HAMERANI (Haimeran, Hameran)
Famiglia di orefici e incisori di monete e medaglie, originari della Baviera, attivi a Roma dal XVII al XIX secolo.
Il cognome Haimeran o Hameran derivò loro dal secondo nome del capostipite del ramo italiano della famiglia, forma popolare del nome di Emmerano (Emmeram, Haimrham), il santo che nel VII secolo predicò il cristianesimo in Bassa Baviera (Noack, p. 23).
Il capostipite, Johann Hameran nacque nella masseria di Hermannskircher (donde il cognome) presso Vilsbiburg, in Bassa Baviera, intorno al 1590 da Andreas, procuratore giudiziario, che il 24 giugno 1604 lo mandò a bottega presso l'orafo Gerhard Lindenburger di Monaco; dopo sei anni di apprendistato venne congedato dal suo maestro con la qualifica "Gesell" (Noack, pp. 23 s.).
Nel 1610 dovette abbandonare definitivamente Monaco e il suo paese per un fatto di sangue: coinvolto in una rissa, uccise il suo rivale dopo che questi gli aveva inferto una brutta ferita alla testa, la cui cicatrice egli mascherò per tutta la vita con una berretta (De Bildt, p. 148). Dopo un soggiorno a Venezia nello stesso anno, raggiunse con ogni probabilità Roma: nel 1616 un certo "Giovanni da Monaco" fu registrato presso l'università degli orefici in qualità di lavorante nella bottega di un orafo romano; il datore di lavoro potrebbe forse identificarsi con il sigillaro Camillo Corradini, la cui figlia Margherita, Johann prese in moglie il 15 giugno 1619 (Noack, p. 24; Bertolotti, pp. 215 s.). Nel 1620 abitava in via del Pellegrino; insieme con lui, indicato nelle carte parrocchiali come orefice tedesco, risiedevano la moglie, il neonato Alberto, Francesco Castiglione orefice, suo socio in affari, e due garzoni di bottega (Bulgari, p. 9).
Dal 4 maggio 1621 al 9 ag. 1622 il sacro palazzo apostolico emise una serie di pagamenti in suo favore per un totale di 257 scudi, per la guarnizione in oro di un vaso di cristallo realizzato per il pontefice (ibid.). Rimasto vedovo, nel 1635 si sposò con Margherita Agucchi e da lei ebbe due figlie, Anna Maria e Teresa (Venuti, p. XXXI).
L'H. morì a Livorno il 17 ag. 1644 (Bulgari, p. 9).
Alberto, figlio di Johann e di Margherita Corradini, nacque a Roma il 10 ott. 1620. Sposò intorno al 1640 Marta Agucchi, sorella della sua matrigna, dalla quale ebbe almeno due figli, Anna Cecilia e Giovanni Martino (Thieme - Becker, p. 547). Negli anni Sessanta prestò servizio temporaneo presso la Zecca di Massa in compagnia del figlio ancora giovanissimo (Campori, p. 276). Nel 1662 l'università degli orefici gli concesse la licenza per l'apertura di una bottega al segno della Lupa in via dei Coronari (Bulgari, p. 7).
L'8 apr. 1666 Alberto ricevette un pagamento di 24 scudi per quattro sigilli forniti al segretariato del Tesoro e ancora 6 scudi gli furono elargiti il 28 luglio 1667 per altri sigilli realizzati per conto della Consulta (Noack, p. 26). Queste prove gli valsero evidentemente la nomina a incisore di sigilli pontifici nello stesso 1667 e nuovi incarichi per conto del Governatorato. Non smise mai di sentirsi tedesco e per questo assunse la carica di camerlengo nell'Arciconfraternita del Camposanto teutonico, ufficio che gli diede poi il diritto di ricevere sepoltura in una tomba di famiglia nella chiesa della stessa Arciconfraternita nei pressi di S. Pietro (ibid., pp. 26 s.). Morì a Roma il 21 giugno 1677.
Alberto è il primo degli H. per il quale sia riscontrabile un certo numero di coni, monete e medaglie realizzati per la Zecca pontificia e custoditi in massima parte presso il Museo della Zecca di Stato di Roma e il Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana. Nel 1657 incise insieme con Gaspare Morone la Medaglia dei ss. Pietro e Paolo per celebrare l'arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia (Parigi, Bibliothèque nationale: De Bildt, tav. V). A due anni di distanza la stessa Cristina gli commissionò un'altra medaglia, anch'essa a Parigi e nota come Makelos dall'iscrizione che la caratterizza (ibid., tav. VI).
