Vedi Haiti dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Haiti è una repubblica costituita, nel 1804, nella parte occidentale di Hispaniola, l’isola più popolata del continente americano che si trova a est di Cuba e a ovest di Puerto Rico. Gli altri due terzi dell’isola sono ricoperti dalla Repubblica Dominicana, l’unico stato confinante di Haiti e col quale sussistono diversi motivi di tensione. Il paese è ad alto rischio d’instabilità politica soprattutto per la debolezza delle sue istituzioni. I danni del terremoto che il 12 gennaio 2010 colpì Haiti, con epicentro a 15 chilometri dalla capitale Port-au-Prince, hanno aggravato la situazione. La catastrofe, percepita come una sorta di colpo di grazia in un paese già gravemente oppresso da arretratezza e povertà, ha ucciso circa 220.000 persone, ha lasciato senza casa più di due milioni di abitanti, e ha provocato una crisi sanitaria che è tuttora in corso. A cinque anni dal disastro, Haiti conta ancora più di 170.000 sfollati e i lavori di ricostruzione procedono troppo lentamente per garantire al paese una solida ripresa. A ciò si aggiungono le debolezze strutturali. Nel parlamento haitiano, un terzo del senato (ossia dieci seggi) è vacante da maggio 2012, mentre un altro terzo è scaduto nel gennaio 2015. Le elezioni legislative continuano a slittare dal 2011, e l’instabilità politica rischia di portare al collasso del parlamento e del sistema politico, viste anche le prossime elezioni presidenziali, previste a fine 2015. Ancora numerosi sono poi i posti da assegnare nella pubblica amministrazione e nelle forze di polizia. Il vuoto di responsabilità ha alimentato le tensioni già esistenti tra il presidente Michel Martelly e l’opposizione e ha complicato l’avvio di riforme necessarie per il paese, come quella sulla legge elettorale, quelle socio-economiche e le riforme relative alla sicurezza. A inizio 2013 il governo ha lanciato un programma di sussidi in denaro, denominato ‘Cara mamma’ per le madri delle famiglie che vivono in estrema povertà, e ha tentato così di alleggerire il malcontento legato alla cronica carenza di alloggi e posti di lavoro. Nell’autunno 2013 si sono svolte comunque diverse proteste contro il governo Martelly. In assenza di un processo di sviluppo autonomo, le sorti di Haiti dipendono in gran parte dagli aiuti umanitari internazionali che affluiscono nel paese dall’indomani della tragedia e che sono coordinati dalle Nazioni Unite. In particolare, i caschi blu della missione di stabilizzazione in Haiti (Minustah), sbarcati sull’isola nel 2004 per monitorare il processo di consolidamento democratico e per mantenere l’ordine pubblico, sono oggi impegnati a fornire supporto tecnico e logistico per la ricostruzione del paese. A causa degli scarsi progressi finora conseguiti, ma anche per la diffusione di un’epidemia di colera, provocata da un gruppo di caschi blu nepalesi, la missione non gode del favore della popolazione. Nel 2013, i cittadini hanno persino avviato un’azione legale contro le Nazioni Unite presso un tribunale di New York per ottenere il risarcimento delle 8300 vittime causate dall’epidemia. Ciononostante, nell’ottobre 2013 Minustah ha ricevuto un’ulteriore estensione del suo mandato fino all’ottobre del 2014.
In sostegno di Haiti dopo il terremoto si sono mobilitati diversi paesi, tra i quali i vicini Usa e Repubblica Dominicana. L’ex potenza occupante statunitense ha sostenuto l’isola attraverso la Commissione provvisoria per la ricostruzione di Haiti (Ihrc), il cui mandato è scaduto il 21 ottobre 2011, e con altri piani commerciali destinati a promuovere la ripresa economica del paese. Tra di essi l’accordo per favorire la partnership tra i due paesi (Hope II), che permette ad Haiti di esportare i propri prodotti tessili negli Usa senza pagare dazi doganali.
