli che presentano un semplice corpo quadrato sormontato direttamente dall'aṇḍa sviluppato a volte in altezza in assenza di un basamento: base e corpo quadrato, decorati, avranno altrimenti come esito la creazione di due elementi quadrati distinti sovrapposti. Questa evoluzione porterà a variazioni quale l'introduzione di due corpi cilindrici al di sotto dell'aṇḍa, il secondo dei quali di minore altezza, e la successiva sostituzione di quello cilindrico con un corpo poligonale. Al termine di tale evoluzione tipologica Barthoux pone i più rari stūpa privi di corpo quadrato, e la costruzione di quelli a pianta circolare, costituiti da una successione di corpi cilindrici.
Tapa Šotor è l'unico sito archeologico afghano scavato per intero. La complessità della sua architettura è in parte dovuta a nuove costruzioni che nel corso dei secoli si aggiunsero a quelle antiche o le sostituirono dopo che esse furono tagliate e rimosse. Uno dei più noti complessi del sito è la corte con stūpa, іcui monumenti sono stati numerati due volte. La corte racchiude 33 stūpa di pianta quadrata, di forme e dimensioni diverse, disposti intorno allo stūpa M, secondo un allineamento abbastanza regolare. Come un po' ovunque a H., lo stūpa centrale è imponente, costruito sopra un monumento preesistente che si volle ingrandire.
A Tapa Šotor, la tecnica costruttiva degli stūpa più antichi prevedeva l'utilizzo di pietrame per il nucleo e le fondazioni, e di lastrine di schisto ardesiaco per i particolari architettonici (modanature, pilastri, cornici, archi e nicchie), il tutto rivestito con intonaco a base di calce. La forma del monumento è abbastanza semplice: un corpo quadrato a mo' di basamento, sormontato da una cupola poggiante su uno o due tamburi. Successivamente si nota la comparsa del calcare e il suo impiego come pietra da taglio; tuttavia lo schisto è ancora predominante. In una fase intermedia, il calcare si sostituisce gradualmente allo schisto: l'impiego di quest'ultimo si limita ai filari di demarcazione dei piani di posa. A questo periodo di transizione, caratterizzato dalla coesistenza nella tecnica muraria di schisto e calcare, risale la comparsa degli stūpa a due corpi quadrangolari sovrapposti, il primo dei quali è a volte aggettante rispetto a quello superiore e riveste più che altro la funzione di basamento. Per quel che si può giudicare dallo stato di conservazione dei monumenti, i basamenti degli stūpa più antichi sono privi di elementi architettonici (p.es. le nicchie). Le nicchie più antiche sono di tipo carenato. I frontoni trapezoidali e le nicchie trilobate non compaiono che in epoca più tarda. Nella maggioranza dei casi, i capitelli dei pilastri sono del tipo pseudo-corinzio: inizialmente decorati con foglie d'acanto rese con un certo realismo, presentano successivamente delle volute quasi orizzontali disposte simmetricamente su ambo i lati della foglia centrale compresa fra l'abaco e le foglie laterali; infine, nei monumenti più recenti o di realizzazione sommaria, si riscontrano varianti caratterizzate da una più spinta stilizzazione che allontana i capitelli dal modello ispiratore corinzio.
Gli stūpa più antichi, almeno nelle parti che si sono conservate (i basamenti), non erano decorati da sculture in stucco. Solo successivamente essi saranno ornati da immagini realizzate ad altorilievo, raffiguranti Buddha e Bodhisattva, che col tempo saranno affiancati da donatori e adoranti. A quest'epoca (III-V sec. d.C.) risalirebbero le scene di carattere narrativo come l'Elemosina della Polvere da parte di un bambino (il futuro Aśoca) al Buddha o il Dono della Carne alla tigre, ecc. Dal punto di vista tecnico, è da notare l'elevata qualità dello stucco, che è molto compatto e con pochi inclusi.
La sua superficie liscia favorisce la policromia, dove predomina tuttavia il rosso ocra; sono impiegati anche il blu lapislazzuli, il nero e, più di rado, il giallo. Verso la fine di questo periodo, che segna la massima fioritura dell'arte dello stucco, si registra la sostituzione definitiva della pietra calcarea allo schisto. A Tapa Šotor vi sono anche stūpa costruiti all'interno di cappelle: ve ne sono sia di pianta quadrata, quali gli stūpa 34 (cappella XII), 35 (cappella XVIII), 36 (cappella E VIII), 37 e 38 (cappella 24), 41 e 42 (cappelle 67 A e 67 B), sia di pianta circolare, come gli stūpa 39 (cappella E XXIV) e 40 (cappella 59). Degli stūpa citati, il 35 e il 40 sono costruiti in schisto e pietra rivestiti di argilla, il primo dipinto, l'altro ricoperto di lamine d'oro. Lo stūpa 39, anch'esso in schisto e pietra e rivestito di argilla presenta uno strato di finitura in stucco a base di gesso.