Anna Cecilia, figlia di Alberto e di Marta Agucchi, nacque a Roma intorno al 1642 (Noack, p. 27). La prima notizia documentaria che la riguarda risale al 1670, anno in cui il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, le versò, a mezzo di Arcangelo Spagna, 12 scudi per l'incisione di un cristallo (Bulgari, p. 7). Abitò col padre almeno fino al 1670, ma più probabilmente fino al 1673, quando andò in sposa all'orologiaio Bartolomeo Fenice (Noack, p. 27; Bulgari, p. 7). Per l'occasione, in data 31 ag. 1673, l'università degli orefici le offrì una dote di 25 scudi (Noack, p. 27). Morì a Roma all'età di trentasette anni e quindi presumibilmente nel 1679.
Anna Cecilia si dedicò essenzialmente all'incisione di cristalli; e a lei si attribuiscono quelli con scene tratte dal Nuovo Testamento inseriti sui quattro candelieri in argento dorato a base triangolare del Tesoro di S. Pietro, opera di Carlo Spagna. I candelieri furono donati dal cardinale Francesco Barberini al papa (Moroni, IX, p. 71). Altri pagamenti del cardinale Francesco Barberini per l'incisione di cristalli destinati ai medesimi candelieri sono intestati fra 1670 e 1674 a una Caterina, che, se non è da identificare con Anna Cecilia, può ben essere stata una sua sorella. L'ipotesi più probabile è che all'intaglio dei cristalli avessero collaborato due sorelle, delle quali una meno conosciuta dell'altra: a Caterina si riferiscono comunque altri pagamenti per non meglio identificati cristalli con Storie di s. Ferdinando (Bulgari, pp. 7 s.; Bulgari Calissoni, p. 248).
Giovanni Martino, fratello di Anna Cecilia, nacque a Roma il 10 febbr. 1646 (Bulgari, p. 10). L'11 dic. 1657 fu accolto nell'Arciconfraternita del Camposanto teutonico cui apparteneva suo padre (Noack, p. 28). All'inizio del settimo decennio lavorò al fianco di Alberto presso la Zecca di Massa (Campori, p. 276). A introdurlo presso la Zecca pontificia fu certamente il padre; ma già nel 1668 egli lavorava autonomamente incassando, il 13 marzo, 25 scudi per l'incisione di alcuni sigilli destinati al segretariato del Tesoro e, il 18 aprile, 14 scudi e 50 baiocchi per altri sigilli realizzati per il Governatorato (Noack, p. 28). Nel 1674 entrò a far parte della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, in seno alla quale ricoprì la carica di consigliere del reggente dal 1685 al 1693. Diede prova della propria abilità e devozione coniando spontaneamente alcune medaglie, tanto che il 2 nov. 1676 Innocenzo XI motu proprio gli conferì la patente di incisore camerale essendo "più di ogni altro perito ad incidere" (Medaglie papali…, p. 17). Nello stesso anno fu anche nominato incisore di sigilli della Zecca pontificia con uno stipendio mensile di 10 scudi (Noack, p. 29). Per i primi anni di attività presso la Zecca, Giovanni Martino lavorò al fianco dell'orefice Cristoforo Melchiorri (o Marchionni), suo socio in affari e padre di Brigida che l'artista aveva sposato nel 1676 (Bartolotti, 1967, pp. 420 s.). Il 18 marzo 1681 la congregazione degli orefici, avendo preso visione di alcune monete, medaglie e coni da lui incisi, decise di spedirgli l'abilitazione all'esercizio dell'arte, cui fecero seguito la patente di "medagliaro" e "sigillaro" (19 maggio) e la licenza per la bottega, rogata presso l'officina di suo suocero (Bulgari, p. 10). Su proposta diretta del principe dell'Accademia Giacinto Brandi, l'8 ott. 1684 fu nominato membro dell'Accademia di S. Luca (Noack, p. 28), nella quale ricoprì la carica di console nel 1689 e quella di camerlengo negli anni 1691 e 1695 (Bulgari, p. 10). Fu anche camerlengo del Camposanto teutonico dal 1688 al 1691 e console e camerlengo dell'università degli orefici dal 1689 al 1696 (Noack, p. 30).
Giovanni Martino fu anche abilissimo uomo d'affari: comprò infatti un grosso numero di coni incisi da diversi maestri, dando così avvio alla collezione di famiglia e a un'assidua frequentazione della bottega degli H. da parte di collezionisti e amatori già dalla fine del XVII secolo. Ma il suo obiettivo era innanzitutto quello di riutilizzare quei pezzi, accoppiando magari dritti e rovesci di medaglie diverse per ottenere "nuovi" originali.
