Rosson, Harold
Direttore della fotografia statunitense, nato a Geneseo (New York) il 6 aprile 1895 e morto a Palm Beach (Florida) il 6 settembre 1988. Fu uno dei primi grandi artigiani del Technicolor; il suo nome resta legato alla migliore stagione produttiva della Metro Goldwyn Mayer, per la quale rimase sotto contratto dal 1930 al 1953. Ricevette un Oscar speciale nel 1937, insieme a William H. Greene, per il colore di The garden of Allah (1936; Anime del deserto, noto anche come Il giardino dell'oblio o Il giardino di Allah) di Richard Boleslawski e cinque nominations, quattro per il bianco e nero e una per il colore. Tra il 1919 e il 1930 si firmò quasi sempre come Hal Rosson.
Debuttò nel cinema nel 1908 a New York, dove svolse varie mansioni per la Vitagraph Company of America e la Photo Drama Producing Company. Nel 1913 si trasferì a Los Angeles (lavorando anche in qualità di attore) sotto contratto per la Metro Pictures Corporations, dove fu assistente dell'operatore Arthur Cadwell. Dal 1915, con David Harum di Allan Dwan, intraprese la carriera di operatore, lavorando soprattutto per la Famous Players Film Company. Con Dwan stabilì un solido sodalizio artistico, firmando le immagini di una decina di suoi film, tra cui Panthea (1917) e tre melodrammi interpretati da Gloria Swanson, Zaza (1923; Zazà), A society scandal (1924; Scandali) e Manhandled (1924; Maschietta), nei quali si dimostrò un raffinato ritrattista, capace di cogliere in maniera originale la visione angelica della bellezza femminile tipica della Hollywood degli anni Venti. Membro dell'American Society of Cinematographers dal 1927, nei primi anni del sonoro fu un personaggio di enorme prestigio, ricercato da divi, registi e produttori per la sua perizia tecnica ma anche per la sua inventiva. A rafforzare la sua fama di fotografo capace di governare i chiaroscuri furono tre film girati per la Famous Players e diretti con gusto estetizzante da Josef von Sternberg, The dragnet (1928), The docks of New York (1929; I dannati dell'oceano) e soprattutto The case of Lena Smith (1929; Il calvario di Lena Smith, noto anche come Romanzo d'amore), al cui esito figurativo R. diede un contributo fondamentale, essendo il film basato su elementi scenografici dipinti in bianco, che affidavano la loro stessa esistenza al gioco tonale della fotografia. Passato stabilmente alla MGM, al principio degli anni Trenta divenne l'operatore preferito della più importante star della major, Jean Harlow, che fotografò in Red dust (1932; Lo schiaffo) e, insieme a Chester Lyon, in Bombshell (1933; Argento vivo), entrambi di Victor Fleming, in Redheaded woman (1932) e, non accreditato, in The girl from Missouri (1934; Pura al cento per cento), entrambi di Jack Conway, e in Hold your man (1933; L'uomo che voglio) di Sam Wood. Come altre attrici hollywoodiane di quel periodo, nel 1933 la Harlow sposò l'uomo al quale affidava la propria immagine; ma il matrimonio durò soltanto sette mesi. Nel 1935 R. venne inviato a Londra per girare una serie di film di grande ambizione formale prodotti da Alexander Korda, fra i quali The scarlet pimpernel (1935; La primula rossa) di Harold Young e The ghost goes West (1936; Il fantasma galante) di René Clair. Al ritorno in patria, il produttore David O. Selznick affidò a lui e a Greene la responsabilità di fotografare Marlene Dietrich con il Technicolor, all'epoca ancora poco flessibile e bisognoso di enormi quantità di luce, in The garden of Allah. Il risultato fu un'immagine che esaltava i cromatismi ingenui di quel sistema ma salvava l'alone di mistero al quale l'attrice non intendeva rinunciare. Forte di quel successo, R. poté spingersi ancora più in là nella sperimentazione del colore con alcune sequenze di The wizard of Oz (1939; Il mago di Oz) di Fleming, che ammiccano alla densità cromatica del cartone animato, e con il western Duel in the Sun (1946; Duello al sole) di King Vidor, fotografato insieme a Lee Garmes e Ray Rennahan, in cui il colore sembra invece piegarsi al gusto di un espressionismo fiammeggiante, assumendo una forte intensità drammatica. Fu però per il bianco e nero che ricevette le sue uniche nominations di quel periodo, con Boom town (1940; La febbre del petrolio) di Conway, e, insieme a Robert Surtees, con Thirty seconds over Tokyo (1944; Missione segreta) diretto da Mervyn LeRoy.
Nel dopoguerra firmò le immagini a colori di due musical di Gene Kelly e Stanley Donen, On the town (1949; Un giorno a New York) e Singin' in the rain (1952; Cantando sotto la pioggia), e quelle in bianco e nero di due film di John Huston, il noir The asphalt jungle (1950; Giungla d'asfalto), che gli fece ottenere un'altra nomination, e il bellico The red badge of courage (1951; La prova del fuoco), in cui imitò lo stile dei fotoreporter di guerra. La sua fama di ritrattista di star indusse il produttore Dino De Laurentiis a scritturarlo per illuminare sua moglie Silvana Mangano in uno dei primi kolossal italiani a colori, Ulisse (1954) diretto da Mario Camerini. R. si ritirò dal cinema nel 1958, poco dopo la delusione per la quarta nomination per il bianco e nero non trasformata in Oscar, quella per il thriller The bad seed (1956; Il giglio nero) di LeRoy. Howard Hawks lo convinse in seguito a tornare sul set per curare il colore del western crepuscolare El Dorado (1967).
Tra gli altri registi con i quali lavorò, da ricordare Frank Borzage, Clarence Brown, Cecil B. DeMille, William Dieterle, Robert Rossen, George Cukor, Jacques Feyder e Vincente Minnelli. Era fratello dei registi Arthur e Richard Rosson e dell'attrice Helene Rosson.
H.A. Lightman, Realism with a Masters touch, in "American cinematographer", 1950, 8, pp. 271 e 286-88; L. Maltin, in "The art of cinematographer", 1971, pp. 95-105; The honor roll: Harold Rosson ASC, in "American cinematographer", 1973, 10, p. 1248.