HAR KARKOM
Montagna situata nel Nord della penisola del Sinai, in quella sezione denominata deserto del Negev, che è parte dello stato d'Israele. È divenuta famosa da quando, nel 1984, fu proposta la sua identificazione con il biblico monte Sinai.
H. K. è il nome ebraico assegnato alla montagna alla fine degli anni Cinquanta dal ''comitato per i nomi'' dello stato d'Israele. Significa "Monte dello zafferano" (Har = monte; Karkom = zafferano). Negli anni Cinquanta si trovano anche riferimenti a questa montagna con il nome di Har Geshur. I beduini la chiamano Jebel Ideid, e tale nome appare anche sulle carte geografiche risalenti al periodo tra le due grandi guerre, in cui l'area era sotto mandato britannico. Secondo gli arabisti il nome potrebbe significare "Monte delle Moltitudini" o "Monte della Preparazione", mentre nel locale dialetto beduino Tarabin significa "Monte delle Ricorrenze". Con un'altitudine di m 847 slm, è visibile da grandi distanze, sia da sud, sia da est; domina il paesaggio del deserto Paran e la si vede dalla Transgiordania, dai monti di Edom, a oltre 70 km di distanza.
Topografia e morfologia. − H. K. è circondata quasi per intero da strapiombi alti fino a 500 m ed è facilmente agibile solo dal lato ovest. La montagna è costituita da un piccolo altopiano di calcare e pietra arenaria, con strati affioranti di selce, lungo da nord a sud oltre 4 km con ulteriori propaggini discendenti, e largo da est a ovest in media circa 2 km, e da due vette, collegate da una sella, che sovrastano di una settantina di metri l'area circostante e che dominano tutto l'altopiano.
Una di queste vette ha la forma stretta e allungata. Su di essa vi è un falsopiano lungo circa 130 m e largo da due a sei metri. Sul punto più alto e più largo vi sono resti di un cumulo di pietre; sul lato nord vi è un ortostato, o cippo, intenzionalmente infisso a terra e sostenuto da alcune pietre più piccole. Sul lato sud, in una fessura della roccia, si è individuato un gruppo di una ventina di ciottoli in selce, omogenei, perfettamente rotondi. Apparentemente sono stati selezionati e ivi raccolti o nascosti in epoca remota. La seconda vetta, più bassa della prima di 4÷5 m, ha la cima pressoché rotonda, con un ripiano di circa m 10 di diametro sul quale vi è un circolo di pietra. Sul lato sud-ovest vi è una propaggine a cresta con una grotticella naturale.
Profonde fessure e grossi crepacci sono presenti soprattutto lungo gli strapiombi che guardano a est e a nord-est. Al loro interno, talvolta alla profondità di oltre trenta metri dal livello del suolo circostante, crescono arbusti, protetti dal sole, dai venti e probabilmente anche con una maggiore disponibilità di umidità. In queste profonde fessure vi sono abbondanti depositi di sedimenti eolici, molto leggeri, che contrastano con la superficie dell'altopiano, coperta dalle pietraie della hamada, sulla quale i relitti archeologici sono rimasti in superficie, sovente pressoché intatti per millenni.
La topografia del territorio mostra caratteri assai netti che possono suddividersi in tre categorie: altopiano; declivio; valle. L'altopiano è interessato da numerosi siti abitativi e ateliers di taglio della selce del Paleolitico (da 100.000 a 10.000 anni a.C.). Nel periodo tardo Calcolitico, nell'Antica e all'inizio della Media età del Bronzo, cui ci riferiamo con la sigla BAC (Bronze Age Complex), è fittamente cosparso di luoghi di culto (3500-1950 a.C.). Successivamente ha sporadici siti delle epoche romano-bizantina e islamica.