Il suo nome era ormai conosciuto in tutta Europa tanto che lo stesso Isacco Newton, allora soprintendente della Zecca di Londra, gli chiese un prototipo per la nuova sterlina. Nel 1701 fu colpito da un ictus che lo costrinse a valersi dell'aiuto della figlia Beatrice per l'incisione della medaglia pontificia annuale (Medaglie papali…, pp. 17-19).
Morì a Roma il 28 giugno 1705 e fu sepolto il giorno seguente nella tomba di famiglia nella chiesa dell'Arciconfraternita del Camposanto teutonico (Noack, p. 30).
Al momento della sua scomparsa, la famiglia risiedeva in via dei Coronari ed era composta dalla vedova Brigida Melchiorri, dai figli Plautilla, Ermenegildo, Colomanno, Settimia, Ottone e Floradecia. Perfino gli accademici di S. Luca vollero onorarne la memoria; e il 1° dic. 1720 il suo ritratto fu appeso nella sala delle cerimonie (Noack, p. 30). Giovanni Martino, considerato da molti studiosi il protagonista assoluto nell'arte dell'incisione di medaglie a Roma nell'ultimo quarto del Seicento, incise numerosissimi coni tra monete e medaglie: praticamente la maggior parte di quelli prodotti in Zecca nel periodo in cui egli vi lavorò. Non si possono non citare le medaglie Nec falso nec alieno del 1675 e Né mi bisogna né mi basta del 1680 (Parigi, Bibliothèque nationale: De Bildt, tavv. VIII, X), oltre a Victoria maxima sempre del 1680 (Firenze, Museo nazionale del Bargello: Toderi - Vannel, 1990, p. 61, fig. 37 R), tutte realizzate per Cristina di Svezia e facenti parte di una serie di quattro la cui esecuzione completa fu poi affidata all'incisore Massimiliano Soldani. Per Clemente X realizzò la splendida medaglia giubilare del 1674 con il busto del papa di profilo al dritto e una veduta di S. Pietro con uno scorcio sui palazzi Vaticani al rovescio (Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana; Alteri - D'Arienzo, p. 112, fig. 18); si noti la lupa che allatta i gemelli (sul rovescio in basso), simbolo di Roma, ma soprattutto dell'officina al segno della Lupa di via dei Coronari. Dal 1675 incise quasi tutte le medaglie pontificie coniate nei successivi pontificati, da Innocenzo XI fino a Clemente XI (Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana: Bartolotti, 1967, nn. 677-704, pp. 84-115). Lavorò anche per celebri committenti privati: per don Livio Odescalchi, nipote di Innocenzo XI, incise quattro diversi coni tra i quali si menziona quello per la grande medaglia realizzata in occasione della nomina di Livio a generale di Santa Romana Chiesa nel 1689 (Modena, Galleria Estense: Noe, 1989, p. 85, fig. 80). È ancora opera di Giovanni Martino la medaglia incisa nel 1675 per rendere omaggio al principe Henri de La Tour d'Auvergne, visconte di Turenne e maresciallo di Francia, morto durante la guerra d'Olanda (Firenze, Museo nazionale del Bargello: Toderi - Vannel, 1990, p. 60, fig. 35).
Beatrice, figlia di Giovanni Martino e di Brigida Melchiorri, nacque a Roma il 14 sett. 1677 (Bulgari, p. 7). Fu abilissima nell'incisione di coni per medaglie, sebbene di sua mano si conservino pochissimi lavori approntati, come di consueto, per la Zecca pontificia. Il 20 maggio 1703 andò in sposa a Michele Bonticelli dei Corvi. Morì a Roma il 25 febbr. 1704 e fu sepolta nella tomba di famiglia nella chiesa dell'Arciconfraternita del Camposanto teutonico (Noack, p. 31).
Di Beatrice si ricorda la medaglia, un vero e proprio capolavoro di intaglio, coniata per celebrare le opere di beneficenza di Innocenzo XII nell'anno 1694 (Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana: Medaglie papali…, fig. 58).