Anche la Repubblica Dominicana ha adottato in questi anni un atteggiamento collaborativo, ma una sentenza emessa il 13 settembre 2013 dalla Corte costituzionale dominicana rischia di esasperare le tensioni da sempre esistenti tra i due paesi sul tema immigrazione e deteriorare anche i rapporti commerciali. La sentenza stabilisce che i discendenti di cittadini stranieri che hanno avuto uno status migratorio ‘in transito’ sono costituzionalmente esclusi dall’ottenimento della nazionalità dominicana. Il provvedimento si applicherà a molti haitiani, tra il milione che si stima risieda illegalmente nella Repubblica Dominicana. Se le autorità non troveranno un piano per regolarizzare la loro posizione, molte famiglie rimarranno apolidi e senza documenti e non potranno quindi richiedere un’occupazione e un’istruzione, neanche in altri paesi.
A livello regionale, prima del terremoto Haiti aveva stretto accordi con Cuba, che fornisce assistenza al paese per la sanità e l’istruzione, e con il Venezuela, che, nell’ambito del programma Petrocaribe, offre finanziamenti agevolati per le vendite di petrolio. Dal 2006, Haiti è inoltre membro effettivo della Comunità Caraibica (Caricom).
Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale, con più di tre quarti della popolazione che vive con meno di due dollari al giorno, e il secondo, dopo le Barbados, più densamente popolato, con 369 abitanti per km2. L’indice di sviluppo umano di Haiti non soltanto è molto basso, ma registra anche un trend contrario rispetto a quello regionale. Circa tre milioni di haitiani sono emigrati negli Usa o nella Repubblica Dominicana: il 30% delle famiglie haitiane ha parenti all’estero. Gli haitiani sono per il 95% neri di origine africana che parlano prevalentemente creolo, e, per il 5%, bianchi e mulatti di lingua francese, che rappresentano sostanzialmente l’élite economica, sociale e culturale del paese.
La mortalità infantile è molto alta, con 56 bambini ogni mille che muoiono entro il primo anno di vita e il 23,4 % afflitto da malnutrizione cronica. La speranza di vita alla nascita è bassa e si attesta sui 62,7 anni di età. L’accesso all’acqua potabile è garantito solo al 62% della popolazione. Dopo il terremoto, la situazione si è ulteriormente aggravata. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni denuncia che nella maggior parte dei 306 campi di accoglienza non ci sono bagni, acqua potabile e sistemi di raccolta della spazzatura. Il numero di sfollati, inizialmente pari a due milioni, si è comunque ridotto del 90% circa dal 2010.
Il sistema scolastico di Haiti è molto arretrato e può essere paragonato a quello dei paesi dell’Africa subsahariana. Solo il 67% dei bambini tra i 6 e i 12 anni è iscritto a scuola e solo il 30% degli studenti della scuola primaria completa i cinque anni d’istruzione previsti. Il motivo degli abbandoni e del basso tasso d’iscrizione è legato ai costi, troppo onerosi per le famiglie haitiane. La spesa pubblica per l’istruzione non è sufficiente a garantire l’insegnamento a tutti i ragazzi.
Haiti ha un’economia di mercato che dovrebbe godere dei vantaggi derivanti dal basso costo della manodopera, dal prezzo agevolato del petrolio e dall’accesso libero al mercato statunitense per gran parte delle sue esportazioni. In realtà la povertà, la corruzione, la vulnerabilità ai disastri naturali e la mancanza di una forza lavoro qualificata e istruita, paralizzano il paese e tendono a vanificare ogni piccolo progresso. Il terremoto del gennaio 2010 ha distrutto la già fragile economia haitiana e ha indotto il governo a varare una strategia di ricostruzione del paese che prevede la creazione di un’amministrazione pubblica efficiente, lo sviluppo delle infrastrutture e un piano di modernizzazione del settore agricolo. Le limitate capacità amministrative e la mancanza di gran parte dei fondi promessi dalla comunità internazionale hanno però impedito la realizzazione dell’ambizioso programma.
