HAITI
(XVIII, p. 319; App. I, p. 705; II, I, p. 1175; III, I, p. 805; IV, II, p. 127)
Tra i censimenti del 1971 e del 1982 la popolazione è salita da 4.314.628 a 5.053.791 unità, con un incremento medio annuo dell'1,6%; nello stesso intervallo la popolazione della capitale, Portau-Prince, è passata da 306.053 a 449.831 ab. nella città e da 493.932 a 763.188 ab. nell'intero agglomerato, con incrementi, rispettivamente, del 4,3% e del 4,9%. Ciò rivela un forte afflusso di Haitiani (soprattutto donne, che trovano occupazione nei lavori domestici e nelle industrie leggere) nell'unico vero centro urbano del paese: un paese che, peraltro, resta marcatamente rurale, poiché alla data dell'ultimo censimento la popolazione urbana ammontava appena al 22% di quella complessiva e alla fine degli anni Ottanta non raggiungeva ancora il 30%. Del resto, a parte la capitale, le città sono centri di piccola ampiezza demografica (solo Cap-Haïtien supera i 50.000 ab.), prevalentemente amministrativi, con modeste funzioni industriali. Secondo una stima del 1990, la popolazione haitiana avrebbe raggiunto i 5.690.000 ab., con una densità di 205 ab./km2.
La persistenza di aspetti rurali e arcaici appare anche dall'elevato numero di addetti all'agricoltura, che ancora nel 1990 ammontavano al 57% della popolazione attiva. L'agricoltura, che dunque permane la base dell'economia, deve confrontarsi con i gravi problemi delle ricorrenti siccità, dell'erosione, dei danni provocati dal disboscamento, della polverizzazione fondiaria. Le colture più diffuse sono quelle del banano (oltre 2.500.000 q di frutta nel 1989), del caffè, notevole per l'esportazione, di alberi da frutto come l'avocado e soprattutto il mango, di cui H. è uno dei principali produttori. Stazionarie, e in qualche caso in regresso, risultano le altre coltivazioni tradizionali (canna da zucchero, agrumi, cocco, cacao, cotone). L'estrazione della bauxite, che pareva assai promettente, è venuta diminuendo sensibilmente, sebbene il minerale alimenti tuttora le esportazioni. Le industrie manifatturiere continuano a risentire negativamente della mancanza di capitali nazionali e dell'instabilità politica del paese negli ultimi anni.
La bilancia commerciale permane pesantemente passiva. Gli Stati Uniti sono il partner prevalente, soprattutto per quanto riguarda le esportazioni, di cui assorbono oltre il 50%. Il turismo ha notevoli possibilità (H. potrebbe profittare della saturazione turistica di altre terre caribiche), ma anche in tal caso le vicende politiche hanno influito sfavorevolmente, così che il numero dei visitatori è rimasto negli ultimi anni pressoché stazionario (133.000 nel 1989-90).
In queste condizioni non c'è da stupirsi se H. conserva per intero tutte le sue caratteristiche di paese in crisi, come dimostrano il consistente flusso migratorio, soprattutto verso la vicina Repubblica Dominicana e gli Stati Uniti (a rafforzarlo hanno contribuito notevoli contingenti di profughi), il bassissimo − e decrescente − prodotto interno lordo pro capite (370 dollari nel 1990), la marcata dipendenza dagli aiuti internazionali.
Bibl.: R. Cornevin, Haïti, Parigi 1982; R. Lawless, Haiti: a research guide, New York 1990.
Storia. - J.-C. Duvalier, soprannominato Baby Doc, cercò di migliorare l'immagine esterna del regime, anche per rafforzare i rapporti con i paesi dai quali H. è economicamente dipendente (in primo luogo gli Stati Uniti, poi, soprattutto per quanto riguarda gli aiuti, Francia, Canada e Germania). Ai reiterati impegni di graduale liberalizzazione non fecero tuttavia riscontro modifiche significative nel sistema politico; Duvalier mantenne la carica di presidente a vita ereditata dal padre, e le elezioni parlamentari, tenute per la prima volta dopo dodici anni nel 1973 e ripetute nel 1979 e nel 1984, videro la partecipazione dei soli candidati governativi. La repressione, anche se meno violenta che negli anni Sessanta, continuò a impedire qualsiasi forma di dissenso, e la corruzione del regime rimase inalterata.
Le condizioni di vita della popolazione, di gran lunga la più povera di tutta l'America latina, restarono pessime: alla miseria e alla malnutrizione diffuse si accompagnavano la mancanza di infrastrutture e di servizi essenziali, con livelli assai elevati di morbilità e di mortalità infantile, soprattutto nelle campagne; in queste ultime, a metà degli anni Ottanta, l'analfabetismo era ancora superiore all'85% (oltre il 60% la media nazionale), anche a causa del bilinguismo di fatto esistente nel paese tra il francese, lingua ufficiale dell'élite urbana, e il creolo, parlato dalla grande maggioranza della popolazione. Il permanere dell'agricoltura come attività economica fondamentale si accompagnava a un declino della già scarsa produttività agricola e a una tendenziale riduzione della stessa superficie coltivabile, a causa dell'eccessiva pressione demografica, della cattiva distribuzione della proprietà terriera (compresenza di pochi latifondi e di un gran numero di minuscoli appezzamenti), dei metodi di coltivazione primitivi e dei gravi fenomeni di erosione provocati dall'intenso disboscamento: l'uso della legna e del carbone di legna come principali fonti di energia ha prodotto infatti un forte degrado delle condizioni ambientali. Di qui il progressivo deterioramento della situazione alimentare, malgrado l'emigrazione, a partire dagli anni Sessanta, di oltre un milione di Haitiani verso gli Stati Uniti, il Canada e vari paesi caribici, e la crescente dipendenza anche in questo campo dagli aiuti stranieri, in particolare statunitensi. L'elevata disoccupazione, la corruzione dell'apparato amministrativo e il peso dell'oligarchia dominante contribuivano ad aggravare le condizioni sociali, mentre l'insediamento presso Port-au-Prince di alcune industrie statunitensi (abbigliamento, elettronica), che, attratte dai bassi salari e dalle condizioni di favore offerte dal governo, vi decentravano le fasi finali della lavorazione, non aveva che limitati effetti espansivi sull'economia del paese.
