Hawking ci ripensa
Pur non essendo osservabili direttamente, i buchi neri possono produrre conseguenze e manifestazioni che ne rivelano la presenza. Ora lo scienziato britannico Stephen Hawking, che da 40 anni studia a fondo questo argomento e lo divulga presso il grande pubblico, avanza l’ipotesi che i buchi neri potrebbero non esistere.
Da decenni, il nome di Stephen Hawking è associato alla ricerca sui buchi neri. Hawking non ha solo prodotto importanti risultati teorici in questo campo, ma ha anche contribuito a divulgare l’argomento presso il grande pubblico. Ha così suscitato una certa sorpresa (e un forte interesse da parte dei mezzi di informazione) il fatto che lo scienziato britannico abbia detto, all’inizio del 2014, che i buchi neri potrebbero non esistere. In realtà, l’affermazione di Hawking non è così netta come potrebbe sembrare, e va chiarita meglio.
Innanzitutto, va ricordato che cosa è un buco nero. Secondo la teoria della relatività generale di Einstein (la migliore descrizione della gravitazione attualmente esistente), quando una certa quantità di materia viene compressa all’interno di un volume sufficientemente piccolo, lo spazio circostante viene deformato fino a creare una regione che, una volta varcata, non può più essere abbandonata.
Neanche la luce può sfuggire dall’interno di questa zona di non ritorno, demarcata da una superficie chiamata ‘orizzonte degli eventi’, o, più semplicemente, orizzonte. Per questa ragione, la superficie apparirà completamente oscura a un osservatore esterno: un buco nero, appunto.
Pur non essendo osservabile direttamente, un buco nero può tuttavia produrre conseguenze e manifestazioni che possono rivelarne la presenza. Attualmente, l’esistenza dei buchi neri è supportata da numerose evidenze che non possono essere facilmente spiegate ricorrendo a ipotesi alternative: regioni in cui la materia appare talmente densa da avere superato il limite necessario alla creazione di un orizzonte degli eventi sono state rivelate, per esempio, nei nuclei delle galassie (inclusa la nostra Via Lattea) e dei quasar, oppure in sistemi in cui il materiale di una stella appare strappato via violentemente da un oggetto compatto non visibile.
Nonostante le forti evidenze a sostegno dell’esistenza dei buchi neri, esistono però dubbi di natura teorica sul loro comportamento.
Uno dei problemi che da anni tiene occupati i fisici teorici riguarda ciò che avviene attorno all’orizzonte degli eventi quando si tiene conto non solo della gravità ma anche degli effetti microscopici descritti dalla meccanica quantistica. Fu proprio Hawking, circa 40 anni fa, a rendersi conto che la continua creazione nello spazio vuoto di coppie particella-antiparticella, prevista dalle teorie quantistiche, avrebbe avuto conseguenze sul comportamento a lungo termine dei buchi neri. In particolare, contrariamente a quanto previsto dalla sola teoria della relatività generale, la superficie dell’orizzonte avrebbe dovuto rilasciare radiazioni, restringendosi lentamente fino a scomparire del tutto: un fenomeno diventato noto come ‘evaporazione di Hawking’.
Questo fatto aveva però implicazioni apparentemente sconcertanti: la materia in precedenza contenuta all’interno del buco nero sarebbe stata, alla fine dell’evaporazione, restituita all’esterno, ma in una condizione totalmente caotica, tale da smarrire le tracce del suo stato iniziale. In altre parole, contrariamente a uno dei cardini su cui basiamo le nostre teorie, l’idea di Hawking sembrava ammettere la possibilità di una completa perdita di informazione su un sistema fisico.
Una delle soluzioni al problema è stata avanzata nel 2004 da Joe Polchinski, un fisico teorico dell’Università di Santa Barbara in California. I calcoli di Polchinski conciliavano l’evaporazione dei buchi neri con la conservazione dell’informazione, ma a prezzo di una conseguenza forse ancora peggiore: agli occhi di un ipotetico osservatore in caduta verso un buco nero, l’orizzonte degli eventi sarebbe apparso come una superficie caratterizzata da un’energia estremamente alta, per questo ribattezzata firewall, «muro di fuoco». La previsione di Polchinski, pur risolvendo il paradosso dell’informazione, è in conflitto con la teoria della relatività generale di Einstein, secondo cui un osservatore che varcasse la soglia di un buco nero non dovrebbe notare niente di speciale.
La questione dell’esistenza del firewall è tuttora aperta ed è oggetto di accese controversie tra i fisici teorici, cosa che evidenzia ancora una volta le difficoltà nel trovare una sintesi tra i 2 grandi pilastri della fisica moderna, la teoria di Einstein e la meccanica quantistica. Ed è proprio in questo dibattito che si inserisce l’affermazione di Hawking a proposito della non esistenza dei buchi neri. La proposta di Hawking è che, nella realtà, il collasso della materia che porta alla formazione di un buco nero potrebbe essere più complicato di quanto abbiamo supposto finora e l’orizzonte degli eventi potrebbe essere una regione turbolenta, destinata a sparire in un tempo finito, da cui l’informazione riemergerebbe senza creare paradossi. Quella di Hawking è per il momento una congettura non pienamente formata e ci sarà bisogno di molto lavoro teorico per capire se possa davvero funzionare.
Le sue conseguenze osservative, comunque, sarebbero molto limitate: ai fini pratici, continuerebbero a esistere regioni da cui neanche la luce potrebbe sfuggire, se non per sempre, di certo per tempi estremamente lunghi. Di fatto, per noi comuni mortali questi oggetti resterebbero dei buchi neri: un po’ poco per dichiararli estinti.
Il guru della cosmologia
Stephen Hawking è un grande scienziato e in lui convive una rara genialità che si sposa a un indubbio talento nel farsi capire anche dai non addetti ai lavori.
Il fatto che lui stesso debba lottare dall’età di 21 anni (oggi ne ha 72) con una forma di atrofia muscolare progressiva che gli impedisce di muoversi e di parlare se non attraverso delle sofisticate tecnologie di cui è dotata la sua cyber-sedia a rotelle, lo fa diventare sul piano mediatico un’apprezzata testimonianza, a tutte le latitudini, della capacità umana di reagire alla malattia. Una stima della sua popolarità può essere valutata considerando che il suo primo libro divulgativo, Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo (1988), ha venduto 9 milioni di copie nel mondo. Accanto alle sue partecipazioni a trasmissioni televisive, come quelle per Discovery Channel, anche il cinema punta su di lui con una produzione intitolata The theory of everything, un film biografico con la regia affidata al britannico James Marsh, nelle sale italiane nel 2015. Una curiosità: Hawking ha fatto capolino nella serie televisiva Star Trek, interpretando se stesso, e in vari episodi del cartoon I Simpson.