HAGESANDROS (῾Αγήσανδρος, Hagesander)
H. è un nome che ricorre per tre volte in una stessa famiglia di scultori che fiorirono in Rodi tra la fine del II e durante il I sec. a. C. Alcune epigrafi rinvenute a Rodi ci fanno luce sui loro rapporti di parentela: il primo H., vissuto intorno al 100, fu padre di un secondo H., il quale ebbe per figlio un terzo H. ed un Athenodoros. A questa famiglia si riferisce con sicurezza la notizia di Plinio (Nat. hist., xxxvi, 37) circa il celebre gruppo statuario del Laocoonte (v.) che tanto rumore sollevò al momento della sua scoperta nella Domus Aurea, nel 1506. Plinio ci dice che autori del gruppo furono gli scultori rodî H., Athenodoros e Polydoros. La successione dei nomi nel testo ha fatto supporre che il primo avesse avuto nell'opera la parte preponderante, tanto che qualcuno gli attribuì la figura centrale, attribuendo agli altri due scultori le altre figure. Studi epigrafici sui rapporti di parentela tra i tre artisti hanno portato la datazione del gruppo intorno al 25 a. C. e non al 50, come in un primo tempo si supponeva. Si tratterebbe quindi di una creazione all'incirca contemporanea agli anni in cui Virgilio scriveva i famosi versi del ii libro dell'Eneide, e sarebbe da escludere così un eventuale influsso dell'una opera sull'altra. Ma non mancano argomenti per una datazione al II secolo. La recente scoperta di un'iscrizione con i nomi di questi tre scultori rodî, ma con qualche diverso patronimico, nello scavo della Grotta cosiddetta di Tiberio a Sperlonga, insieme con un ricco complesso di sculture del più maturo stile ellenistico, ripone in discussione tutto il problema della cronologia di questa famiglia di scultori e quindi del Laocoonte. Il gruppo è oggi tra i maggiori ornamenti dei Musei Vaticani, ove è conservato nel Cortile del Belvedere. Fu ritrovato notevolmente danneggiato ed ebbe un primo restauro del Montorsoli (1532-33). Un tentativo di restauro sul calco in gesso è stato fatto al Museo dei Gessi di Roma dal Vergara Caffarelli, il quale ha dato una visione più fedele dell'opera originaria.
Il gruppo marmoreo è stato ultimamente sottoposto ad opera di F. Magi ad una accurata revisione tecnica con scomposizione e ricomposizione dei varî pezzi, portando ad interessanti precisazioni e a risultati non ancora pubblicati (v. laocoonte). La composizione fu popolare nell'Italia antica: se ne vede il riflesso in alcune pitture murali di Pompei e fin nel IV-V sec. d. C. in una miniatura del Codice Vat. Lat. 3225 (il cosiddetto Vergilius Vaticanus).
Bibl.: J. Overbeck, Schriftq., Lipsia 1868, nn. 3021-2037; W. Amelung, in Thieme-Becker, XV, 1922, s. v.; Ch. Blinkenberg, in Röm. Mitt., 1927, p. 177 ss.; L. Laurenzi, Problemi della scultura ellenistica. La Scuola rodia, in Rivista dell'istituto di Archeologia e Storia dell'Arte, 1940; E. Vergara Caffarelli, Nota sul restauro del Laocoonte, in Archeologia Classica, I, 1949; S. Howard, in Am. Journ. Arch., LXIII, 1959, pp. 365-371; G. Iacopi, in Archeologia Classica, X, 1958, p. 160 ss.; S. Ferri, in Archeologia Classica, II, 1950, p. 66 ss.; G. M. A. Richter, Three Critical Periods, Oxford 1951, p. 70; E. Vergara Caffarelli, in Riv. Ist. Arch. e Storia dell'Arte, III, 1954, p. 29 ss.; L. Laurenzi, ibid., p. 70 ss.; A. Prandi, ibid., p. 78 ss.