Data l'impossibilità di qualunque espressione politica, la crescita del malcontento popolare si manifestò soprattutto attraverso la Chiesa cattolica, i cui rapporti con il governo subirono un progressivo deterioramento. A partire dal novembre 1985 ripetute dimostrazioni di protesta, dapprima prevalentemente studentesche, poi estese a settori sempre più ampi della popolazione, sfociarono in un'aperta rivolta, con decine di morti, e in una crisi generale del regime (gennaio 1986); il 7 febbraio Duvalier, anche in seguito alle pressioni statunitensi, era infine costretto a lasciare H. e si rifugiava in Francia, mentre al potere s'insediava una giunta (Conseil National de Gouvernement, CNG) presieduta dal capo di stato maggiore dell'esercito gen. H. Namphy.
Il CNG assunse le funzioni di governo provvisorio, consentì la formazione di vari partiti politici (1986) e s'impegnò a portare a termine il processo di transizione a un regime costituzionale entro il 1988; ma gli stretti legami dei militari con l'oligarchia dominante e con la stessa dittatura duvalierista tendevano a vanificare tale processo. Lo scontro fra la pressione popolare per un'effettiva democratizzazione del paese e la resistenza opposta dalle forze armate, che continuavano a esercitare una dura repressione, nonché le divisioni all'interno di queste ultime mantennero H. in uno stato di acuta conflittualità, alimentata anche dalla persistenza delle gravi condizioni economiche e sociali (nella seconda metà degli anni Ottanta il tasso di disoccupazione superava il 50% della forza lavoro, e l'1% della popolazione si appropriava di quasi la metà del reddito nazionale). Agitazioni e disordini proseguirono pertanto anche dopo la caduta di Duvalier, con un bilancio di vittime reso ancor più pesante dalle violenze dei tonton-macoutes, la milizia duvalierista che era stata formalmente disciolta nel febbraio 1986, ma i cui membri restavano attivi con la connivenza dei militari.
Nell'ottobre 1986 la giunta convocava un'assemblea costituente di 61 membri (41 dei quali eletti nello stesso mese e 20 nominati dal governo) che elaborava una nuova costituzione, approvata tramite referendum nel marzo 1987: essa prevedeva, accanto al riconoscimento delle libertà fondamentali e del creolo come lingua ufficiale accanto al francese, una limitazione dei poteri presidenziali a opera di un parlamento bicamerale e l'esclusione per dieci anni dalle cariche pubbliche degli elementi più legati al passato regime; una commissione elettorale indipendente avrebbe dovuto vigilare sulla regolarità delle future elezioni. Dopo un tentativo del CNG di esautorare la commissione indipendente, rientrato in seguito alle forti proteste popolari (giugno-luglio 1987), elezioni presidenziali e legislative furono effettivamente indette nel novembre 1987, ma, poche ore dopo l'apertura dei seggi, esse venivano sospese a causa dell'ondata di violenze scatenata contro i votanti da militari e tonton-macoutes.
Sostituita la commissione con una di suo gradimento e cambiata la legge elettorale, la giunta indiceva nel gennaio 1988 nuove consultazioni che, boicottate dalla maggioranza delle forze politiche, vedevano una scarsissima affluenza alle urne. Alla presidenza della Repubblica risultava eletto il conservatore L. Manigat, che costituiva in febbraio un governo civile ma, dopo appena quattro mesi, perso l'appoggio delle forze armate, veniva destituito dal gen. Namphy. Assunta nel giugno 1988 la presidenza della Repubblica e ricostituita un'amministrazione militare, Namphy scioglieva il Parlamento e abrogava la costituzione, lasciando mano libera alle atrocità degli squadroni della morte duvalieristi, ma in settembre era a sua volta rovesciato da un colpo di stato che portava al potere il gen. P. Avril. Il nuovo presidente s'impegnò a ristabilire un regime costituzionale e a indire elezioni generali nel 1990, ma la situazione rimase precaria (ulteriori tentativi di golpe si verificarono nel 1989), mentre l'aspro conflitto politico e sociale, il terrorismo duvalierista e la repressione militare continuavano ad alimentare violenze e disordini, con centinaia di vittime.
