handicap
Impedimento, disagio fisico o mentale
Nato nel mondo del gioco e dello sport, il termine handicap si riferisce alla condizione di svantaggio o di inferiorità nei confronti dei propri simili di una persona con problemi fisici o mentali. L'handicap può essere permanente e irreversibile oppure momentaneo. Oggi si preferisce parlare di disabilità, per sottolineare il diritto alla qualità della vita e alla piena integrazione nella società
La parola è di origine inglese: hand-in-cap (che letteralmente significa "mano nel berretto") era il nome di un gioco d'azzardo diffuso nel Seicento. Il gioco si basava sul baratto o scambio, tra due giocatori, di due oggetti di diverso valore; il giocatore che offriva l'oggetto che valeva meno doveva aggiungere a questo la somma di denaro necessaria per arrivare al valore dell'altro oggetto, così che lo scambio potesse avvenire alla pari. Da allora, il termine handicap è passato nel linguaggio sportivo internazionale: indica lo svantaggio che viene attribuito in una gara al concorrente che ha maggiori possibilità di successo, per dare a tutti quelli che gareggiano la stessa probabilità di vincere. Così, il risultato della gara non è già scontato in partenza.
Dal significato originale legato al gioco e allo sport la parola handicap è stata poi utilizzata alla fine dell'Ottocento per indicare in generale il modo di equilibrare una situazione compensando le diversità; quindi è diventata sinonimo di 'impedimento imposto' e infine semplicemente di 'impedimento'. Solo agli inizi del Novecento questa parola è stata adoperata in riferimento ai disabili e applicata ai bambini che avevano una menomazione fisica. In seguito, il significato del termine handicappato è stato esteso a indicare anche le persone adulte con problemi e quelle con disturbi mentali.
Attualmente al termine handicap si preferisce la parola disabilità, che mette in evidenza come lo svantaggio non sia una caratteristica della persona, ma un problema che nasce dal rapporto tra lo stato di salute di quel determinato individuo e l'ambiente in cui vive.
La persona in situazione di handicap viene detta disabile; chi non presenta problemi è considerato 'normale' e definito normodotato.
Di solito pensiamo all'handicap come a una menomazione fisica o mentale permanente e irreversibile, che rende una persona più o meno incapace di condurre una vita normale. Ma ci sono anche forme di handicap date, per esempio, dal fatto di aver cambiato cultura o paese, di essere anziano e quindi avere impedimenti dovuti all'età, di avere momentaneamente una gamba ingessata. Per comunicare con un amico che si trova in un'altra città, un ragazzo normodotato può telefonare mentre un ragazzo con problemi uditivi può scrivere una lettera. Se l'uno non ha un telefono e l'altro non ha una penna, entrambi sono 'disabili' nel senso che sono limitati nella possibilità di comunicare. Quello che differenzia i due ragazzi è che quello normodotato può scegliere se comunicare per telefono o per posta, mentre il ragazzo con problemi uditivi deve necessariamente scrivere.
Per essere in salute, cioè vivere la propria vita nelle sue piene potenzialità, si richiede in genere uno stato di benessere fisico e morale basato sul buon funzionamento del corpo umano; per la nostra società, inoltre, è importante essere indipendenti dal punto di vista materiale, fisico ed economico. I portatori di handicap per vivere nel proprio ambiente al pari di tutti gli altri hanno bisogno di aiuto.
L'handicap può essere determinato nella persona da un difetto nella struttura fisica (l'occhio, il sistema nervoso), da una limitazione nelle funzioni fisiche (udire, camminare) o da una diminuzione della capacità di compiere un'attività o di partecipare a tale attività (comunicare, giocare). Dal punto di vista materiale, il problema all'origine dell'handicap può essere affrontato con strumenti diversi ‒ quali sedie a rotelle, apparecchi ortopedici, supporti tecnologici ‒ oppure con l'aiuto di persone competenti. Per esempio, ogni computer può disporre di strumenti di accesso specifici per persone con difficoltà motorie, visive e uditive. Ma questo non basta: la persona disabile deve superare il senso di inferiorità, la paura di essere rifiutata, la paura della solitudine. Ha quindi bisogno di trovare la stima di sé, il sostegno della famiglia, il proprio ruolo nella scuola e nel lavoro.
