Vedi HADDA dell'anno: 1960 - 1973 - 1995
HAḌḌA
A Attualmente villaggio dell'Afghanistan, 8 km a S di Gelal-abad.
Si trova sull'antica carovaniera fra la Battriana e l'India, nella bassa valle del fiume Kābul. In un paesaggio oggi di steppa sassosa, da cui si eleva per 20 m un tavoliere roccioso assai tormentato e ricco di grotte naturali ed artificiali, si scorgono monticoli di detriti, resto dei muri in terra cruda di antichi monasteri buddisti; la maggior parte delle rovine si raccoglie per oltre un km attorno a H.; altri monumenti sono individuabili lungo la vallata per 10 km ancora a E ed a O. Le cronache dei viaggiatori cinesi ci parlano della città di Hi-lo, nella regione di Nakie-lo-ho (Nagarahara: tuttora il nome pashtu del distretto è Ningarhar), da identificarsi con Haḍḍa. Veneratissimo fra i luoghi consacrati alla leggenda del Buddha, vi si conservano un dente ed un osso del cranio del Maestro, mentre la sua ombra era visibile in una caverna. Con ammirazione è ricordato il numero straordinario e la ricchezza dei conventi e degli stūpa, e l'affluire di pellegrini di ogni nazionalità, favorito dalla posizione itineraria di Haḍḍa.
La località è stata sfruttata archeologicamente dal 1833, con scavi diretti allo sventramento degli stūpa ed al reperimento delle reliquie e delle monete. Dal 1926, per due anni, scavi della Délégation Archéologique Française (J. Barthoux) hanno posto in luce 500 stūpa ed oltre 15.000 pezzi figurati, in stucco; di questi la massima parte è andata distrutta o dispersa, e solo alcuni pezzi sono stati pubblicati fotograficamente.
A H. è quindi testimoniato il più ricco complesso di pezzi d'arte gandharica in stucco, insieme a Taxila, non accompagnati, come a Shotorak e altrove, da sculture in scisto.
I corpi delle figure (quasi sempre dissoltisi) sono formati da una massa di grès artificiale impastato con terra plastica; la superficie finita è costituita da una sottile pellicola di stucco bianco, modellato e dipinto, o talvolta dorato. Le teste, che erano formate a parte per colatura in uno stampo o modellate, sono quasi sempre le sole parti rimaste. Appartenevano o a grandi figure a tutto rilievo, applicate isolatamente sulle pareti di stūpa, celle e cortili, o ai personaggi di rilievi. Le dimensioni delle figure intere dovevano variare fra i 15 m ed oltre, e i 10-12 cm di altezza.
Il repertorio continua di massima gli stessi soggetti dell'arte del Gandhāra in pietra (v. gandhāra, arte del). Una osservazione del Barthoux, che le diversità stilistiche tra le sculture corrispondono alla distinzione per soggetti, conserva la sua sostanziale efficacia.
Le teste di Buddha e Bodhisattva, che dovevano essere realizzate secondo precisi dettami tradizionali, presentano schemi "indianizzanti": il volto tende ad un ovale geometrico, il naso si continua a spigoli vivi coi sopraccigli; caratteristica è la sporgenza e l'allungamento degli occhi ed il prolungamento delle orecchie. Divinità minori e geni benigni mostrano più spesso la imitazione di modelli ellenistici, talvolta filtrati attraverso le varie riprese dello stesso tipo in età romana.
Le opere più originali sono i ritratti di donatori, brahmani, asceti, guerrieri; l'esigenza di caratterizzare il personaggio porta ad una accentuazione dei tratti etnici ed individuali, che talvolta riesce a fondersi con la conoscenza del naturalismo classico, dando luogo ad opere di organica struttura ed insieme di profonda penetrazione psicologica. Questa coerenza di visione è spesso distrutta nelle immagini demòniche, in cui la tendenza di tutta la produzione di H. a forme movimentate e fortemente colorite, in modo spesso vistoso ed esteriore, scade nell'accentuazione grottesca dei particolari. A parte si possono considerare due tondi di stucco con soggetti di genere, un suonatore di tuba ed un satirello pifferaio: l'accostamento con i calchi di gesso da Begram mostra direttamente una delle vie di penetrazione dell'arte classica in queste regioni e della sua conoscenza fino ad epoca così tarda.