Le valli sono invece i luoghi dove s'incontrano i siti abitativi che, in prevalenza, risalgono al periodo BAC e a quello romano-bizantino. Di gran lunga la più ricca in reperti archeologici è la Valle Ovest. Più a nord si entra nel settore di Beer Karkom. Il Wadi Karkom, che nasce nella Valle Ovest, giunge, dopo il pozzo di Beer Karkom, a una stretta gola che conclude l'area di esplorazione, a circa 8 km a nord della montagna. Il pozzo è ai piedi di un gruppo montagnoso che si estende verso ovest e sul quale, come resti archeologici, si trovano quasi esclusivamente tumuli funerari. Sui tre lati, ha tre ampie vallate, molto ricche di reperti, denominate rispettivamente B.K. Sud, B.K. Est e B.K. Nord. In tutte e tre queste vallate si hanno numerose strutture abitative ma anche luoghi di culto quali altari, piattaforme circolari pavimentate, ortostati, cumuli e circoli di pietra.
Storia dell'esplorazione. − Questa montagna fu visitata da E. Anati per la prima volta nel 1955, durante un'esplorazione finalizzata alla ricerca di testimonianze di arte rupestre. Allora furono individuati infatti nove siti di arte rupestre, con raffigurazioni di scene di caccia e di culto, pubblicate l'anno successivo in una rivista scientifica inglese. In quella stessa occasione furono visti anche i resti di una strana costruzione in pietra e di alcuni tumuli di probabile uso funerario. Il sito fui poi visitato dall'esploratore americano N. Glueck, che ne diede una descrizione nel suo libro Rivers in the Desert (1959).
Quando, negli anni Settanta, la missione archeologica italiana del Centro Camuno di Studi Preistorici riprese a interessarsi all'esplorazione del deserto del Negev, l'area divenne oggetto d'intensa investigazione. Sulla montagna stessa le ricerche sistematiche iniziarono nel 1980 al ritmo di due spedizioni l'anno. Ma solo nel 1983 si cominciò a comprendere che doveva trattarsi di una montagna molto particolare. I ritrovamenti archeologici indicavano infatti che nel terzo millennio a.C. la ''Montagna delle Ricorrenze'' doveva essere una montagna sacra, un altoluogo di culto di eccezionale importanza. Nel 1984 è emersa l'ipotesi che possa trattarsi del Monte Sinai dove, secondo la Bibbia, Mosè avrebbe ricevuto le Tavole della Legge.
Nel 1980, l'interesse fu incentrato sull'altopiano, nella stessa parte nordoccidentale dove si ubicavano le rocce istoriate precedentemente identificate.
Nell'autunno 1982 e nel 1983 l'area di esplorazione si espanse al centro e al sud dell'altopiano, identificando oltre un centinaio di siti in un'area di circa 8 km2. Ci si rese conto allora dell'importanza archeologica della zona, oltre che per l'arte rupestre, anche per la quantità e la varietà di strutture in pietra e le ingenti concentrazioni di reperti di cultura materiale, in prevalenza di selci lavorate. Fu necessario ampliare l'area dell'esplorazione anche ai piedi della montagna e nelle zone circostanti.
Il 1984 fu un anno d'intensa esplorazione nel corso del quale si realizzarono tre spedizioni. Nel gennaio 1985 si era coperta un'area di oltre 100 km2 che aveva restituito circa 400 siti. Nel marzo 1987 erano stati individuati complessivamente oltre 600 siti archeologici in un'area di 160 km2. Le ricerche si sono allargate per coprire un'area di 200 km2 e nel 1991 erano noti 860 siti archeologici. La tabella 1 mostra una sintesi dei ritrovamenti fino al 1991. Da allora si sono realizzate altre spedizioni, ma non sono disponibili dati più aggiornati.
Indizi archeologici per l'identificazione con il Monte Sinai. − Fin dalle prime pubblicazioni dei risultati della missione archeologica italiana ad H. K., gran parte degli studiosi si trovarono concordi nel riconoscere in questa montagna un importante altoluogo di culto di età del Bronzo. Per quattro anni tuttavia i lavori proseguirono senza che fosse emersa l'ipotesi d'identificazione di H. K. con il biblico Monte Sinai. Era consuetudine attribuire tale identificazione a Jebel Musa, circa 200 km più a sud, ai piedi del quale sorse, in epoca bizantina, il monastero di Santa Caterina.