Nel 2011 l’economia haitiana aveva cominciato lentamente a riprendersi dagli effetti del terremoto e aveva fatto registrare un tasso di crescita del pil del 5,6%. Nel 2012, tuttavia, i danni provocati alla produzione agricola da due diversi uragani e gli insufficienti investimenti pubblici hanno bloccato la ripresa economica e diminuito il tasso di crescita al 2,8%. Nel 2014 il dato sembra essere migliorato, attestandosi su un 3,8% di crescita annua.
L’agricoltura è il settore più importante: da essa dipendono i due quinti della popolazione. Caffè, sisal, zucchero, cacao, fagioli, miglio, sorgo, riso e mais sono i prodotti della terra haitiana. Tuttora si pratica un’agricoltura di mera sussistenza, che contribuisce solo per il 26% al pil nazionale e che non produce reddito né rientra nelle statistiche ufficiali.
Nel dipartimento del nord-est sono presenti giacimenti di oro e rame, ma l’estrazione non ha ancora raggiunto livelli significativi. Il settore industriale è arretrato e limitato al tessile. La principale fonte di valuta estera sono le rimesse, pari a quasi il 20% del pil e a più del doppio dei proventi delle esportazioni. A causa delle limitate infrastrutture e della sua sicurezza precaria, Haiti non riesce neanche ad attrarre investimenti: l’amministrazione Martelly sta cercando di far fronte al problema puntando anche sul turismo.
Haiti non ha riserve di idrocarburi ed è uno tra i paesi con i più bassi tassi di consumo di energia pro capite al mondo. L’elettricità, cui ufficialmente ha accesso solo il 12,5% della popolazione, è prodotta per quasi l’80% da centrali idroelettriche e per il restante 20% da centrali termiche. In gran parte del paese d’altronde, e soprattutto nelle zone montuose dell’interno, la carenza delle infrastrutture impedisce un accesso continuativo alla rete elettrica alla maggioranza della popolazione, che continua quindi a utilizzare la legna come combustibile primario. La conseguenza è un’inarrestabile e dannosa deforestazione.
Terminata nel 1986 la lunga dittatura di François e Jean-Claude Duvalier (‘Papa Doc’, 1957-1971, e ‘Baby Doc’, 1971-1986), Haiti ha vissuto un periodo di forte instabilità, con una continua alternanza tra elezioni democratiche e golpe militari, fino al 1994. Nel settembre dello stesso anno una missione multinazionale (Multinational Force in Haiti, Mnf) guidata dagli Stati Uniti e approvata dalle Nazioni Unite, composta da 21.000 soldati di 31 diversi paesi e da mille osservatori internazionali, ha favorito l’instaurazione di un governo costituzionale, guidato dall’ex sacerdote cattolico Jean-Bertrand Aristide.
Nell’ottobre successivo l’esercito haitiano fu smantellato e sostituito da un nuovo corpo di polizia. Alla Mnf subentrò una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (Unmih), costituita da 38 paesi e con il compito di vigilare sull’ordine pubblico e sui processi democratici del paese. Dal 1° giugno 2004, dopo un nuovo golpe che depose Aristide e provocò un nuovo periodo di violenza e instabilità, le Nazioni Unite hanno avviato una missione di consolidamento del paese (Minustah), che schiera 6700 militari e 2066 unità della polizia civile.
A tutt’oggi la situazione resta precaria. Una rivolta è scoppiata anche nel 2012 tra ex membri dell’esercito di Haiti e reclute più giovani che hanno appoggiato i veterani. Il governo, comunque, anche con l’aiuto di 9000 caschi blu, è riuscito a tenere la situazione sotto controllo. Al luglio 2014, Minustah è scesa a 7408 effettivi, di cui 4973 militari e 2453 poliziotti circa.
Sul piano internazionale, problemi di sicurezza non ancora risolti riguardano l’emigrazione clandestina e la lotta al traffico della cocaina: i controlli della polizia non sono sufficienti a frenare i flussi irregolari verso l’estero, e neppure a contrastare il narcotraffico che, nel tragitto tra America settentrionale e meridionale, trova in Haiti un’importante base di appoggio.