hapax
Per hapax (legomenon) (lett. «detto una sola volta», gr. hápax legómenon) s’intende generalmente una parola che occorre una sola volta nell’intero corpus scritto di una lingua, nel lavoro di un singolo autore o – più estensivamente, ma forse più impropriamente – in una singola opera letteraria; ad esso vengono raramente associati i termini dis, tris o tetrakis legomenon, usati rispettivamente per indicare due, tre o quattro occorrenze.
Sono quindi hapax, ad esempio, Atzei Gopher e Lilith nell’ebreo biblico (si troverebbero rispettivamente soltanto in Genesi 6: 14 e Isaia 34: 14), autóguos e panaṓrios nel greco classico (rispettivamente, nelle Opere e i giorni di Esiodo e nell’Iliade), Mnemosynus in latino (nei Carmina di Catullo) e ramogna in italiano (Dante, Purg. XI, 25); quest’ultimo è un hapax di problematica interpretazione sul piano semantico, soprattutto per la difficoltà di ricostruzione dell’etimo e del significato originario.
Da un punto di vista quantitativo, gli hapax possono essere individuati e studiati attraverso il calcolo statistico – facilmente eseguibile oggi con un qualsiasi software per l’analisi delle concordanze della frequenza delle parole in un dato corpus (➔ statistiche linguistiche), sia esso l’intera tradizione scritta di una lingua, l’opera completa di un autore o un singolo testo. Secondo il linguista George K. Zipf, autore di una celebre e discussa legge statistica applicata alle scienze umane (1935, 1949), gli hapax sarebbero molto frequenti nelle lingue naturali, e a seconda del corpus costituirebbero tra il 40 e il 60% delle occorrenze (in un testo come il Moby Dick di Hermann Melville, ad es., circa il 44% delle parole occorrerebbero soltanto una volta); secondo un’altra legge, quella di Baayen (1993) sulla produttività morfologica, la dimensione del corpus inciderebbe inoltre non soltanto sulla percentuale degli hapax rispetto alla totalità delle parole, ma anche sulla loro tipologia: con l’ampliarsi del corpus, aumenterebbe infatti anche la proporzione di hapax formati da neologismi composizionali e derivazionali.
A prescindere dall’analisi quantitativa, l’hapax assume particolare rilevanza e problematicità nello studio delle lingue scomparse (i cui corpora scritti risultano limitati e, salvo eccezionali scoperte, non più ampliabili), nel caso in cui una parola o un’espressione compaiano in un solo contesto e risultino, quindi, difficilmente decifrabili oppure soggette a interpretazioni controverse: sono hapax, ad es., molti termini tuttora indecifrati rinvenuti sui geroglifici maya (Houston 2000).
L’hapax costituisce inoltre, e soprattutto, uno strumento utile nelle mani del filologo che volesse stabilire l’attribuzione di un’opera a un determinato autore, o mettere in discussione attribuzioni precedenti. Le commedie di Shakespeare, ad es., conterrebbero un’identica percentuale di hapax, e ciò costituirebbe ulteriore conferma che siano state composte dalla stessa mano, mentre la discussione intorno agli hapax presenti in alcune lettere pastorali attribuite a Paolo di Tarso ne avrebbe fatto ora vacillare ora riaffermare l’origine (Workman 1896; Grayston & Herdan 1959).
In stilistica, gli hapax servirebbero quindi a individuare il vocabolario caratteristico di un autore, nonché, eventualmente, la dichiarata citazione di un autore da parte di un altro: è il caso della presenza di molti hapax danteschi nel Decameron, che farebbe pensare a riprese non casuali da parte di ➔ Giovanni Boccaccio (Hollander 1997), o l’esempio, celeberrimo, del verbo trasumanar, hapax nella Commedia (Par. I, 70) ripreso da ➔ Pier Paolo Pasolini per il titolo della sua raccolta di poesie Trasumanar e organizzar (1971), per significare che «l’altra faccia della Trasumanizzazione [...] ossia dell’ascesa spirituale, è [...] l’organizzazione» (Pasolini 20012: 1462).
La ricerca e l’analisi degli hapax permetterebbe anche di individuare, con altri intenti, citazioni non esplicite o addirittura tentativi di plagio, con applicazioni utili in particolare nella giurisprudenza sul diritto d’autore e nella linguistica forense (Woolls 20062).
Baayen, Harald (1993), On frequency, transparency and productivity, in Yearbook of Morphology 1992, edited by G. Booij & J. van Marle, Dordrecht-London, Kluwer, pp. 181-208.
Harrison, Percy N. (1921), The problem of the Pastoral Epistles, Oxford, Oxford University Press.
Hollander, Robert (1988), An index of Hapax Legomena in Dante’s Commedia, «Dante studies» 106, pp. 81-110.
Hollander, Robert (1997), An Index of Hapax Legomena in Dante’s Commedia, in Id., Boccaccio’s Dante and the shaping force of satire, Ann Arbor, The University of Michigan Press, pp. 169-179.
Houston, Stephen D. (2000), Into the minds of Ancients. Advances in Maya Glyph studies, «Journal of World Prehistory» 14, 2, pp. 121-201.
Grayston, Kenneth & Herdan, Gustav (1959), The authorship of the Pastorals in the light of statistical linguistics, «New Testament studies» 6, pp. 1-15.
Pasolini, Pier Paolo (1971), Trasumanar e organizzar, Milano, Garzanti.
Pasolini, Pier Paolo (20012), Il sogno del Centauro. Incontri con Jean Duflot, 1969-1975, in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti & S. De Laude, Milano, Mondadori (1a ed. 1999).
Woolls, David (20062), Plagiarism, in Encyclopedia of language and linguistics, editor-in-chief K. Brown, Boston - Oxford, Elsevier, 14 voll., vol. 9º, pp. 621-628.
Workman, W.P. (1896), The Hapax Legomena of St. Paul, «Expository times» 7, p. 418.
Zipf, George K. (1935), The psychobiology of language. An introduction to dynamic philology, Boston, Houghton-Mifflin.
Zipf, George K. (1949), Human behavior and the principle of Least-Effort, Cambridge (Mass.), Addison-Wesley Press.