L'ipotesi affiorò col rinvenimento di numerosi elementi che sembravano coincidere con la narrazione biblica. Tra questi ricorderemo i dodici cippi e l'altare ai piedi della montagna (Sito HK/52, cfr. Exod. xxiv, 4), la grotticella sulla cima (Sito HK/41-42, cfr. Exod. xxxiii, 22), il tempio sulla montagna (Sito HK/24, cfr. Exod. xxvii,8). Si trovarono anche numerose incisioni rupestri con chiari riferimenti alla mitologia biblica, nonché tipi di risorse e di ambiente, luoghi di sorgenti d'acqua, caratteristiche topografiche, che collimavano con la descrizione biblica. Vi erano inoltre i resti di diversi accampamenti ai piedi della montagna che suscitavano precise associazioni (cfr. Exod. xix,1-3; Num. xxxiii, 14-15). Tutto ciò sembrava indicare che i compilatori dell'Antico Testamento facessero riferimento a cose note o viste ad H. K., quando parlavano del Monte Sinai che forse, già all'epoca, doveva essere circondato da miti che per secoli la tradizione orale era andata accumulando.
Successivi studi hanno permesso di trovare una serie di puntuali coincidenze tra località geografiche nella penisola e la narrazione biblica che descrive quelle che sarebbero state le tappe dell'itinerario dell'esodo degli Ebrei dall'Egitto al Monte Sinai e poi da qui a Kadesh Barnea. Anche la ricostruzione dell'itinerario descritto dai testi biblici sembrava ricondurre ad H. K. come luogo del Monte Sinai. Tale ipotesi doveva tuttavia scontrarsi con altre tendenze. Esistono più di venti proposte d'identificazione con il Monte Sinai di altrettante montagne, nella penisola del Sinai e fuori di essa, e varie scuole esegetiche, difendendo le proprie posizioni, hanno visto H. K. come un inatteso e non desiderato intruso. Tuttavia, l'ubicazione sicura o molto probabile di alcune delle stazioni dell'esodo, emerse dalle recenti ricerche, come BaalZefon, Elim, Refidim, Tavera, Yotvata, Avrona, Ezion Gever e Kadesh Barnea, indicano l'area in cui si trova H.K. come di gran lunga la più plausibile tra tutte quelle proposte.
Tale acquisizione è ulteriormente rafforzata da due altri fattori di carattere topografico. L'ubicazione concordante dei tre deserti descritti nello stesso contesto biblico, Zin, Sin e Paran, faceva ritenere che l'ubicazione del Monte Sinai, così come concepita dai compilatori del Vecchio Testamento, dovesse trovarsi nella stessa area di H. K. e, sicuramente, non poteva trovarsi al Sud della penisola. La stessa conclusione appare esplicita nell'ubicazione dei territori delle varie tribù descritte nel medesimo contesto biblico e in particolare delle tribù Midianite e di quelle Amalechite, i cui territori dovevano avere un comune confine nella stessa area in cui si ubica H. Karkom.
Il problema cronologico. − Il problema cronologico suscita ancora vivi dibattiti e si scontra con opinioni discordanti. Alcuni esegeti ritengono che non sia necessario affrontare il problema cronologico per accettare l'identificazione di H. K. con il Monte Sinai della Bibbia. Un gruppo di nomadi soffermatosi ai piedi della montagna non avrebbe dovuto lasciare vistose tracce e ciò potrebbe essere avvenuto anche nella tarda età del Bronzo di cui non si hanno tracce di presenza umana ad H. Karkom. In tal caso i due problemi, quello dell'identificazione e quello della cronologia dell'Esodo, verrebbero disgiunti. Tuttavia, le scoperte di H. K. richiedono un ripensamento su quelli che finora si riteneva fossero punti fissi per la cronologia dell'Esodo.