Dopo una temporanea proclamazione dello stato d'assedio nel gennaio 1990, la crescita della protesta popolare e la pressione di Washington costringevano infine Avril a dimettersi in marzo; la presidenza della Repubblica fu assunta da un giudice della Corte suprema, E. Pascal-Trouillot, che costituì un governo civile provvisorio, affiancato da un Consiglio di stato di 19 membri (nominati dalle principali forze politiche del paese) con funzioni consultive e di controllo. Malgrado la politica incerta della Pascal-Trouillot, aspramente criticata dal Consiglio di stato, e le ricorrenti violenze dei tonton-macoutes, elezioni presidenziali e legislative sostanzialmente corrette poterono finalmente svolgersi nel dicembre 1990-gennaio 1991, grazie soprattutto alla presenza di numerosi osservatori internazionali che si affiancarono alla ricostituita commissione elettorale. Presidente della Repubblica fu eletto, con oltre i due terzi dei voti, J.-B. Aristide, sacerdote cattolico ed esponente della teologia della liberazione, appoggiato dal progressista Front National pour le Changement et la Démocratie (FNCD) che ottenne la maggioranza relativa dei seggi in entrambi i rami dell'Assemblea nazionale. Più volte fatto segno di attentati e avversato dalle stesse gerarchie ecclesiastiche, Aristide godeva di un ampio sostegno fra i contadini e le masse povere urbane che nel gennaio 1991 reagirono duramente all'ennesimo tentativo di golpe duvalierista contribuendo al suo fallimento. Il 7 febbraio, cinque anni dopo la fuga di Duvalier, Aristide poteva così insediare la prima amministrazione democraticamente eletta.
Il nuovo governo cercò di avviare una politica di riforme, ma questa trovava seri ostacoli sia nella pesante situazione economica , sia nell'ostilità dei militari e dell'oligarchia dominante. La tensione si accentuò durante l'estate (anche in seguito alla condanna all'ergastolo di uno dei promotori del tentato golpe di gennaio e ai provvedimenti del governo contro il traffico di droga, nel quale era coinvolto l'esercito), mentre il rimpatrio forzato di migliaia di emigrati nella Repubblica Dominicana (che reagì in tal modo alle critiche per le dure condizioni di sfruttamento cui i lavoratori haitiani erano sottoposti) aggravava le difficoltà economiche. Il 30 settembre un nuovo violento colpo di stato, guidato dal gen. R. Cedras, rovesciava Aristide, costringendolo a rifugiarsi in Venezuela; repressa la resistenza popolare, i militari costituivano in ottobre un'amministrazione provvisoria, affidando la presidenza della Repubblica al giudice della Corte suprema J. Nerette. Le sanzioni varate dall'Organizzazione degli stati americani, che cercava di indurre il governo golpista a raggiungere un accordo con Aristide per il ritorno alla legalità costituzionale, non avevano successo: malgrado l'apertura di negoziati con il deposto presidente, i militari e l'oligarchia mantenevano un atteggiamento intransigente, mentre la violenta repressione (oltre 2000 morti nei dodici mesi successivi al colpo di stato) e l'ulteriore peggioramento della situzione economica e sociale inducevano migliaia di Haitiani a tentare la fuga in barca verso gli Stati Uniti (circa 40.000 entro l'agosto 1992, per la maggior parte respinti nell'isola dalle autorità di Washington). Nel giugno 1992 è stato costituito un nuovo governo provvisorio: il conservatore M. Bazin, sconfitto da Aristide nelle presidenziali del dicembre 1990, ha assunto la carica di primo ministro, mentre quella di presidente è stata lasciata vacante.
Bibl.: M. Lundahl, The Haitian economy: man, land and markets, Londra 1983; B. Weinstein, A. Segal, Haiti: political failures, cultural successes, New York 1984; D. Nicholls, Haiti in Caribbean context: ethnicity, economy and revolt, Londra 1985; Politics, projects and people: institutional development in Haiti, a cura di D. W. Brinkerhoff e J. C. García-Zamor, New York 1986; J. Ferguson, Papa Doc, Baby Doc: Haiti and the Duvaliers, Oxford 1987; J. De Wind, D. H. Kinley, Aiding migration: the impact of international development assistance on Haiti, Boulder (Colorado) 1988; D. Nicholls, From Dessalines to Duvalier: race, colour and national independence in Haiti, Cambridge 1988; R. I. Rotberg, Haiti's past mortgages its future, in Foreign Affairs, 67 (autunno 1988); A. Wilentz, The rainy season: Haiti since Duvalier, New York 1989; Haiti et l'après-Duvalier: continuités et ruptures, a cura di H. Cary e J. Hérard, Port au Prince-Montreal 1991.
Per ulteriori indicazioni, v. america, Bibl.: America Centrale e Regione caribica, in questa Appendice.
Letteratura. - Si traccerà qui un profilo unitario della letteratura fiorita nell'intero complesso dei territori francofoni delle Antille, non presentando essa divaricazioni sostanziali nelle idee e nelle personalità. L'area comprende dunque, oltre alla repubblica di H. che ne costituisce in pratica il centro politico-culturale, i due dipartimenti francesi d'oltremare, Martinica e Guadalupa, e alcune isole minori, dove per lo più − con lingua ufficiale inglese o spagnolo − prevale nel parlato un gergo franco-creolo.
