hedge fund
Particolare categoria di fondi comuni di investimento (➔ fondo comune di investimento), orientata a raccogliere capitali presso un gruppo relativamente ristretto di sottoscrittori benestanti che possono permettersi di destinare risorse piuttosto cospicue a investimenti ad alto rischio. Coerentemente con questa impostazione, gli h. f. prevedono importi minimi elevati (un milione di euro) per ogni adesione individuale e talvolta un tetto al numero di sottoscrittori; non sono invece autorizzate sollecitazioni al pubblico risparmio. In contropartita gli h. f. sono soggetti a controlli e regole di funzionamento molto meno stringenti di quelli che gravano sui normali fondi comuni di investimento aperti al pubblico risparmio. In particolare, possono assumere senza limitazioni posizioni corte (➔ posizione) e investire ampia parte delle loro disponibilità in titoli derivati (opzioni, swap) o comunque in prodotti finanziari sofisticati. Essi possono dunque sfruttare opportunità di realizzare rendimenti molto elevati. Noto gestore di h. f. ad altissima resa è il finanziere statunitense di origine ungherese G. Soros. Ovviamente le possibilità di guadagni eccezionali (alto rendimento) sono connesse a quelle di perdite altrettanto elevate (alto rischio). Famoso è il crack, avvenuto negli anni 1990, dello h. f. Long Term Capital Management (LTCM), gestito, con troppa fiducia nelle proprie capacità di analisi quantitativa dei mercati finanziari, dal premio Nobel per l’economia R. Merton. Solo un massiccio intervento del Tesoro statunitense riuscì a scongiurare gli effetti devastanti di contagio che il fallimento del fondo avrebbe comportato sull’economia mondiale. A dispetto del nome, che suggerisce l’idea di una tendenza alla copertura (hedging) del rischio, questi fondi sono al contrario caratterizzati da strategie molto audaci di assunzione di rischiosità. La terminologia risale in effetti all’inventore A. Jones, che chiamò h. f. il primo fondo caratterizzato dalla contemporanea presenza di massicce posizioni corte e di una strategia di copertura dal rischio di mercato. Creando un portafoglio che oggi definiremmo tecnicamente zero beta (cioè in ogni caso neutrale rispetto al mercato), egli si cautelava (con effetto di hedging) dagli esiti dei movimenti dell’indice di mercato, puntando a guadagni derivanti da una sua presunta abilità nella scelta dei singoli titoli. Nonostante l’effetto di hedging rispetto al rischio di mercato, questa era una scelta ad alto rischio specifico per l’assunzione di posizioni su singoli titoli. Peraltro, il fondo ebbe rendimenti assai elevati nei primi anni di vita e ciò determinò la fortuna della scelta terminologica, poi applicata a tipologie molto diverse di fondi.