Hanan al-Hroub
Il Nobel dei professori è a Betlemme
Intrecciare studio e gioco: questo il motto della maestra palestinese che nel campo profughi, dove è nata e vissuta, insegna che le uniche vere armi sono la cultura e il sapere.
La professoressa migliore del mondo insegna dove non te lo aspetti. Lontano dalle costose università tecnologiche americane o dagli atenei di lunga tradizione storica in Europa. Le sue aule sono in un campo profughi vicino a Betlemme, in Cisgiordania, là dove nel 1948 sotto tende improvvisate vennero ospitati migliaia di palestinesi in fuga durante la guerra arabo israeliana.
Hanan al-Hroub, 45 anni e 5 figli, qui è nata e qui lavora come maestra dei bambini che frequentano le elementari.
È lei la vincitrice 2016 del Global teacher prize award della Varkey Foundation, il premio Nobel per i professori – un milione di dollari destinati a progetti scolastici – assegnato a Dubai al termine di una sfida lunga un anno tra migliaia di candidati dei 5 continenti. Ad annunciare la sua vittoria in videoconferenza è stato papa Francesco. Nel 2014 era andato proprio in quel campo profughi e così ha ricordato il metodo di insegnamento di questa piccola grande donna capace di intrecciare studio e gioco con l’obiettivo di «creare una generazione di giovani che un domani sappia vivere in pace». Al di là delle frontiere e delle guerre.
Un lavoro difficile in quel chilometro quadrato dove in case di muratura ora abitano 10.000 persone. Dove nel 1980 quello che molto tempo dopo è diventato suo marito era stato condannato a 10 anni di prigione, accusato di aver aiutato a fabbricare una bomba che uccise 6 israeliani.
Dopo la scarcerazione, negli anni ha ricevuto 2 premi per la pace, serve nel governo palestinese e si è dichiarato favorevole a una convivenza pacifica, all’esistenza di 2 Stati: uno palestinese e uno israeliano.
In questa parte di mondo dalla realtà politica complessa, è difficile per Hanan vincere la quotidiana scommessa di infondere «valori come collaborazione, tolleranza, fiducia a bambini che respirano violenza e tensione». Un clima che lei conosce bene. Le aggressioni e il sangue hanno segnato la sua infanzia, condizionato la sua vita e le sue scelte, portandola ad abbandonare l’università e i corsi di letteratura inglese per occuparsi dei più piccoli.
Tutto è cambiato il giorno in cui, durante la seconda Intifada, suo marito è stato ferito dai soldati israeliani mentre riportava a casa i figli da scuola. È sopravvissuto, ma i ragazzi sono rimasti traumatizzati: non riuscivano a concentrarsi, si rifiutavano di uscire, di tornare in classe.
«Si sentivano persi, abbandonati dalla comunità, eravamo soli, senza alcun aiuto psicologico. Se lasci solo un bambino che ha subito un trauma lo hai perso per sempre». Hanan quel giorno ha deciso di trasformarsi nella loro maestra. Settimana dopo settimana ha messo a punto un sistema che ora applica nelle scuole del campo. Un programma che mettendo alla base il gioco costruisce fiducia, collaborazione e rispetto tra gli alunni.
«È difficile per chi cresce nella violenza e si sente vittima di ingiustizia concentrarsi, imparare matematica o geografia mentre fuori dalla scuola il mondo è fatto di check point, ferimenti. Quei ragazzi diventano facilmente aggressivi perché sono tristi, frustrati dalla realtà. Così quando arrivano in classe cerco di essere allo stesso tempo una docente e una sorta di genitore. Attraverso il gioco li educo ad ascoltare gli altri, a comprendere le opinioni diverse e a rispettarle, ad accettare la sconfitta senza che si trasformi in rabbia. E i risultati di un clima più sereno si sono visti: meno tensione, voti più alti».
La professoressa migliore del mondo non ha dubbi. «I nostri bambini devono imparare che le uniche armi a nostra disposizione sono la cultura e il sapere, con quelle cambieremo il futuro. L’istruzione aiuterà noi palestinesi a riprenderci la nostra terra, che ci hanno tolto perché eravamo ignoranti». Lei guardando i piccoli alunni non dimentica la sua infanzia: «Io non l’ho avuta, vorrei invece che tutti i bambini del mondo potessero ridere, giocare, imparare a convivere». I soldi del premio ha promesso di usarli per tutti i rifugiati: «Perché questa è la vera emergenza. Se ne devono occupare ministri e Stati: devono educare i giovani, aiutarli a integrarsi nei nuovi paesi. Per non perdere una generazione in fuga dalle guerre e condannata a vivere anni bloccata nei campi profughi».
Anche l’Italia ha il suo premio
Si sono ufficialmente aperte venerdì 1° luglio 2016 le candidature alla 1ª edizione italiana del Premio nazionale insegnanti, gemellato con il Global teacher prize.
Obiettivo del premio italiano è quello di valorizzare il ruo - lo degli insegnanti nella società, portando all’attenzione di tutti le esperienze di quei docenti che sono riusciti a ispirare in modo particolare i propri studenti, favorendone la crescita come cittadini attivi, e che hanno prodotto un cambiamento rilevante nella comunità scolastica di appartenenza. Alla presentazione, avvenuta in un liceo romano, Sunny Varkey, ideatore del Global teacher prize, ha detto che «il premio aiuterà a rilanciare la centralità dei docenti».