Prima repubblica nera (1804), H. non ha in realtà fino a oggi raggiunto uno stabile assetto democratico: le ininterrotte rivalità intestine, il ventennio dell'occupazione statunitense (1915-34), il trovarsi al centro degli interessi economici e politici di Francia, Spagna e Stati Uniti, generano ogni tipo di problema e ritardano, quando non impediscono del tutto, la maturazione di un'identità politica, nazionale e culturale. Nonostante la generosità e il coraggio di non pochi intellettuali − spesso costretti all'esilio in Africa, in America e soprattutto in Europa −, la cultura haitiana e più generalmente antillana appare fortemente condizionata da gravi fratture e basilari difficoltà, che vanno dal problema della lingua (francese o creolo?) a quello di una definizione culturale schiettamente autoctona (d'ispirazione francese o africana?), dal contrasto razziale fra neri e meticci a quello religioso tra cristianesimo e tradizione vudu. Ma è indubbiamente da questa dolorosa e dissociante particolarità che scaturisce il fascino di questa letteratura: una letteratura sostanzialmente di protesta, che su note di dramma, d'ironia e di favola si racconta e si analizza, cercando accanitamente e generosamente punti fermi per una stabilità politica e una definizione culturale finalmente autonome.
Poesia e narrativa. - La dominazione francese ha nettamente condizionato la vita e la cultura haitiane, al punto che solo recentemente il creolo − dialetto di base francese con grammatica semplificata e alcuni residui di parlata africana − è assurto a dignità letteraria per opera di alcuni intellettuali che, riprendendo i tentativi di O.A. Durand (1840-1906), autore dell'idillio Choucoune (1884), di G. Sylvain (1866-1925) che nel 1901 aveva dato alle stampe Cric? crac!, un gustoso adattamento delle favole di La Fontaine, e di qualche altro esponente del movimento d'idee orientato alla valorizzazione della cultura autoctona, cercano nell'uso del dialetto e nell'assunzione di temi, personaggi ed elementi di colore spiccatamente locale la conquista di un'espressività autonoma, sia linguistica che creativa.
Alla fine del secolo, attorno a due riviste, La jeune Haïti (1895-98) e La Ronde (1898-1902), si riunisce un gruppo di scrittori, quasi tutti educati a Parigi, che al culto della forma uniscono in genere il proposito di esaltare i tratti peculiari della propria origine e della propria terra, in particolare il dialetto creolo (usato tuttavia con intenti per lo più coloristici): come E. Vilaire (1872-1951), D. Vaval (1879-1960), F. Marcelin (1848-1917) o il più patetico A. Innocent (1873-1960) autore di Mimola (1906), considerato il primo romanzo folcloristico; o come i frizzanti narratori J. Lhérisson (1873-1907) e F. Hibbert (1874-1928).
Il ventennio dell'occupazione americana (1915-34) intacca solo episodicamente l'ormai radicata acculturazione francese dell'intellighenzia haitiana, anzi il contrasto culturale e ideologico tra le due civiltà genera il netto irrigidimento − che non di rado assume tinte irredentiste − di molti intellettuali, che si arroccano a difesa delle proprie radici, valorizzando sia le tradizioni più recenti − le haitiane e quelle, linguistiche e letterarie, di ascendenza francese − sia le più remote, come le africane, lontane ma non per questo meno percepite.
Della rivendicazione delle origini africane − che troverà ampia risonanza nella Revue Indigène (1927-29) e più tardi nel gruppo dei Griots- è nume tutelare l'etnologo J. Price-Mars (1876-1969), che nei saggi Ainsi parla l'oncle (1928) e Formation ethnique, folklore et culture du peuple haïtien (1929) promuove un vasto movimento d'idee africaniste, il cui principio basilare è che i neri debbono ritrovare le proprie radici etniche e culturali, non puntare all'assimilazione di quelle dei bianchi europei o americani. Alla cultura indigena come crogiolo di autoctonia e civiltà francese fa persuasivo riferimento − soprattutto nell'Histoire du peuple haïtien (1953) − lo storico L.-D. Bellegarde (1877-1966); riferimento che in non pochi poeti, quasi tutti di formazione parnassiana, si colora di accensioni etnico-politiche: come in M. Coicou (1867-1908), che deve la fama di poeta patriota alla raccolta d'esordio, Poésies nationales (1892), alle sue molte commedie satiriche, al romanzo La Noire (1905), in cui denuncia l'origine coloniale del razzismo, ma soprattutto alla tragica fine davanti al plotone d'esecuzione per aver partecipato a una congiura contro il presidente Nord-Alexis; in F. Burr-Reynaud (1886-1948), che alla celebrazione degli aborigeni unisce maledizioni per gli invasori; come nell'indigenista L. Laleau (1892-1979), che nelle liriche di Flèche au coeur (1926), Ondes courtes (1933; le due raccolte sono state ripubblicate, riunite, nel 1978) e Musique nègre (1933) si fa portavoce delle lacerazioni provocate dalla pluralità delle tradizioni e dalla condizione subalterna del popolo e della cultura haitiani; ancora in E. Roumer (n. 1903), la cui posizione polemica contro gli Americani, moderata in Poèmes d'Haïti et de France (1925), si fa aspra nelle raccolte più tarde, Le caïman étoilé (1963) e, in creolo, Rosaire couronne sonnets (1964).
Attorno alla nuova rivista Les Griots (1938-40 e 1948-50), che eredita le rivendicazioni della Revue Indigène, si muovono sullo scorcio degli anni Trenta alcuni intellettuali d'avanguardia che propongono, oltre a un rinnovamento radicale degli schemi metrici e tematici tradizionali, un nuovo profilo di poeta, che dovrà essere insieme testimone e attore dell'ormai annoso dramma delle popolazioni africane al di qua e al di là dell'Atlantico.
