Hamad bin Khalifa. L’emiro alla conquista del mondo
Il sovrano del minuscolo e ricchissimo Qatar, sponsor di al-Jazeera, scala rapidamente le vette dell’economia mondiale dal calcio alla moda. E appoggia i movimenti rivoluzionari della primavera araba.
Oggi che il brand Qatar imperversa dal calcio alla moda fino alla diplomazia internazionale sembrano lontanissimi quegli anni Ottanta in cuiil piccolo emirato mediorientale era appena una lingua di sabbia caratterizzata dalla pesca delle perle.
Poi, nel giro di pochi mesi, i cuginetti dei sauditi scoprirono il petrolio, il gas naturale (di cui possiedono la terza riserva mondiale dopo Russia e Iran), ma soprattutto la possibilità di farsi largo sul palcoscenico geopolitico indipendentemente dalla propria grandezza e la ‘storia’ cambiò. Il nuovo corso del Qatar porta la firma dell’emiro Hamad bin Khalifa, classe 1952, ex allievo della Royal Military Academy di Sandhurst, salito al trono nel 1995 grazie a un golpe incruento contro il padre. Nel 1996, consapevole di poter contrastare l’invadenza dei vicini solo aggiungendo soft power all’hard power garantito da ricchezza e posizione geografica, lo sceicco sponsorizzacon 150 milioni di dollari la nascita di al-Jazeera, la primatv satellitare araba che con la copertura degli attentati dell’11 settembre 2001 s’impone nel panorama dei grandi network globali. È la svolta strategica che l’allora presidente egiziano Mubarak interpreta erroneamente come tattica quando, al termine di una visita a Doha, commenta: «Tanto rumore per questa scatoletta di fiammiferi?».
In realtà, se la ridotta dimensione della penisola stretta tra l’Arabia Saudita e il Golfo Persico ha un peso, è solo per simboleggiarne l’ormai inversamente proporzionale importanza. Raccontano che la reazione dell’emiro alla sensibilità nazionale per la primavera araba (tra i record del Qatar manca decisamente quello democratico e la famiglia regnante ha sostenuto tutte le rivoluzioni tranne quella indirettamente antisaudita in Bahrein) sia stata la promessa di elezioni parlamentari nel 2013, ma soprattutto l’aumento del 65% sugli stipendi. Un’argomentazione convincente, per ora. Hamad bin Khalifa ha un piano: si chiama Qatar National Vision 2030. È stato reso pubblico nel 2008 e rappresenta una sorta di road map per condurre il paese nel futuro nel giro di due decenni.
In cima alla lista delle tappe c’è l’economia, una fissazione dell’emiro che possiede tra l’altro il nuovo grattacielo The Shard di Renzo Piano, a Londra, e una rosa di squadre di calcio che va dal Paris Saint-Germain al Malaga (il Manchester United gli è finora sfuggito).
La sua acquisizione della maison Valentino è solo la punta dell’iceberg dell’interesse per l’Italia dimostrato, tra gli altri, nel sito Fincantieri di Ancona e nella tv La7. Negli ambienti dell’alta finanza si mormora che quando lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, cugino dell’emiro nonché premier, ministro degli Esteri e responsabile del QIA (Qatar Investment Authority), decide di comprare qualcosa non esistano limiti. Ex ministro dell’Agricoltura, buon amico degli Stati Uniti, membro della think tank Brookings Institution, il premier fa parte della troika alla guida del Qatar insieme all’emiro e al principe Tamim, capo dell’esercito. Nel molteplice ruolo di ambasciatore diplomatico, economico e politico, Al Thani rappresenta la sintesi delle ambizioni internazionali del Qatar che si mantiene in equilibrio tra Occidente e Oriente, conciliando la presenza di una grossa base aerea americana appena fuori Doha alla dottrina wahabita, la branca ultraconservatrice dell’islam sunnita diffusa anche in Arabia Saudita. Da quando ha capito che il potere mediatico è il più efficace antidoto alla inevitabile seppur non imminente fine del petrolio, l’emiro non distingue troppo tra il diavolo e l’acqua santa. Mentre la Qatar University ipotizza di sostituire l’insegnamento in inglese con quello in arabo e il controverso telepredicatore al Qaradawi inveisce contro l’Occidente dalle frequenze di al-Jazeera, la figlia dello sceicco, Mayassa Al Thani, fa incetta di opere d’arte contemporanea per il Museum of Islamic Art di Doha (che ha ospitato la prima mostra mediorientale di Takashi Murakami) e per il nuovo National Museum disegnato dall’architetto francese Jean Nouvel (aprirà nel 2016). Negli ultimi sette anni ha curato l’acquisto di capolavori occidentali per un miliardo di dollari.
E pazienza se saranno esposti nella stessa Doha in cui hanno sede gli uffici dei talebani e di Hamas.
Il Qatar di Hamad bin Khalifa ha quasi diciotto anni, l’età adulta. Oltre ad aver mandato alle Olimpiadi di Londra le sue prime tre atlete donne, l’emirato ‘grande come l’Abruzzo’ recita ormai da protagonista sulla scena regionale dove fino a poco tempo fa adottava la filosofia turca dello «zero problems» con i vicini: dopo aver finanziato i Fratelli Musulmani tunisini ed essersi schierato in prima linea nella missione NATO contro la Libia di Gheddafi, sostiene ora a spada tratta i ribelli siriani (a cui si dice abbia mandato 100 milioni di dollari).
Se nel nuovo ordine del mondo multipolare c’è un po’ di spazio per i più piccoli, il Qatar è deciso a occuparlo.