Nella Bibbia si parla di popolazioni che abitavano il deserto, con le quali gli Ebrei si sarebbero incontrati. Gli Amalechiti vivevano in quello che è oggi il Negev centrale e nell'area di Kadesh Barnea, e cercavano di contrastare l'entrata degli Ebrei nel loro territorio (Exod. xvii, 8). I Midianiti, che secondo la narrazione sarebbero stati imparentati con Mosè, furono in frequente contatto con gli Ebrei durante il loro tragitto nel deserto (Exod. xviii, 5). Indirettamente sappiamo della presenza degli Amorei. Gli Ebrei infatti, dal Sinai a Kadesh Barnea, transitarono per la ''Via Montagnosa degli Amorei'' (Deut. i, 19). E sappiamo che nella zona vivevano tribù horite come quella di Benei Yaakan (Num. xxxiii, 31-32; Deut. x, 16).
L'intera area che sarebbe stata percorsa dagli Ebrei in base alla tradizione biblica, ossia buona parte della penisola del Sinai, ha rivelato reperti dell'Antica età del Bronzo e dell'inizio della Media (il periodo definito BAC: 3500-1950 a.C.), così come troviamo questa presenza umana estremamente abbondante ai piedi di H. K., mentre in tutto il Sinai orientale e nel Negev meridionale, malgrado le intense ricerche archeologiche, finora non vi sono tracce che indichino la presenza umana dal 18° al 13° secolo a.C. (a parte alcune miniere sfruttate dagli Egiziani, non attinenti con l'Esodo).
Nella zona di Kadesh Barnea che, secondo la narrazione biblica, durante il periodo dell'Esodo doveva essere un centro importante, prima degli Amalechiti e poi degli Ebrei, non vi sono tracce della Tarda età del Bronzo (1550-1200 a.C.), mentre abbondanti sono i reperti del periodo BAC, con insediamenti simili a quelli ritrovati ai piedi di H. Karkom.
Il deserto è un'area estremamente sensibile a ogni mutamento ambientale, sociale o economico, e le variazioni del grado di presenza umana sono drastiche. Ripetiamo per l'intera penisola le cinque diverse realtà demografiche utilizzate per H. Karkom. La tab. 2 mostra le alternanze delle cinque categorie, dal Calcolitico al Medioevo, per una sequenza di cinque millenni (per avere una copertura significativa della situazione, si riportano sette campionature) ed evidenzia che l'intero territorio oggi desertico della penisola non ha restituito testimonianze archeologiche di insediamenti umani, a eccezione di istituzioni di regime quali miniere o guarnigioni militari, per la massima parte del 2° millennio a.C. Se le popolazioni menzionate nella narrazione biblica, quali i Midianiti e gli Amalechiti, gli Amorei e i Horiti, hanno realmente vissuto in contesto tribale su vasta scala in questo territorio, devono avervi lasciato le loro tracce per cui, tra le cinque categorie demografiche della tabella, vanno riferite a un orizzonte di tipo A o, al limite, di tipo B. Le altre categorie possono essere escluse.
Rispetto alle tracce d'intensa attività umana nel 3° millennio a.C., la carenza di reperti nel 2° millennio sembra indicare l'assenza di gruppi tribali in questo territorio. Le uniche vestigia sono infatti quelle di istallazioni di regime per lo sfruttamento minerario, con l'uso di militari e di schiavi, e qualche stazione carovaniera o emporio commerciale lungo la costa mediterranea che non possono avere nesso con la tradizione dell'Esodo.
L'archeologia illustra in maniera univoca il recesso della vita tribale per circa un millennio nel Negev centrale, nel Nord-Est Sinai e a Kadesh Barnea, dal 1950 a.C. fino alla colonizzazione israelita iniziata attorno al 1100 a.C.
Se le narrazioni dell'Esodo sono pure e semplici invenzioni mitiche, appare vano ogni tentativo di datazione per cui ogni e qualsiasi ipotesi sarebbe priva di senso. Ma se i testi biblici poggiano su una qualche base di memoria storica, un'analisi dei dati archeologici riassunti nella tab. 2 mostrerà che tali avvenimenti si possono essere verificati soltanto nel 3° millennio a.C.