Esponente di rilievo di questo movimento d'idee, peraltro abbastanza frastagliato nelle linee d'espressione − la gamma trascorre dal surrealismo all'ermetismo, dal realismo all'espressionismo − è J. Roumain (1907-1944), fondatore (1934) del Partito comunista haitiano e (1941) del Bureau d'ethnographie, autore di racconti e romanzi ''indigenisti'' (La proie et l'ombre, 1930; La montagne ensorcelée, 1931; Les fantoches, 1941), di poesie impegnate sul fronte delle rivendicazioni razziali (Bois d'ébène, 1945) e del vasto affresco narrativo Gouverneurs de la rosée (1944), che lo ha rivelato in ambito internazionale.
Nella medesima direzione si muovono C. Brouard (1902-1965), direttore di Les Griots e autore di prose teoriche sull'indigenismo (Pages retrouvées, 1963; Ecrit sur un ruban rose, 1965); Ph.-T. Marcelin (1904-1975), il poeta di La Négresse adolescente (1932) e di Lago lago (1943), il saggista di Contes et légendes d'Haïti (1967), più noto per alcuni romanzi scritti in collaborazione col fratello Pierre, Canapé vert (1944), La bête de Musseau (1946), Le crayon de Dieu (1952), Tous les hommes sont fous (1980); F. Morisseau-Leroy (n. 1912), che oltre a un romanzo di notevole livello, Récolte (1946) e ad alcune raccolte di liriche (Plénitude, 1940; Natif-Natal, 1949), ha inteso ribadire la dignità letteraria della lingua creola con la commedia Anatol (1946), con la riduzione da Sofocle Antigone créole (1953) e con la silloge poetica Diacoute (1959); J.F. Brierre (n. 1909), una delle voci più suggestive della lirica haitiana, autoesiliatosi a Dakar, dolente ma tutt'altro che rassegnato cantore della sofferenza negra (Black soul, 1947; Les aïeules, 1950; La nuit, 1955; Images d'or, 1959; Aux champs pour Occide, 1960; Découvertes, 1966; Un Noël pour Gorée, 1980; Sculptures de proue, 1983); C.-M. Saint-Aude (1912-1971), poeta di netta matrice surrealista nelle raccolte Dialogue de mes lampes, Tabou (1941) e Déchu (1956), nonché suggestivo narratore nel romanzo Parias (1949) e nei racconti riuniti in Ombres et reflets (1952) e Veillées (1956).
Sullo scorcio degli anni Trenta alcuni scrittori avvertono l'esigenza di legare più strettamente l'arte alla vita, e le loro voci si fanno più dure e intransigenti nei confronti dell'oppressione politica, che naturalmente è anche e soprattutto oppressione sociale ed economica. Veri e propri punti di riferimento e modelli per la loro generazione e la seguente furono R. Camille (1912-1961) e R. Depestre (n. 1926).
Camille, saggista, giornalista e uomo politico, ha espresso intensamente nelle sue liriche (Assaut à la nuit, 1940; Multiple présence, 1951, ma pubbl. nel 1978) l'umiliante condizione della ''negritudine'', oppressa da ataviche povertà che in pratica ne annullano ogni tensione di riscatto.
Poeta precoce, Depestre pubblica Etincelles a diciannove anni; e sempre nel 1945 fonda la rivista politico-letteraria d'avanguardia La Ruche, la cui quasi immediata soppressione provocherà una ribellione di studenti e intellettuali che ben presto, raccolto il diffuso malcontento di ogni ceto sociale, si allargherà a tutto il paese in aperta rivolta contro il governo del dittatore E. Lescot. Dopo aver attivamente partecipato alla vita e alle iniziative del nuovo governo di D. Estimé, per divergenze con alcuni esponenti dei quadri dirigenziali Depestre lascia la terra natale e inizia una serie di viaggi e soggiorni che lo porteranno prima in Francia − dove intraprende gli studi universitari e dove pubblica Végétation de clartés (1951), Traduit du Grand Large (1952) e Minerai noir (1957) −, poi in Chile, in Italia e in molti altri paesi del continente europeo e americano. Stabilitosi a Cuba nel 1959, vi resterà per un ventennio, sostenitore entusiasta del regime di Castro; pubblica saggi (Pour la révolution pour la poésie, 1974) e compone alcune raccolte di liriche (tutte stampate a Parigi: Journal d'un animal marin, 1962; Un arc-en-ciel pour l'occident chrétien, 1967; Poète à Cuba, 1973: la sola raccolta tradotta in italiano, sempre nel 1973). Nel 1978 si trasferisce definitivamente in Francia, dove affianca a un'intensa attività culturale, pubblicistica e saggistica (Bonjour et adieu à la négritude, 1980) la composizione di nuove liriche (En état de poésie, 1980), la nuova stesura (1979) di un romanzo, Le mât de cocagne (1974), e di alcuni racconti del 1973 (Alléluia pour une femme-jardin, 1981), il suggestivo affresco narrativo Hadrienne dans tous mes rêves (1988; trad. it., 1991); cui nel 1990 è andato ad aggiungersi l'originale Eros dans un train chinois.
Fra i coetanei di Camille, e sulla stessa linea ideologica, si dovranno ricordare almeno R. Bélance (n. 1915), autore di Luminaire (1941), Survivances (1944), Pour célébrer l'absence (1944), Epaule d'ombre (1945); e i guadalupensi P. Niger (n. 1917), evocatore efficace di un passato ancestrale africano, che assurge all'appassionata connotazione di eden perduto; e G. Tirolien (n. 1917) che, rivelatosi con Prière d'un petit enfant nègre (1947), ha tentato nelle raccolte successive (comprese nel volume Balles d'or, del 1961) di superare il concetto ristrettamente razziale di ''negritudine'' in direzione di una più ampia valutazione del singolo individuo.