È la società a ricordare costantemente al disabile che è diverso dagli altri. La persona disabile sente in modo più forte la sua diversità quando si trova di fronte ostacoli materiali ‒ come i gradini per chi è su una sedia a rotelle (barriere architettoniche), un libro per chi non vede, il telefono per chi è privo di udito ‒ oppure quando è oggetto della curiosità di chi lo circonda. In altre parole, la persona si sente disabile soprattutto quando gli altri la fanno sentire tale.
Come può essere affrontato il problema dell'emarginazione sociale della persona disabile? Attualmente, nei paesi dell'Unione europea, si cerca di garantire a ogni persona la piena partecipazione a tutti gli aspetti della vita sociale e professionale e quindi di integrare la persona disabile in ogni tipo di attività. Il disabile ha tuttavia bisogni speciali a cui è necessario rispondere con speciali strategie da adattare caso per caso. Integrare la persona disabile nella società non significa semplicemente inserirla nelle strutture e nelle attività: questo continua a farla sentire diversa dagli altri. Integrare il disabile significa fargli condividere le esperienze comuni e metterlo in condizione di vivere con gli altri, sia pure con modalità proprie.
A scuola il bambino entra in contatto con insegnanti e coetanei, con regole e rapporti diversi da quelli che già conosce, con nuove possibilità di sviluppo. Ogni bambino è unico e diverso da tutti gli altri: ha il proprio modo di esprimersi, di comunicare, di conoscere.
Quando si tratta di un bambino disabile, però, la sua diversità può essere un ostacolo che non gli permette di raggiungere il livello di apprendimento dei compagni. Non sempre gli insegnanti sanno come comportarsi con lui e anche la sua famiglia si sente spesso impreparata: possono quindi crearsi difficoltà e incomprensione. Come portare i bambini disabili a essere cittadini pienamente integrati nella società? In alcuni paesi esistono per loro scuole speciali, più o meno separate dalle scuole comuni; in altri i disabili sono inseriti nelle classi normali.
L'Italia ha abolito nel 1977 le scuole speciali per integrare nelle scuole comuni i bambini disabili, con l'intervento dell'insegnante di sostegno. La legge quadro sull'handicap del 1992 ha sostenuto lo sviluppo delle potenzialità della persona disabile nell'apprendimento e nella socializzazione; all'educazione del bambino disabile collaborano la famiglia, la scuola, il comune, gli operatori sanitari (medici, fisioterapisti, logopedisti). Fondamentale è la presenza dell'insegnante di sostegno: è un insegnante specializzato, che viene assegnato alla classe in cui è inserito il bambino disabile per aiutarlo e favorire il suo apprendimento, ma che è anche responsabile, in piena parità con gli altri insegnanti, dell'educazione e della valutazione di tutta la classe.
Non è facile redigere una statistica attendibile sul numero dei disabili, sia perché non tutte le persone disabili o i loro familiari entrano in contatto con i servizi pubblici preposti a questi problemi sia perché è difficile fare un censimento di alcune categorie 'speciali' di disabili, come i bambini o gli ospiti di strutture residenziali. La principale fonte di dati utilizzata per stimare il numero di disabili presenti in Italia è l'indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari. In base alle stime ottenute dall'indagine, emerge che in Italia, nell'anno 1999-2000, le persone disabili erano 2.615.000, pari al 5% circa della popolazione di più di 6 anni che vive in famiglia.
L'indagine ISTAT permette di rilevare informazioni su persone che abbiano almeno 6 anni di età; quindi, i bambini al di sotto dei 6 anni di età non sono compresi. Non è possibile avere informazioni precise neppure prendendo in considerazione i dati delle scuole, perché non c'è obbligo di frequenza della scuola materna. Studi specifici portano a stimare una percentuale di disabilità alla nascita pari all'1%. Considerando che a 6 anni la percentuale di disabilità rilevata è dell'1,86%, complessivamente si ritiene che il numero di bambini disabili fra 0 e 5 anni, in quegli anni, fosse di circa 43.600.
Per quanto riguarda la stima dei disabili che vivono in residenze e non in famiglia, i primi risultati provvisori della rilevazione sulle strutture socioassistenziali indicano la presenza di 165.538 persone disabili o anziani non autosufficienti. Tuttavia non ci sono indagini che possano essere considerate molto attendibili.
Considerando quindi i disabili in famiglia e quelli ricoverati presso strutture socioassistenziali si giunge a una stima complessiva di poco più di 2.800.000 disabili. È bene chiarire ancora che si tratta di stime, che presumibilmente distorcono verso il basso il reale numero di disabili in Italia.