Vedi HATRA dell'anno: 1960 - 1995
HATRA (v. vol. III, p. 1116)
Un'intensa attività di scavi e restauri a opera della Direzione delle Antichità dell'Iraq ha accresciuto in maniera decisiva dal 1951 le nostre conoscenze sulla città. Le testimonianze epigrafiche conservano una serie di date preziose (espresse secondo l'era seleucide) sulla sua fioritura nel II sec. d.C., al tempo degli ultimi «signori» (mry ') e dei re (re del 'Arab, cioè della Gazira abitata da tribù nomadi, legate al pascolo delle greggi dei sedentari della regione del Tigri). Appare tuttavia chiaro che la fortuna di H. è il risultato di un processo iniziatosi almeno un secolo prima. In particolare gli scavi alla porta N indicano che all'epoca dell'assedio di Traiano forse, ma certo a quella, di poco posteriore, della signoria di Naşru l'estensione dell'abitato raggiungeva la linea delle mura ancor oggi visibili. Sono le mura del regno di 'Abd-Samya', il Barsemio delle fonti classiche, sul trono nel 193-94, le stesse che hanno resistito a Settimio Severo e che dopo gli anni dell'alleanza con Roma l'ultimo re, Sanaṭruq II, non poté difendere da Šābuhr I. Questi conquistò la città nell'ultimo anno di regno del padre Ardašīr I, cioè nel 240-41, data resa ora sicura dai sincronismi registrati nel papiro manicheo di Colonia.
Nel cuore della città, nel Grande Santuario, il Grande Tempio (v. vol. III, fig. 1426) risulta appartenere nella sua forma attuale al II sec. d.C., ma nella sua muratura sono inglobati blocchi architettonici di un edificio più antico e un saggio ha messo in luce, al di sotto, diversi livelli di strutture in mattoni crudi. Esso si compone di una serie di grandi iwān con ampi podí verso il fondo della sala monumentale, e del Tempio Quadrato, forse di Šmaš, circondato da alti cippi litici in forma di altari e coronato da colonnati. I grandi iwān N e S furono costruiti secondo un piano unitario, ma in diversi stadî edilizî. Vi appare attivo il signore Worod, il cui nome è spesso inciso su blocchi della muratura del grande iwān S, ma anche di quello N. Essi esistevano già nel 105 e nel 112 d.C., data di due iscrizioni rispettivamente sul muro di quello S e sulla volta di quello N. La coppia di iwān minori, aggiunta all'edificio a N, è invece legata al signore Naṣru, il cui nome è inciso sull'arco dell'iwān 14 ed è citato da altre iscrizioni del 128-29 e 138. A lui vanno ascritti anche il muro N del recinto sacro con le porte e i templi cittadini V (v. vol. III, fig. 1436) e X. Il Tempio Quadrato annesso dietro al grande iwān S è stato completato invece dal re Sanaṭruq I, figlio del signore Naṣru, che ha lasciato il suo nome sulle colonne del coronamento. Un'iscrizione lo indica sul trono nel 177/8. Il grande iwān S sembra dedicato a Maran («Nostro Signore»), quello N a Bar Marayan («Figlio dei Nostri Signori»), riuniti in triade con Martan («Nostra Signora»), secondo modelli diffusi in ambito siro-mesopotamico. Il primo epiteto corrisponde certo a un dio solare, forse lo stesso Samaš, gli altri a un dio-figlio con i tratti forse di Dioniso e a Nanai.
Il muro di cinta del Grande Santuario presenta diverse fasi edilizie; a esso in tempi diversi sono stati addossati varí ambienti dall'esterno e porticati all'interno. Un triplice portale sul lato E dà accesso all'enorme cortile anteriore, mentre due portali aperti nel muro posteriore introducono nel settore occidentale. Qui davanti agli iwān si affrontano i templi di Šaḥiru e di Samya', mentre più a S il tempio A, opera di Naṣru, sembra dedicato alla Triade. Gli ultimi due edifici sono del tipo a grande iwān affiancato da vani minori, mentre il primo nella sua fase definitiva è un'ampia sala coperta con volta a botte preceduta da un pronao di sei colonne composite, a fronte tetrastila. Due stanze affiancano a E, sulla scalinata, la cella, mentre a livello dello spiazzo una loggia a doppio ordine ionico e corinzio si addossa al fianco occidentale.