La svolta impressa alla letteratura haitiana dalla forte personalità di questi autori è stata agevolata da fattori di vario ordine. Il progressivo sfaldarsi in tutto il mondo dell'ideologia colonialista rafforza notevolmente la consapevolezza che solo l'acquisizione dell'identità razziale e culturale, principio già da tempo proclamato e difeso come necessità primaria da studiosi e pubblicisti di origine haitiana, può portare il radicale rinnovamento auspicato da tutte le nuove forze intellettuali e politiche realmente interessate a un new deal sociopolitico, economico e culturale del paese. Il problema, grazie soprattutto ai numerosi esuli politici sparsi in ogni parte del globo, varca i ristretti confini nazionali e trova sostegno determinante in circoli extra-isolani, in particolare negli ambienti più illuminati dell'intellighenzia parigina, già sensibilizzata al fenomeno delle culture africane di espressione francese: e si dovranno ricordare almeno l'importante saggio-prefazione redatto da J.-P. Sartre per l'antologia di poeti franco-africani curata da L.S. Senghor (1948); gli appassionati dibattiti che animarono i tre convegni europei sulla négritude (1956, 1959 e 1967) e il convegno-festival di Algeri (1969). Inoltre, rintracciate le componenti di una propria fisionomia, la letteratura haitiana poteva ora riconoscere radici, suggestioni e soprattutto modelli in altri autori neri già internazionalmente affermati, quali il senegalese Senghor e il martinicano A. Césaire.
Questi nuovi fermenti d'idee trovano numerose e variegate agglomerazioni in gruppi d'avanguardia. Nel 1960 nascono tre movimenti letterari, che raccoglieranno le forze migliori della cultura haitiana: il gruppo Samba, rifusosi l'anno seguente come Haïti littéraire, dal nome della rivista che ne era portavoce; Régénération du Nord-Ouest d'Haïti, con il periodico Le petit samedi soir; e Hounguénickon - nome rituale del personaggio che nelle cerimonie vudu intona per primo il canto −, appoggiato al quotidiano Le nouvelliste. Fanno parte del primo gruppo, tra altri, R. Philoctète (n. 1932), il già citato F. MorisseauLeroy, il fantasioso pittore Davertige (pseudon. di V. Denis, n. 1940), lirico d'ispirazione surrealista (Idem et autres poèmes, edito ad H. nel 1962 e a Parigi nel 1964); e A. Phelps (n. 1928). Fondatore e animatore del secondo gruppo è L.-M. Benoit Pierre (n. 1939), noto con lo pseudonimo Dieudonné Fardin; mentre G. Campfort (n. 1938), autore di due pregevoli raccolte liriche, Eaux (1966) e Clés (1970), è considerato il capo del terzo gruppo, il meno ideologicamente e stilisticamente compatto, in quanto costituito da personalità accomunate soprattutto dall'intento di celebrare bellezze e tradizioni del paese.
Dopo un esordio dominato dalla grande poesia simbolista francese (Saison des hommes, 1960; Margha, 1961; Les tambours du soleil, 1962; Promesse, 1963), Philoctète se ne affranca progressivamente, approdando a moduli espressivi autonomi nei quali la tesaurizzazione dei modelli europei fa lievitare suggestivamente i contenuti ispirati alla vita e alle tradizioni haitiane (Ces îles qui marchent, 1969; Et caetera, 1974). Autore del romanzo fantascientifico Le huitième jour (1973), la fluida vena di Philoctète si dispiega in alcune opere teatrali.
Perseguitato e imprigionato come fondatore e redattore della rivista Sémences (1962), Phelps è costretto all'esilio in Canada, dove diviene in breve un apprezzato giornalista radiofonico e televisivo. Alle prime raccolte di liriche (Présence, 1961; Eclats de silence, 1962), fortemente connotate di echi surrealisti e simbolisti, segue una nutrita produzione, apprezzabile per autonomia formale e contenutistica, sia narrativa (Moins l'infini, 1973; Et moi je suis une île, 1973; Mémoire en colin-maillard, 1976; Motifs pour le temps saisonnier, 1976) sia lirica (La belière caraïbe, 1980).
Ambiziosamente teso alla realizzazione di un'opera ''totale'', nella quale cioè vengano a fusione i principali generi letterari, è il movimento forse più originale nella storia della cultura haitiana, lo Spiralisme; che rivisita tra l'altro alcuni strumenti d'indagine propri dello strutturalismo francese ed esige il coinvolgimento attivo, anzi co-creativo del lettore. Fondato nel 1965 da Philoctète, transfuga da Haïti littéraire, ha come esponenti di rilievo due giovani: F. Etienne (n. 1936), poeta (Au fil du temps, 1965; Les chevaux de l'avant-jour, 1967) e romanziere (Mûr à crever, 1968; Dézafi, in creolo, 1975), che tenta l'opera ''totale'' con Ultravocal (1972); e J.-C. Fignolé (n. 1941), saggista (Oswald Durand, 1968; Etzer Vilaire, ce méconnu, 1970; Pour une poésie de l'authentique et du solidaire, 1974), poeta (Prose pour un homme seul; Fantasmes) e romanziere (Les possedés de la pleine lune, 1987; Aube tranquille, 1990).