La cronologia finale di H. ci è data dalle stesse fonti cinesi: nel 400 d. C., che costituisce dunque il terminus ante di gran parte almeno dei pezzi, Fa-hsien vede il centro in una piena attività, che continuò anche dopo la conquista degli Unni efthaliti: al 520 data il passaggio di Sungyun. Pochi anni dopo sopravvenne la distruzione da parte di Mihirakula, ed al principio del VII sec. Hsiuan-chang trovò abbandono e rovina ovunque. Sulla data iniziale invece le opinioni sono divise fra l'ipotesi di una lunga e di una breve durata del centro. Le profonde diversità stilistiche fra i pezzi, come si è visto, non è certo che comportino una netta differenziazione cronologica; anche lo studio architettonico dei monumenti lascia in dubbio: mentre alcuni monasteri (Tepe Kalan) mostrano di aver avuto una lunga esistenza con ampliamenti successivi, in altri non è stato nemmeno esaurito lo spazio lasciato a disposizione per gli stūpa.
È certo comunque che le sculture di H., che si differenziano profondamente dalla produzione gandharica in pietra per la tecnica e per lo stile accentuatamente coloristico, appartengono al suo momento più tardo, come gli stucchi di Taxila, almeno in parte sicuramente databili al V-VI secolo. Questa è la datazione del Marshall per la "scuola indo-afghana", in cui egli comprende gli stucchi, e che sarebbe nettamente distinta per tecnica, stile e cronologia dalla scuola gandharica in pietra, iniziando, dopo un periodo di arresto, solo durante la dominazione kidarita. Altri autori, per contro, mettono in rilievo la continuità di repertorio fra le due fasi, nei soggetti buddisti e nella presenza di tipi figurativi classici; oppongono poi che la datazione iniziale è troppo tarda, almeno per H.; che la tecnica dello stucco, sia pure in modo promiscuo e sporadico, era nota accanto alla precedente produzione in pietra; che in questa non mancano, come pure in tutta una serie di terrecotte che inizia in età relativamente antica, tendenze ad un gusto dinamico-coloristico, con elementi veristici e ritrattistici. Vorrebbero perciò riportare gli inizî di questo diverso aspetto dell'arte gandharica al IV, se non alla seconda metà del III sec., dopo la prima dominazione sassanide. Quanto all'origine della tecnica dello stucco alcuni (Debevoise) pensano a una derivazione arsacide, mentre altri richiamano la tradizione di Alessandria, mettendo parallelamente in rilievo (Wheeler) il traffico svoltosi fra i porti del Mediterraneo orientale e l'India meridionale, una volta bloccate dall'impero sassanide le carovaniere attraverso l'Irān: si può ancora ricordare la presenza di stucchi alessandrini a Begram (v.). L'uso del calco aiuterebbe a spiegare la maggior classicità delle teste, eseguite con tale sistema, rispetto ai corpi; ma bisogna notare che in quest'epoca i centri considerati (Palmira, Dura, Alessandria, Antiochia) erano estinti, o la loro arte volgeva verso forme tardo-antiche.
Recentemente (Bussagli) è stata presentata una ricostruzione che tende a opporre le tendenze più rigidamente statiche e frontali, attribuite ad un gusto portato dai Kuṣāṇa e prevalente in un primo momento, ad un più antico sottofondo culturale di tradizione ellenistica, che, alimentato successivamente da influssi parthici classicheggianti o provenienti dai centri del Mediterraneo romano, si afferma decisamente con la fine delle dinastie Kuṣāṇa.
Bibl.: J. Barthoux, Fouilles de Hadda, I, Stupas et sites, Parigi 1933; id., II, Figures et figurines, Parigi 1930; L. Bachhofer, Ostasiatische Zeitschrift, 1931, p. 106 ss.; E. Waldschmidt, in Berliner Museum, LIII, 1932, p. 1 ss.; B. Rowland, The Art and Architecture of India, Harmondsworth, 1953, p. 82 ss.; A. Foucher, La vieille route de Bactres à Taxila, II, Parigi 1947, p. 346 ss.; M. Bussagli, in Riv. Ist. Arch. e St. Arte, V-VI, 1956-57; A. Foucher, in Monuments Piot, XXX, p. 101 ss.; J. Marshall, Taxila, Cambridge 1951.