Oltre ai monumenti decorati in stucco situati all'aperto, vi sono nicchie e cappelle, protette da volte o da cupole, decorate da sculture in argilla, o in argilla rivestita di stucco a base di calce o gesso. La fama di Tapa Šotor è legata alla buona qualità delle sculture in argilla, nella maggior parte dei casi più antiche di quelle in stucco. Esse danno la misura dell'alto livello tecnico e artistico raggiunto dai coroplasti, la cui abilità è evidente sia nelle opere lavorate a mano sia in quelle ottenute a stampo, nonché nella maestria con cui seppero risolvere le numerose difficoltà che poneva la realizzazione di statue in argilla alte fino a 6 m, costruite intorno ad armature lignee. A H., e in particolare a Tapa Šotor, le composizioni tridimensionali sono caratterizzate da effetti spaziali di spiccato realismo, grazie all'uso combinato del tutto tondo e dell'altorilievo. È ormai celebre la nicchia XIII, nota come «nicchia dei pesci» o «nicchia acquatica», situata presso l'angolo SO della corte degli stūpa. In essa è rappresentata la scena della sottomissione di un nāga al Buddha, nella quale si è voluto riconoscere la sottomissione del nāga Gopāla, abitante la «Grotta dell'Ombra del Buddha», a SO dell'antica Nagarahāra (ovvero Jalalabad), oppure quella del nāga Apalāla. Si deve ricordare inoltre l'eccellente qualità delle sculture che decorano le nicchie V1, V2 e V3, presso l'angolo delle quali si rappresentano scene della vita del Buddha, tra cui, in V2, la Prima Predicazione nel Parco delle Gazzelle a Sārnāth. Nella cappella E XXIV (più precisamente nella nicchia E XXIV b), è rappresentato il Miracolo di Šrāvastī, in cui il Buddha, seduto sul loto, è affiancato da Bodhisattva. Le sculture di questa scena sono realizzate in argilla rivestita di stucco.
L'architettura di Tapa Šotor, che si compone di numerose corti, cappelle, terrazze e celle, accorda un ruolo preponderante alle sculture, di cui sono state rinvenute c.a 60 di diverse dimensioni. Ma anche la pittura, a cui fino alla scoperta della grotta A non era attribuita che una funzione puramente decorativa, si rivela un'espressione artistica dalle forme autonome.
La grotta A di Tapa Šotor, scavata al di sotto delle costruzioni della parte SO del monastero, era utilizzata dai monaci come luogo per la meditazione. Le sue pareti furono decorate con pitture di esecuzione rapida, significative ai fini di una migliore comprensione della vita monastica. La composizione mostra uno scheletro ai cui lati sono raffigurati i primi dieci discepoli del Buddha, con i rispettivi nomi scritti a lato del viso: Šāriputra, Maudgalyāyana, ecc.
Tapa-ye Top-e Kalān è uno dei maggiori siti di H.; le sue rovine si estendono intorno a uno dei grandi stūpa della regione, denominato Borj-e Kafarihāo Top-e Kalān (lo stūpa 10 di Ch. Masson). Gli scavi di questo imponente stūpa, attribuito da Masson a epoca tarda, e del sito da cui esso dipendeva, sono stati intrapresi da Tarzi con l'intento di illuminare l'ultima fase dell'esistenza di Haḍḍa.
Nel corso di due campagne di scavo (1977-78 e 1978-79) vennero riportate alla luce la base del grande stūpa (GS), le cappelle I e V, la corte dei vihāra e altre parti del sito. La decorazione del grande stūpa si compone di immagini in stucco raffiguranti nella maggioranza dei casi Buddha seduti affiancati da Bodhisattva; tra essi si riconosce Padmapāṇi, che regge lunghi steli fioriti. Alcune teste presentano corone con tre crescenti lunari di tipo eftalita. La costruzione del grande stūpa e degli stūpa nelle cappelle I e V si rivela tecnicamente molto accurata; i paramenti sono realizzati con blocchi di pietra di diverso genere, in una regolare tessitura di lastrine di schisto ardesiaco. La scultura in argilla e in stucco dell'ultima fase di questo sito richiama la produzione del secondo periodo di Tapa Sardār a Ghazni, di Fondukistān, di Tapa Khazana, ecc.
La geologia della regione condizionò l'arte di Haḍḍa. Nonostante che il sito rientri, grazie al buddhismo, nell'orbita culturale-artistica del Gandhāra, essa si differenzia da quella del Nord-Ovest indiano per lo scarso uso che si fa nella scultura dello schisto, che pure era usato nella piana di Jalalabad, soprattutto a Kāma. La mancanza di schisto impose agli architetti l'uso del mattone crudo per costruire le cupole su trombe angolari a copertura degli ambienti, segnando in tal modo un confine tra le due regioni.