Ermenegildo, fratello di Beatrice, nacque a Roma il 25 sett. 1683 (Bulgari, p. 8). Come i suoi avi, il 16 ott. 1695 fu accolto nell'Arciconfraternita del Camposanto teutonico. Il 29 dic. 1702 gli fu conferita la patente di orefice. Nell'agosto del 1704 fu nominato incisore della Zecca; e il 28 marzo 1706, morto ormai suo padre, i colleghi di S. Eligio gli concessero il rinnovo del permesso di esercizio della bottega al segno della Lupa. Nello stesso anno ottenne la nomina a medaglista pontificio. Il 9 ag. 1711 fu ammesso nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon di cui fu membro per ventidue anni, assumendone nel 1734 la carica di reggente. Fu nominato accademico di S. Luca il 10 nov. 1719 e in seno alla Confraternita ricoprì l'ufficio di camerlengo nel 1724, dal 1732 al 1735 e dal 1738 al 1742. Per i colleghi dell'università degli orefici fu console nel 1715 e 1716 e insieme console e camerlengo dal 1723 al 1725 (Noack, pp. 31 s.). Verso la fine del 1729 lavorò presso la Zecca di Palermo, ottenendo 200 ducati di rimborso per le spese di viaggio e 100 ducati di stipendio mensile (ibid., p. 33; Medaglie papali…, p. 19). Il 24 marzo 1734 Ermenegildo e suo fratello Ottone ottennero da papa Clemente XII l'autorizzazione per l'apertura di un'officina monetaria provvisoria nella bottega al segno della Lupa in via dei Coronari. Avendo stipulato un accordo con il presidente della Zecca, monsignor L. Casoni, gli H. provvidero a una serie di lavori di adattamento della bottega così da potervi coniare monete per conto della Reverenda Camera apostolica (Martinori, XVIII-XIX, pp. 167-169). Nel 1747 quest'ultima intentò un processo contro i due fratelli per cattiva gestione dell'officina; e gli H. furono costretti a cederne provvisoriamente la direzione (Id., XX-XXI, p. 44). Nonostante la spiacevole vicenda, Ermenegildo e Ottone riuscirono a mantenere le proprie cariche presso la Zecca pontificia; ma l'officina provvisoria cessò di funzionare intorno al 1748 (Noack, p. 33).
Ermenegildo seppe guadagnarsi la stima e l'ammirazione di personaggi come Alessandro Albani, Giacomo III di Inghilterra, Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III di Savoia, per i quali incise medaglie e sigilli (ibid.). In questo periodo il patrimonio di famiglia prosperò a tal punto che accanto alla collezione di coni, monete e medaglie già iniziata da Giovanni Martino, gli H. erano divenuti proprietari di opere d'arte quali calchi in gesso da originali antichi, la raccolta completa delle stampe di Marcantonio Raimondi da Raffaello e molti dipinti a olio, fra i quali una tela rappresentante Lamorte di Marcantonio di Marco Benefial (ibid., p. 35).
Ermenegildo morì a Roma il 29 nov. 1756 in una casa nella parrocchia di S. Maria della Pace; il giorno seguente fu sepolto nella chiesa di S. Salvatore in Lauro e all'apertura del testamento il fratello Ottone risultò erede di tutti i suoi beni (Bulgari, p. 8).
Ermenegildo incise le medaglie pontificie annuali dal 1705 fino al 1729, quando lasciò Roma alla volta della Sicilia (Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana: Bartolotti, 1967, figg. 705-729). Dal 1731 divise la carica di medagliere pontificio con il fratello Ottone e insieme con lui firmò le successive emissioni fino al 1742 (ibid., figg. 731-742). Nel 1720 incise una medaglia per il patrizio veneziano Nicola Duodo (Venezia, Civico Museo Correr).
Ottone nacque a Roma il 5 nov. 1694 (Bulgari, p. 10). Compì l'apprendistato presso la bottega del pittore Benedetto Luti (Noack, p. 35; Bulgari, p. 10); ma già nel 1717 si volse all'incisione di medaglie. Il 30 maggio 1720 sposò Teresa Velli; da questo matrimonio nacque Ferdinando. Dal 1730 assunse la carica di medagliere pontificio e dall'anno successivo la condivise con Ermenegildo, per poi assumerne completamente le incombenze nel 1743, quando il fratello rinunciò agli incarichi presso la Zecca per gestire l'officina provvisoria nella bottega di famiglia (Medaglie papali…, p. 19). Ottone morì a Roma il 21 maggio 1761 e fu sepolto il giorno seguente nella chiesa di S. Maria in Trastevere (Bulgari, p. 11).