Un analogo radicale rinnovamento della forma letteraria nella fusione di più generi si propone il Pluréalisme, movimento fondato nel 1973 da G. Dougé (n. 1923), autore di raccolte liriche in cui − particolarmente in Pollen (1971) − tenta di avvicinare e sfruttare alcuni moduli propri della comunicazione audiovisiva per adeguare ai tempi nuovi la tradizionale struttura del libro.
I fermenti d'idee e le numerose correnti letterarie che hanno movimentato la vita culturale haitiana negli anni Sessanta e Settanta affondano le radici, oltreché nell'aspirazione a un'originalità autoctona, in una più o meno consapevole resistenza al regime dittatoriale instaurato, in quella che fu la prima ''repubblica nera'' del mondo, dai Duvalier. Censura e repressione violenta colpiscono i dissidenti politici e quegli esponenti della cultura che non vogliono o non riescono a omologarsi, e non possono optare per l'esilio.
Trova la morte in un tentativo insurrezionale J.-S. Alexis (1922-1962), il narratore più interessante e dotato del Novecento, che, dopo una vigilia artistica di notevole livello − aperta da Le nègre masqué (1933), racconto imperniato sui pregiudizi razziali e sul conflitto di culture, e conclusa dal romanzo storico Vie de Toussaint Louverture (1949) − riesce a fondere accenti poetici, linguaggio immaginifico e accese problematiche politiche e sociali nel trittico di romanzi Compère Général Soleil (1955), Les arbres musiciens (1957) e L'espace d'un cillement (1959); e si accosterà ulteriormente alle forme della letteratura orale con i racconti di Romancero aux étoiles (1960). Ancor più la sua figura emerge nel panorama della prosa narrativa antillana in quanto il genere non è dei più popolari e, al contrario della lirica, non ha avuto in genere cultori la cui fama sia riuscita a varcare i ristretti confini del paese.
La lunga e pesantissima tirannide dei Duvalier schiaccia, disperde, omologa molte delle forze culturali; ma nonostante le crudeli spedizioni punitive dei tontons-macoutes, la stretta censura e la dolorosa, massiccia diaspora, la vita intellettuale haitiana ferve nella clandestinità o nei paesi eletti a rifugio da chi è stato costretto all'esilio. Così alcuni narratori delle nuove generazioni arrivano a maturare contenuti di grosso impegno sociopolitico e strutture personali di racconto, mirando alla protesta o almeno a una testimonianza immune da cedimenti intellettualistici o pietistici, il cui nucleo sia costituito dalle problematiche, dalle aspirazioni, da speranze e dolori della propria terra o, più generalmente, di tutte le popolazioni di colore.
E non sarà un caso se le personalità più interessanti e incisive di questi decenni operano anche in altri campi della cultura e della scienza: come R. Dorsinville (1911-1990), poeta (Pour célébrer la terre, 1955; Le grand devoir, 1962), etnologo (Dans un monde de dieux, 1970), giunto tardi ma felicemente alla narrativa, a contatto con la realtà di alcuni paesi dell'Africa occidentale (Senegal, Liberia, Costa d'Avorio), dove via via aveva scelto di vivere e di agire, e che gli offrono amplissimo materiale per i suoi notevoli romanzi: Kimby (1974), L'Afrique des rois (1975), Un homme en trois morceaux (1975; trad it., 1977), Mourir pour Haïti (1980), Renaître à Dendé (1980); o come il martinicano F. Fanon (1925-1961), sociologo e psichiatra, allievo e amico di Césaire, politicamente impegnato in Algeria e Tunisia a denunciare nei suoi saggi-rendiconto i danni irreversibili causati dal colonialismo nell'intimo della psiche dei popoli oppressi e a indicare possibili vie per un loro recupero (Les damnés de la terre, 1951; Peau noire, masques blancs, 1952; L'an V de la révolution algérienne, 1959; Pour la révolution africaine, 1964); o come J. Métellus (n. 1937), studioso di matematica e di linguistica, neurologo a Parigi, autore di alcune pregevoli raccolte di liriche nelle quali celebra splendori e miserie della terra d'origine (Au pipirite chantant, 1976; Voyance, 1985), e di due romanzi di alta suggestione poetica (Jacmel au crépuscule, 1981; La famille Vortex, 1982), ma più recentemente (1983) approdato a un insolito, radicale distacco dalla terra d'origine con un romanzo, Une eau forte, ambientato in Svizzera; o come soprattutto il martinicano E. Glissant (n. 1928), poeta (Un champ d'îles, 1953; Terre inquiète, 1954; Les Indes, 1956; Poèmes, 1965; Boises, 1979; Pays revé pays réel, 1985), commediografo (Monsieur Toussaint, 1961) e romanziere di notevole spessore (La lézarde, 1958, premio Renaudon; Le quatrième siècle, 1964; Malemort, 1975; La case du commandeur, 1981), nonché saggista (Soleil de la conscience, 1955; L'intention poétique, 1969; Le discours antillais, 1981) promotore di un interessante sperimentalismo linguistico, consistente in un espressivo amalgama di francese e di creolo.