Quanto ai ritrovamenti di H. K., i resti di villaggi, il tempio, i numerosi luoghi di culto, le grandi necropoli a tumuli, le piattaforme e gli altari, i circoli di pietra e i menhir, l'immensa concentrazione di arte rupestre, mostrano una vita pulsante e intense attività religiose nel 3° millennio a.C. Vi sono vestigia di villaggi di tipi diversi, che vanno attribuiti a più entità tribali. Se tra queste possa identificarsi anche una confederazione di tribù ebraiche, è un quesito che richiede ancora verifica.
La fine dell'Esodo e gli avvenimenti attribuiti a Giosuè. − Se è stato ipotizzato che una tribù di nomadi abbia potuto fermarsi ai piedi di H. K. senza lasciar tracce, ben più difficile è il sostenere che le battaglie di Giosuè, le mura atterrate, le città messe a fuoco e fiamme, non abbiano lasciato traccia alcuna. Se la narrazione è qualcosa più di un mito inventato, dovrebbero esservi tracce archeologiche delle scorribande e delle razzie di Giosuè. Il contesto cronologico di Gerico è finora parso in contrasto con il racconto biblico, ma il vero punto di contrasto è la data che l'esegesi biblica assegna all'epopea di Giosuè.
Secondo la narrazione biblica, dopo Gerico Giosuè vuole impadronirsi della roccaforte di Ai. Ai, come il suo nome arabo moderno et-Tell, significa "rovina" o "cumulo di pietre". Il nome, anche per questo sito, risale all'epoca della compilazione dell'Antico Testamento, ma è presumibile che, prima della sua distruzione, gli abitanti non usassero il termine ''rovina''. Il sito è stato ampiamente scavato e ha restituito una sequenza di strati dell'Antica età del Bronzo. Si sono identificati due episodi di distruzione, l'uno verso il 2720 e l'altro del 23° secolo a.C. Il secondo episodio avvenne in un contesto assai suggestivo: si trattava di una vera e propria roccaforte, dalla posizione strategica eccellente, pressoché inespugnabile. Eppure gli scavi hanno messo in luce resti evidenti di una violenta distruzione per mano di aggressori, che mette fine alla vita del fiorente insediamento. Il sito fu abbandonato prima del 2200 e da allora rimase un cumulo di rovine per circa un millennio, finché non venne colonizzato dagli Ebrei nella prima età del Ferro. Anche qui non si è trovato alcun resto della Tarda età del Bronzo, in cui la città di Ai non esisteva.
Se la collina di et-Tell s'identifica con Ai della Bibbia, e se la tradizione di una distruzione da parte di attaccanti ha un qualche fondamento storico, in base ai ritrovamenti archeologici può riferirsi solo all'episodio che ebbe luogo nel 23° secolo a.C. (Ai, fase 8). È pressoché contemporaneo alla grande distruzione di Gerico che mise fine alla città dell'Antica età del Bronzo.
L'archeologia fornisce una concordanza, tra le datazioni delle distruzioni di Gerico e Ai, il periodo di utilizzo di Kadesh Barnea come importante oasi, e il periodo in cui H. K. era un'importantissima montagna sacra nel deserto che separa l'Egitto dalla ''Terra Promessa''.
A queste risultanze vanno aggiunti il contributo dei testi egizi e gli spunti comparativi con la letteratura della Mesopotamia, che rivelano l'ampia concordanza tra archeologia e letteratura dell'Antico Oriente, suggerendo come anche l'annoso problema cronologico sorto con la proposta d'identificazione di H. K. con il biblico Monte Sinai non sia lungi da una soluzione.
Bibl.: C. S. Jarvis, Yesterday and to-day in Sinai, Londra 1931; E. Anati, Rock engravings from the Jebel Ideid (Southern Negev), in Palestine Exploration Quarterly, 83 (1956), 1-2, pp. 5-13; N. Glueck, Rivers in the desert, New York 1959; E. Anati, La Montagna di Dio. Har Karkom. Ricerche archeologiche sulla strada dell'Esodo, Milano 1986 (con contributi inoltre di L. Diamond, A. Horowitz, P. Pirelli e G. Davini, G. Samorini, E. Tchernov).