Nel grande cortile, all'angolo SO, alcuni edifici di riunione, mal conservati, comprendono una sala con banconi su tre lati e un annesso con vasca. Ma gli edifici più importanti sono ancora una volta templi. Quasi addossato al centro del muro divisorio, tra i due portali, si innalza il «Tempio Ellenistico» dedicato a Maran, in origine un periptero esastilo con colonne ioniche su alto podio al quale conduce un'ampia scalea. Una seconda peristasi di colonne più grandi, composite, fu poi aggiunta intorno al podio a livello del cortile, mentre nelle pareti esterne della cella furono aperte nicchie per ospitare grandi statue romane di importazione rappresentanti divinità classiche come Posidone, Apollo, Eros. La copertura è a doppio spiovente, ma il frontone, che dietro posa sulla trabeazione esterna e davanti su quella interna (qui di tipo siriaco, con arco iscritto sull'intercolumnio centrale più ampio), corrisponde alla larghezza del tempio originario, onde sui deambulatori laterali la copertura è in piano. La trabeazione, pesantemente decorata, comprende un architrave, due fregi e una cornice che si piega essa sola nel gèison. Il tempio è ritenuto dagli scavatori il più antico, ma il problema della data resta aperto, anche se è certo da escludere l'età ellenistica. In quell'eventualità esso documenterebbe, con il Tempio di Šaḥiru, uno sviluppo da forme architettoniche classiche, vicine a quelle della Siria romana, verso forme partiche dominate dall'iwān.
A estremo contrasto, Sanaṭruq I eresse poco distante il Tempio di Allat, i cui grandi iwān si aprono sul tratto N del muro posteriore del cortile, con uno schema che riprende quello del Grande Tempio. Il Tempio di Allat si distingue per la sua ricca decorazione figurata, in particolare quella della sala S, con un fregio di busti di musici e convitati emergenti su un girale che corre su tre pareti. Il fregio è interrotto al centro da una scena rappresentante l'arrivo della dea a dorso di cammello, accolta dall'aquila di Maran e da una ninfa che regge una bilancia, personificazione forse della sorgente dl Hatra. La dea, che in un altro rilievo dello stesso tempio è seduta al cospetto del re su una grande bilancia, è stata interpretata come dea della giustizia, assimilata a Nemesi, non comparendo qui l'aspetto guerriero più noto che le fa assumere altrove le sembianze di Atena.
All'architettura monumentale degli edifici religiosi del Grande Santuario si contrappone quella su scala ben più modesta dei templi cittadini, piccoli edifici eretti da sovrani, privati o gruppi quali le tribù, per soddisfare le esigenze di una religione a carattere più privato. Essi sorgono isolati o in blocchi di edifici con altra destinazione, anche abitativa, su cortili o ampi spiazzi. Sono decisamente uniformi nella loro tipologia, che riflette poche varianti di un unico schema: un ingresso al centro del lato lungo introduce attraverso una o tre porte in una sala rettangolare del tipo della cella larga di tradizione babilonese. Sulla parete opposta al centro si apre il piccolo àdyton, che occupa una stanzetta di pianta spesso quadrata aggettante verso l'esterno. Alternativamente l'àdyton è un'edicola limitata da due pilastri più o meno aggettanti dalla parete di fondo della sala ed estesa per una minima profondità nel muro stesso. La copertura della sala è generalmente ottenuta con due archi e tre sezioni di volta a botte. Ai lati brevi sono talora addossate due coppie di stanze minori. Epigrafi permettono di datare molti dei 13 edifici scavati (nessuna data risale oltre il 98 d.C., data del tempio VIII) e di individuare le divinità dedicatarie, come nel caso dei templi III e IV di Ba'alšamin e forse Atargatis o del tempio V di Iššarbel («Gioia di Bel»), forse una forma di Allat, o dei templi X di Nergal e XII di Nabu. Ma rilievi e statue indicano che altri dèi erano venerati contemporaneamente e nella moltitudine si distinguono, per la sua frequenza, Eracle-Nergal o, per la sua eccezionalità, il c.d. Assur-Bel del tempio V, forse immagine dell'Apollo di Hierapolis (v. vol. III, flg. 1427).
La suppellettile di questi templi è chiara testimonianza della ricchezza dell'aristocrazia, che ha dedicato a essi non minor cura che al santuario cittadino. L'edificio, dall'architettura modesta, e infatti completato da un ricco apparato di arredi, dai rilievi e statue di culto alle statue dei devoti, agli altari a edicola, alle cassette cilindriche per le offerte con foro per le monete nel coperchio a calotta, opere tutte che foggiano l'aspetto della casa divina, in stretto rapporto con l'architettura, soprattutto le statue dei devoti, poste contro i muri spesso su alte mensole.