Ottone incise e firmò autonomamente le medaglie pontificie dal 1743 fino al 1761 (Medagliere della Biblioteca apostolica Vaticana: Bartolotti, 1967, figg. 743-761); della bottega degli H., e non di Ottone ormai defunto, devono considerarsi le medaglie annuali per il quarto e per il quinto anno del pontificato di Clemente XIII (ibid., figg. 762-763). Lavorò anche per celebri committenti privati: nel 1716 su commissione dell'imperatore Carlo VI incise la medaglia commemorativa delle vittorie di Timişoara (Temesvár) e Belgrado contro i Turchi (Londra, British Museum: Montagu, 1996, fig. 124); per Giacomo III d'Inghilterra realizzò la medaglia di matrimonio con la principessa Clementina (Ibid.: Forrer, 1904, p. 408). Recentemente si è supposto che Ottone, oltre ad aver eseguito alcuni dei disegni del famoso codice manoscritto Vat. lat. 15232, sia anche l'autore di un altro gruppo di disegni conservati in collezioni private, da cui poi sarebbero state tratte alcune delle medaglie pontificie (Montagu, 1996).
Ferdinando nacque a Roma il 30 maggio 1730 da Ottone e da Teresa Velli. Il 5 febbr. 1758 prese in moglie Antonia Fuga, figlia del celebre architetto (Bulgari, p. 9). Pur non essendosi mai dedicato all'incisione di monete o medaglie, l'8 apr. 1761 Clemente XIII lo nominò, per il cognome che portava, incisore della Zecca. Per l'esecuzione delle commissioni pontificie si servì molto spesso dell'aiuto dell'orefice Filippo Cropanese, preferendo, Ferdinando, dedicarsi al commercio di medaglie tratte dai coni della collezione di famiglia (Noack, pp. 36 s.).
Nel dicembre 1763 J.J. Winckelmann fu incaricato dal papa di esaminare la cospicua collezione degli H. gestita da Ferdinando per farne una stima: l'intenzione del pontefice era quella di acquisire tutti i pezzi per depositarli presso la Zecca, sancendone definitivamente la proprietà pontificia; l'affare però non andò in porto (ibid., p. 37).
Ferdinando morì a Roma il 24 nov. 1789 in una casa situata nel vicolo di S. Anna e il giorno seguente fu sepolto nella chiesa omonima (Bulgari, p. 9).
Gioacchino nacque a Roma il 4 giugno 1761 da Ferdinando e Antonia Fuga (Bulgari, p. 9). Nel 1785 fu nominato unico incisore dei sigilli del Dazio insieme con il padre, al quale subentrò come incisore della Zecca pontificia nel 1789. Nel maggio del 1796, di comune accordo con il fratello Giovanni, si impegnò a cedere l'intera collezione di famiglia già valutata da Winckelmann alla Reverenda Camera apostolica per la cifra di 7000 scudi.
La raccolta contava 748 coni di medaglie pontificie, da Martino V a Pio VII, ivi compresi numerosi lavori degli stessi H.; essi costituiscono ancor oggi il più antico nucleo della collezione del Museo della Zecca di Stato di Roma (Balbi De Caro, 1984, pp. 12 s.).
Morì a Roma il 12 ott. 1797 in una casa in via dei Salesiani (Noack, p. 38).
Giovanni, fratello di Gioacchino, nacque a Roma il 30 luglio 1763 (Bulgari, p. 10). Fu probabilmente l'influenza del celebre nonno architetto, suo padrino di battesimo, a fargli prediligere l'arte edificatoria all'incisione dei metalli e ad appena ventun'anni vinse il primo premio dell'Accademia di belle arti di Parma per il progetto di una biblioteca in stile dorico. Dopo la morte del fratello tornò a curare gli affari di famiglia e si dedicò all'arte della medaglia, ricevendo la nomina di incisore della Zecca pontificia il 15 maggio 1801 (Noack, p. 38).
Da una lettera di Wilhelm von Humboldt a J.W. Goethe, datata 23 ag. 1804, si apprende come anche Giovanni si dedicasse alla coniazione e al commercio di antiche medaglie pontificie; tale attività dovette rendergli bene se riuscì ad acquistare una casa a Genzano, ceduta all'amministrazione comunale nel 1843 e oggi sede del Municipio (ibid., p. 39).
Morì a Roma il 13 nov. 1846 nella casa al n. 52 del vicolo di S. Anna; e con lui si estinse il ramo maschile della dinastia degli H. (Bulgari, p. 10).
Nello stesso anno la figlia Maria Veronica, nata dal matrimonio con Vittoria Cecchi, fece apporre una lapide commemorativa nella chiesa di S. Carlo dei Catinari, tra la seconda e la terza cappella a destra (Noack, p. 39).
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