Haruhiko Kuroda
Un eretico alla Banca del Giappone
Voluto dal premier Shinzo Abe per il rilancio dell’economia nazionale, il nuovo governatore della Banca nipponica ha imposto una terapia-shock con misure rivoluzionarie in contrasto con le politiche di austerità prevalenti in Europa. Una scommessa che sembra aver già portato i suoi frutti.
Kuroda il coraggioso. Kuroda l’audace. Kuroda (forse) l’incosciente. Il nuovo governatore della Banca del Giappone è balzato agli onori delle cronache acquisendo uno status di notorietà internazionale che altri banchieri centrali – da Ben Bernanke a Mario Draghi – hanno conquistato più lentamente. Haruhiko Kuroda, 69 anni, stava da 8 anni a Manila come presidente dell’Asian Development Bank, quando è stato scelto dal premier giapponese Shinzo Abe come successore di Masaaki Shirakawa al vertice della Nippon Ginko (Banca del Giappone). Mentre Shirakawa ‘remava contro’ le sollecitazioni dei politici a fare di più per contribuire al rilancio dell’economia – con il suo scetticismo tecnico verso ogni attesa miracolistica nei confronti della politica monetaria – Kuroda condivide la volontà del premier di introdurre terapie-shock per far uscire il paese dalla deflazione. Con una laurea alla facoltà di Legge dell’Università di Tokyo (la fucina dei grand commis giapponesi) e specializzazione a Oxford, carriera brillante al Ministero delle Finanze, dove da responsabile degli affari internazionali supervisionò gli interventi finalizzati a indebolire lo yen tra il 1999 e il 2003, è da sempre poco interessato alle rivendicazioni di autonomia della Banca centrale e più propenso a ritenere necessaria una stretta collaborazione con il governo. Nominato da Abe a fine febbraio 2013, ha preparato per il primo comitato di politica monetaria della Banca del Giappone, il 4 aprile, una vera rivoluzione. Basta con la precedente linea dei piccoli passi nell’allentamento monetario: Kuroda ha convinto tutti i membri del board (la maggioranza dei quali faceva parte della vecchia guardia) a giocare subito tutte le carte a disposizione, introducendo un ‘allentamento quantitativo e qualitativo’ senza precedenti all’insegna del raddoppio: raddoppio della base monetaria entro 2 anni, raddoppio degli acquisti di bond, raddoppio della durata media dei titoli di Stato in portafoglio, più un incremento dello shopping anche di asset di rischio come i trust immobiliari e gli Exchange traded funds. Obiettivi: creare un ‘target di stabilità dei prezzi’ al 2%, contando che la creazione di aspettative di inflazione spinga la propensione al consumo e agli investimenti; incoraggiare gli investitori istituzionali a diversificare il portafoglio verso attività di rischio in modo da spronare Borsa e mercato immobiliare; indebolire il cambio (effetto scontato, ma non dichiarato) in modo da accrescere i profitti delle imprese e frenare le delocalizzazioni produttive. È un esperimento mai tentato in un paese avanzato che ha il più alto indebitamento rispetto al PIL: una formula che si pone in contrasto con le politiche di austerità prevalenti in Europa, tendenti a dare priorità al contenimento del debito. Kuroda sembra invece sposare in pieno la tesi non solo del suo premier, ma di tutti quegli economisti che ritengono importante l’accantonamento momentaneo del problema del debito statale nelle fasi in cui la domanda è debole e quindi bisognosa di essere spronata, in quanto altrimenti l’economia si avviterebbe in una spirale recessiva in grado di aggravare comunque il peso dell’indebitamento riducendo le entrate fiscali anche in presenza di tagli alla spesa pubblica o di incrementi della pressione tributaria. Così il compassato diplomatico è finito per apparire nei panni del rivoluzionario, evitando di rincorrere con affanno la Federal Reserve (come ha fatto il suo predecessore), ma sorpassandola, proprio quando a Washington si cominciava a pensare a una exit strategy dalla politica espansiva fuori dagli schemi dell’ortodossia. Kuroda ha così piantato il primo dei 3 pilastri della cosiddetta Abenomics, che oltre alla politica monetaria punta su stimoli fiscali e su riforme sistemiche. Molti esperti ritengono che il successo di Kuroda dipenderà soprattutto dal terzo pilastro (le riforme), in quanto di per sé stampare moneta non potrà garantire una crescita sostenibile. Nelle prime settimane, però, i veri obiettivi sono stati raggiunti: non tanto l’inflazione (ancora di là da venire), ma l’indebolimento del cambio e l’incentivazione agli animal spirits dei consumatori affluenti (che si sentono più ricchi grazie al boom della Borsa strettamente collegato al deprezzamento del cambio), con una maggiore fiducia anche delle imprese a bilanci abbelliti. Le Cassandre notano però l’alterazione degli equilibri sul mercato obbligazionario, diventato molto più volatile, come primo segnale dei rischi di una politica contraddittoria nel perseguire sia l’inflazione sia un livellamento dei tassi: chi ritiene che le strategie di Kuroda si avvicinino all’helicopter money, il denaro gettato a pioggia, paventa future crisi di credibilità della Banca centrale e dello yen e del sistema finanziario nipponico. Di sicuro, Kuroda è già entrato nella storia.
La strategia iper-espansiva
La politica monetaria di ‘allentamento quantitativo e qualitativo’ è stata introdotta dalla Banca del Giappone il 4 aprile 2013: una strategia iper-espansiva che prevede un’ingente immissione di liquidità nel sistema finanziario al fine di spronare l’economia. Le sue caratteristiche:
porre fine alla deflazione e raggiungere un ‘target di stabilità dei prezzi’ (ossia un rialzo dell’indice dei prezzi al consumo) del 2% annuo il più presto possibile;
il cambiamento del principale target operativo per le operazioni sul mercato monetario: non più l’uncollateralized overnight call rate (ossia i tassi di interesse di riferimento) ma la base monetaria;
il raddoppio della base monetaria a 270.000 miliardi di yen entro la fine del 2014;
l’acquisto di JGB (Japan government bonds) sarà raddoppiato entro 2 anni fino a raggiungere 190.000 miliardi di yen a fine 2014. L’acquisto di JGB salirà a oltre 7000 miliardi di yen al mese (per compensare i bond in scadenza), in modo che l’aumento dei titoli di Stato in portafoglio avvenga a un ritmo annuale di circa 50.000 miliardi di yen;
allungare la durata media dei titoli di Stato in portafoglio, da meno di 3 anni a circa 7 anni. I JGB, compresi i quarantennali, saranno acquistabili dalla Banca centrale;
la Banca del Giappone aumenterà al ritmo annuale di circa 1000 miliardi di yen il suo portafoglio di Exchange traded funds (ETF) e di 30 miliardi di yen quello di J-REIT (trust immobiliari).
di Stefano Carrer