Delle case dove vivevano i cittadini comuni, ma anche i nobili e i sovrani, come il «Palazzo Settentrionale», si sa ancor poco. Nelle piccole unità intorno ai templi, il cortile è elemento di continuità con la tradizione babilonese. Nella grande casa di Ma'nu si trasforma invece nel nucleo di rappresentanza dell'abitazione, poiché il suo spazio si dilata in quello dei due iwān contrapposti, secondo il nuovo schema tipico degli edifici monumentali.
Le difese cittadine, in pietra e mattoni crudi, sono meglio note grazie agli scavi alle porte N ed E. Esse presentano un fossato, una cortina a torri quadrate intervallate da torri maggiori e, alla porta N, un muro interno. Un ponte su arcate protetto da torri superava il fossato in corrispondenza della porta N, il cui percorso di ingresso era a gomito. L'edificio della porta, ad ambiente approssimativamente quadrato, era sotto la protezione di Eracle. Una statua del dio nudo secondo il modello classico e un'altra vestita secondo la foggia hatrena che lo assimila a Gnd', la Fortuna, erano sotto gli occhi rispettivamente di chi lasciava e di chi entrava nella città. Dati analoghi ha fornito la porta E.
I cittadini abbienti di H. costruivano per i loro defunti tombe a camera. Esse sorgono in svariati punti della città, intra muros, isolate o raggruppate. Si distinguono dalle tombe a torre di Palmira per le proporzioni più larghe, anche se mancano dati precisi sulla loro altezza. La presenza di scalette interne prova tuttavia l'esistenza di almeno un piano superiore. Quelle scavate hanno forma tendenzialmente quadrata, con ingresso chiuso da una porta di pietra e con partizioni interne che individuano un atrio largo e piccole stanze contenenti sarcofagi di terracotta o pietra. Sono documentate sia la semplice deposizione, sia la cremazione. Le tombe hatrene si distinguono dalle palmirene per la sobrietà delle linee architettoniche e la semplicità dell'allestimento interno. A ricordo di sé il nobile hatreno destinava infatti la propria immagine ai templi, dove rimaneva in vista, e non alla tomba.
È soprattutto nei templi che gli scavi hanno messo in luce un'incredibile quantità di opere d'arte. Ma perfino le mura, alla porta N, erano luogo prescelto da re e dignitari per l'erezione di statue su mensole. Mentre una serie numerosa di graffiti vivacissimi è documento prezioso del mondo immaginifico del comune cittadino hatreno, le statue di divinità sono naturalmente vincolate da schemi di presentazione canonici, resi ora molto varî, ora piuttosto generici dal clima fortemente sincretistico che caratterizza la religione hatrena. Questa rappresenta il divino anche sotto spoglie animali (es. Nostro Signore l'Aquila) o simboliche, come nel caso di Samya', il Sèmeion, una costruzione ispirata agli stendardi militari romani composta di dischi o anelli con emblemi montati su un palo coronato da un crescente e un'aquila, simbolo forse di più concetti divini, ma certamente oggetto di venerazione in se stesso. Anche nelle statue di re, sacerdoti e nobili, la posa necessariamente convenzionale della reverenza con la mano alzata o reggente attributi cultuali è bilanciata da una particolare attenzione ai dettagli dell'abbigliamento.
Anche se non si rinuncia all'importazione di opere d'arte e d'artigianato da Occidente, soprattutto in metallo, non c'è dubbio che la grandissima maggioranza delle sculture è stata prodotta in loco da artigiani o artisti che raggiungono spesso un alto livello qualitativo. Pur nelle diverse sfumature, uno stesso gusto li accomuna in una scuola che mescola felicemente dati iconografici di origini diverse in un risultato originale e armonioso. Alcune opere portano poi l'attenzione sul fatto che H. doveva essere uno dei centri principali di una regione non meno ricca, polo di grande attrazione sul piano religioso, ma anche crogiolo di idee artistiche. Anche nel caso della scultura, nessuna tra le date che talora accompagnano le dediche di statue e rilievi risale oltre la fine del I sec. d.C. ed è verosimile che la grande maggioranza delle opere a noi giunte risalga al periodo della massima fioritura della città. In ogni caso l'incontro tra le culture dell'Oriente partico e dell'Occidente classico avviene a H. in un ambiente semitico mesopotamico che conferisce alle sue creazioni un'impronta particolare, probabilmente ispirata ai modelli, a noi ignoti, della corte di Ctesifonte, ma caratterizzato comunque da un preciso superamento di quell'apporto ellenistico che accomuna la cultura delle varie aree del mondo partico.
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