Syberberg, Hans Jürgen
Regista e sceneggiatore cinematografico tedesco, nato a Nossendorf l'8 dicembre 1935. La sua opera (solo in parte assimilabile al Neuer Deutscher Film) si è spinta nella direzione di un'assoluta e radicale originalità sperimentale. L'arte cinematografica è vista da S. come approdo di diverse tradizioni drammaturgiche (dalla tragedia greca al 'dramma a stazioni' dei misteri medioevali) e molteplici valenze pittoriche, letterarie e musicali (dal Romanticismo all'Espressionismo), dove si amalgano la concezione dell''opera d'arte totale' vagheggiata da R. Wagner e il carattere epico e di straniamento didattico tipico del teatro di B. Brecht.
Figlio di un proprietario terriero, S. trascorse l'infanzia in campagna; il primo approccio al cinema avvenne nel segno di Brecht di cui nella stagione 1952-53 filmò alcuni spettacoli con il Berliner Ensemble, successivamente montati in un unico film (Nach meinem letzten Umzug, 1972). Nel 1953 si trasferì a Berlino Ovest e quindi (1956) a Monaco, dove si laureò in letteratura tedesca. All'inizio degli anni Sessanta si orientò verso il documentario con più di ottanta filmati televisivi, realizzando una riflessione penetrante sul meccanismo drammatico della recitazione e sulla condizione dell'attore. Significativi due lungometraggi sul vecchio patriarca del teatro tedesco Fritz Kortner (Fünfter Akt, siebente Szene. Fritz Kortner probt Kabale und Liebe, 1965, e Fritz Kortner spricht Monologe für eine Schallplatte, 1966) e un ritratto di Romy Schneider, tagliato e manipolato dalla produzione (Romy. Anatomie eines Gesichts, 1965). Densità simbolica delle immagini, straniamento didascalico e tensione politica caratterizzano sia Scarabea ‒ Wieviel Erde braucht der Mensch? (1969), esordio di S. nel lungometraggio di finzione, dove la terra arsa della Sardegna sostituisce le steppe del racconto di L.N. Tolstoj, sia San Domingo (1970), adattamento di un racconto di H. von Kleist all'atmosfera di rabbia e di eccessi di una comunità rocker dell'estrema sinistra tedesca. Ma è con una sorta di trilogia tedesca che S. ha rivelato uno stile personalissimo, fatto di deformazioni visionarie, contaminazioni storiche, uso eterogeneo di materiali, sovrapposizioni di immagini e trucchi artigianali, con un insistito ricorso alla front projection (fondali e schermi di proiezione inseriti nel set). Nel primo titolo, Ludwig ‒ Requiem für einen jungfräulichen König (1972), l'immagine dell'androgino e allucinato Ludwig di Baviera si rifrange in un caleidoscopio delirante e iperreale di visioni in cui, tra passato e futuro, si riversa l'anima wagneriana della Germania decadente e poi espressionista. In Karl May (1974) il regista racconta, tramite una fitta tessitura di suoni e immagini, fondali dipinti, monologhi e scene corali, la stravagante vita e l'opera di un celebre scrittore di avventure esotiche facendone una metafora delle utopie totalizzanti e autodistruttive dello spirito germanico. Il successivo Hitler ‒ Ein Film aus Deutschland (1977), fluviale capolavoro della durata di 429 minuti, è una sorta di cerimoniale cinematografico che immerge la figura del dittatore in una collettiva elaborazione del lutto.
A queste opere S. ha alternato due film in forma di intervista: l'una, immaginaria, al cuoco di Ludwig di Baviera, Theodor Hierneis oder: Wie man ehem. Hofkoch wird (1973), l'altra, autentica, alla nuora di R. Wagner, Winifred Wagner und die Geschichte des Hauses Wahnfried 1914-1975 (1975). E al mondo di Wagner S. è approdato con la trascrizione filmica del Parsifal (1982), in cui l'esecuzione integrale dell'opera si dipana in un palinsesto di cinema totale dove vengono a integrarsi mondi figurativi e spazi filmici dilatati. In seguito ha intensificato la sua ricognizione sulle risonanze della parola drammaturgica, in particolare in una serie di film e video basati su vibranti monologhi di E. Clever, tra i quali si ricorda soprattutto Die Nacht (1985).
S. Socci, Hans Jürgen Syberberg, Firenze 1990.