Fra i narratori della generazione più recente − quasi tutti caratterizzati da una notevole carica d'impegno ideologico accompagnata da una varia e interessante gamma di soluzioni stilistiche e strutturali − andranno citati almeno: J.-C. Charles (n. 1949), autore, oltre che del saggio De si jolies petites plages (1982), dei romanzi Bamboula Bamboche (1984) e soprattutto di una trilogia di cui sono usciti i primi due tomi, Manhattan blues (1986) e Ferdinand je suis à Paris (1987); G. Victor (n. 1958), divertente e però amaro descrittore di realtà sociali in d'Albert Buron ou profil d'une Elite (1988), Sonson Pipirite. Profil d'un homme du peuple (1988), e in Clair de Manbo (1990); e S. Péan (n. 1960), autore di La plage des songes et autres récits d'exil (1988).
Teatro. - Secondo per fioritura soltanto alla lirica, il teatro costituisce senza dubbio nelle Antille francesi il genere di espressione più popolare e più diffuso, stanti la sua natura di unico veicolo culturale agevolmente fruibile anche da gruppi sociali scarsamente o per nulla alfabetizzati, l'esigenza primaria di spontanea immediatezza di linguaggio atta a instaurare il necessario contatto diretto fra autore e pubblico, e infine l'ineludibile aspirazione ad affermare e propagandare una sempre più consapevole autonomia ideologica e, soprattutto, linguistico-culturale: in questa direzione muovono infatti i non pochi esperimenti di scrittura teatrale in creolo. Succube, come la letteratura, dei modelli francesi, il teatro haitiano comincia ad affrancarsene solo alla fine dell'Ottocento, soprattutto con personalità che, superando il facile agiografismo di figure storiche e l'altrettanto facile colore locale, inaugurano una tradizione di satira politica e sociale che costituirà il filone principe delle commedie recitate sui palcoscenici del paese.
Gli autori più rappresentativi di questi inizi sono M. Coicou, già ricordato come poeta e romanziere, ma indubbiamente più efficace come autore di drammi storici (L'oracle, 1893, pubblicato a Parigi nel 1901; Liberté, 1894, rappresentato nel 1904 nella capitale francese; Les fils de Toussaint, 1895; L'empereur Dessalines, 1906) e di gustose satire politiche, tra cui spicca Fefé candidat (1906); e C. Moravia (1876-1938), di cui andranno citati almeno La crête à Pierrot (1908), Le fils du tapissier (1923) e L'amiral Killik (1923).
Un ulteriore strappo in direzione autonoma viene da alcuni esponenti dell'indigenismo, primo fra tutti D. Hippolyte (1889-1967), che dalla commedia d'intrattenimento (Quand elle aime, 1917; Le baiser de l'aïeul, 1921) e dalla satira politica (Le forçat, 1929) approda a drammi impegnati (Le torrent, 1939; Anacaona, e Jour de gloire, 1941). Di buon livello anche le opere di V. Leconte (1866-1932), tra le quali ricorderemo Le roi Christophe (1901), Coulu (1916), Une princesse aborigène (1926); e quelle di due valenti poeti, L. Laleau (Amitiés impossibles e L'attelage, 1916) e D. Vaval (Mademoiselle Michot ou Blanchette Noire, 1916; Le coup d'arrêt, 1917; Le rachat, 1918; Apothéose, 1925).
L'impegno ideologico si accentua notevolmente nelle opere scritte e rappresentate dopo il 1946: a quelle di autori già noti in altri generi letterari − J.-F. Brierre con Adieu à la Marsellaise (1955) e Pétition et Bolivar (1955); R. Dorsinville con Barrières (1955); F. Morisseau-Leroy, che ribadisce con Anatole e Rara la coraggiosa scelta della lingua creola già sperimentata con successo nel 1953 con Antigone créole; R. Philoctète con Rose morte (1962), con il dramma storico Boukman ou le rejeté des Enfers (1963), Les escargots (1965), M. de Vastey (1975) − si affiancano esordienti di notevole livello, tra cui spiccano F. Fouché (1915-1978), che, oltre a un adattamento in creolo dell'Edipo re, ha composto numerose pièces satiriche (Ecole des mères, Ecole des maris, Ecole des politiciens, Bouqui pas bouqui, Bouqui nan paradis, tutte rappresentate ma ancora inedite); M. Dauphin (n. 1910), autore dei drammi storici Boisrond Tonnerre (1954) e Pierre Sully (1960); M. Guérin-Rouzier (n. 1934), piacevole e arguta autrice di L'oiseau de ces dames (1966), La pieuvre (1970), La pension Vacher (1976). Ma le due personalità più interessanti sono senz'altro T. Beaubrun (n. 1918), il cui pseudonimo, Languichatte, è il nome del protagonista di quasi tutte le sue commedie satiriche, da Languichatte se marie (1942) a Languichatte rencontre Maléus (1956), nelle quali situazioni e linguaggio sono improntati alla realtà della vita haitiana, passata al filtro dell'ironia e della vivacità creativa, certo più felicemente articolate in pièces di costume, tra cui La maison du Baca (1945), Lydia's Hôtel (1952), Trois hommes deux femmes (1954), Qui a tué Baravil (1960), C'est moi qu'elle aime (1969); e M. Vallès (n. 1939), che in Roi Angole (1974) tenta un teatro ''totale'', in cui la convergenza di mimo, canto, danza e recitazione costituisca un recupero della cultura religiosa, folclorica e linguistica del territorio.
In evidente sviluppo, e con autonomia sempre meglio definita, la letteratura delle Antille attende forse una maggiore stabilità politica per poter sviluppare pienamente le sue indubbie e assai suggestive potenzialità, troppe volte umiliate da soffocanti ingerenze estranee e gravemente prevaricanti.
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