Le caratteristiche geomorfologiche della zona sono responsabili anche della modalità di distribuzione degli insediamenti buddhisti intorno all'antica città di Haḍḍa. I monasteri furono edificati su monticoli di conglomerato terziario che garantivano una protezione dai corsi d'acqua e l'approvvigionamento di materiali da costruzione. Difatti l'argilla, la pietra, le schegge di puddinga per le murature e per le sculture provenivano essenzialmente dal sito stesso. Il calcare per la pietra da taglio, la scultura e la calce, il gesso per i rivestimenti e lo schisto ardesiaco per i paramenti degli stūpa provenivano dall'area di Jalalabad. Nonostante la differenza nei materiali impiegati, le planimetrie dei monasteri buddhisti di H., del Gandhāra e dell'India da un lato, e dell'Asia centrale dall'altro, mostrano evidenti affinità. Essi si organizzano intorno a due nuclei fondamentali, ossia una parte riservata ai monaci comprendente una corte porticata, in genere di pianta quadrata, nella quale si aprono le celle monastiche (vihāra) e una grande sala (poṣadhaghara) in cui avevano luogo le riunioni dei monaci secondo un calendario prestabilito. La parte «pubblica» era consacrata al Buddha e al suo culto, consistente nella circumambulazione dello stūpa (pradakṣiṇā) e nella deposizione di offerte da parte dei fedeli. Oltre agli ambienti del pianterreno, a Tapa Šotor, a Tapa Kalān, a Tapa-ye Kafarihā e a Gār Now resti di scalinate suggeriscono l'esistenza di piani superiori. Al di sotto della maggior parte degli edifici di questi monasteri sono stati rinvenuti ambienti scavati nel conglomerato, utilizzati dai monaci sia come abitazione che come luoghi di meditazione (testimoniati a Tapa Šotor, Gār Now, Tapa-ye, Zargarān, ecc.).
H. deve la sua fama alla scoperta delle numerosissime statue in argilla, in stucco o in argilla rivestita di stucco di calce o gesso, nonostante non manchino bassorilievi lavorati nel calcare locale o in schisto importato. Gli scultori, seppur rispettosi delle norme dell'iconografia buddhista imposte dai monasteri, seppero soddisfare i committenti kuṣāṇa, eftaliti e, infine, turchi. Nell'intero corso della sua lunga evoluzione, la scultura di H. denota una straordinaria qualità artistica. Costantemente fedeli alI'ispirazione ellenistica, H. e la sua scuola sono considerate da gran parte degli studiosi come un'importante anello di congiunzione tra Occidente (Grecia ellenistica e Roma) e Oriente (Asia centrale e mondo indiano). La statua di Eracle-Vajrapāṇi nella nicchia V2 di Tapa Šotor si ispira al modello dell'Eracle Epitrapèzios di Lisippo (v.), e più precisamente alla sua variante grecobattriana nota dalla monetazione di Eutidemo (III sec. a.C.). Altri significativi esempi della sopravvivenza di una lontana eredità greca sono la Hāritī nella stessa nicchia, ispirata alla Tyche vestita di un lungo chitone, e il Vajrapāṇi della nicchia V3, situata accanto alla precedente, nel quale si può riconoscere la testa più o meno idealizzata di Alessandro Magno. Altre sculture denotano affinità con modelli ellenistici o romani: tra esse è il genio portatore di fiori, conservato nel Musée Guimet, in cui è palese il richiamo alla statua dell'Antinoo Vertumno del Vaticano. Le figure di monaci e di donatori dai tratti realistici ed espressivi rivelano l'elevata qualità dell'arte di H., la quale, nonostante le diverse influenze da cui fu alimentata, si espresse secondo modi in gran parte autonomi.
La scuola plastica di H. sia nella produzione in argilla sia negli stucchi, rivela conoscenze tecniche molto avanzate. Solo di rado si faceva ricorso alla riproduzione mediante matrici; la maggior parte delle immagini erano realizzate secondo successive fasi di lavorazione procedenti dall'interno verso l'esterno, ossia mediante l'applicazione di successivi strati di argilla su di un'anima di legno. Gli stampi erano usati per la realizzazione di determinati visi, per ottenere riccioli o ciocche della capigliatura e per l'ornamentazione. È in questo modo che determinati volti di impronta ellenistica hanno attraversato i secoli.
Sulla base dei risultati ottenuti dalla ricerca archeologica, la durata della vita del sito di H. può essere stimata intorno ai nove secoli, dal I al IX sec. d.C. Questo lungo periodo è segnato da diverse cesure, come lasciano intendere le testimonianze dei pellegrini cinesi. Nel 400 d.C., Faxian nota la prosperità di questa regione dai mille stūpa: nel 630 d.C., invece, Xuanzang trovò H. spopolata e la maggior parte dei monumenti in rovina. Wukong, intorno al 753 d.C., testimonia, infine, un periodo di generale rinnovamento, che potremmo identificare con l'ultima fase dell'esistenza di Tapa-ye e Top-e Kalān.
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