STEIN, Heinrich Friedrich Karl vom und zum
Uomo di stato tedesco, nato il 26 ottobre 1757 a Nassau, morto il 29 giugno 1831 a Kappenberg in Vestfalia. Era d'un'antica famiglia di baroni dell'impero. Dal 1773 al 1777 studiò diritto a Gottinga; negli anni seguenti visitò le corti tedesche spingendosi fino a Vienna e in Ungheria; nel 1780 entrò nell'amministrazione prussiana delle miniere; nel 1784 era a capo delle miniere demaniali della Vestfalia. Un viaggio di studio in Inghilterra, oltre a rivelargli i progressi della tecnica inglese, gli diede modo di ammirare il sistema del self-government. Questa simpatia per la contea inglese s'incontrava in lui con le rievocazioni di Justus Möser delle antiche comunità dei contadini tedeschi e in genere con gli entusiasmi dei protoromantici per la spontanea e fresca vita del popolo. In Vestfalia e sul Reno egli ritrovava i residui delle antiche autonomie locali, le assemblee rurali (Erbentage), anch'esse sopravvivenze dell'impero. Le sue esperienze d'instancabile funzionario, che viveva a contatto della vita dura dei minatori e dei contadini, si univano all'orgoglio del Reichsritter nel disprezzo per la mala pianta della burocrazia, per i Burialisten, intenti soltanto a far carriera e a evitare le responsabilità. Nel 1788 era direttore del demanio di Hamm e Cleve, dove si adoperò a rendere navigabile la Ruhr, ad aprire strade, a sopprimere pedaggi e gabelle.
La rivoluzione francese lo colse in mezzo a questa attività. Dopo la pace di Basilea fu nominato presidente superiore del demanio della Vestfalia. Convinto che la rivoluzione dovesse essere combattuta con le sue stesse armi, si diede a sopprimere dazî interni e ad affrancare i contadini dal demanio. Il 27 ottobre 1804 diveniva ministro delle dogane, manifatture e commercio, e poco dopo assumeva anche la direzione delle finanze. Propose l'abolizione dei dazî interni, la semplificazione del sistema tributario, l'introduzione di metodi inglesi nell'industria. Quando sui campi di Jena il vecchio stato prussiano crollò vergognosamente, si oppose all'accettazione delle umilianti condizioni dell'armistizio, rifiutò la nomina a ministro degli Esteri, insistette per la riforma del governo. Federico Guglielmo III, dopo alcune concessioni, finì con soggiacere agli intrighi e con licenziarlo (3 gennaio 1807).
Tornato a vita privata nel Nassau, si diede a meditare sulle cause della catastrofe prussiana raccogliendo le sue idee nella Nassauer Denkschrift, un memoriale del giugno 1807. Attribuiva la responsabilità del disastro non soltanto all'insipienza degli individui, ma all'essenza stessa dell'assolutismo prussiano, che soffocava con la sua burocrazia ogni iniziativa dei sudditi.
Come tutti i pensatori liberali dell'Ottocento, lo St. considerava il problema politico come un problema etico ed educativo. Proponendosi di destare nella nazione la fiducia in sé, il coraggio, il senso delle responsabilità collettive e la volontà di sacrificio, esprimeva, sul terreno politico, le aspirazioni di tutta la letteratura tedesca classica all'autonomia e dignità della persona, ma soprattutto l'idealismo etico di Kant e il pensiero pedagogico di Pestalozzi. Questo tratto etico e rivoluzionario del suo spirito era però moderato dalla romantica nostalgia per gli ordinamenti corporativi del Medioevo e da un herderiano affetto per le tradizioni nazionali. Si può infine notare nel suo pensiero un residuo del paternalismo settecentesco.
L'occasione di porre in atto le sue idee gli fu offerta dopo la pace di Tilsit, quando egli apparve l'unico uomo capace di salvare la Prussia, e Napoleone stesso ebbe a suggerirlo al re. Dall'ottobre 1807 al novembre 1808 fu a capo di tutta l'amministrazione civile, mentre Gneisenau e Scharnhorst riformavano l'esercito. Svolse un'attività febbrile con poteri quasi dittatoriali. Con l'editto del 9 ottobre 1807 soppresse la servitù della gleba dando in tal modo la libertà a due terzi della popolazione e statuì la libertà della proprietà terriera e delle professioni. Con l'editto del 27 luglio 1808 concesse ai contadini delle terre demaniali della Prussia e della Renania (47.000 famiglie) la facoltà di riscattare la terra in 24 anni. La terza grande riforma dello St. è quella del governo: l'editto del 16 dicembre 1808 istituiva cinque ministri, il cui potere era però limitato da un consiglio di stato presieduto dal re. Infine, con l'editto del 19 novembre 1808, le città ottennero una larga autonomia amministrativa.
Mentre appoggiava le riforme militari di Scharnhorst e Gneisenau, trattò con i Francesi per ottenere una riduzione dell'indennità di guerra prussiana e lo sgombero dei territorî occupati. Riuscì infatti ad accordarsi, nel marzo del 1808, con Daru. Nello stesso tempo la sollevazione della Spagna e gli armamenti austriaci gli diedero la speranza di poter scuotere il giogo. Formò intorno a sé un "partito della guerra", progettò intese con l'Inghilterra e l'Austria e un'insurrezione di popolo nella Germania settentrionale, allacciò relazioni con i patrioti della Vestfalia e della Renania. Ma le minacce di Napoleone, che era venuto a conoscenza dei preparativi militari della Prussia, e gl'intrighi dei "feudali", determinarono la sua caduta (24 novembre 1808). Prima di partire emanò una circolare ai funzionarî, in cui indicava il programma per l'avvenire: la totale soppressione del feudalismo e la creazione di assemblee costituzionali. Il 16 dicembre, un decreto di Napoleone lo dichiarava nemico della Francia e della Confederazione del Reno, ordinava il suo arresto e la confisca dei suoi beni. Lo S. si rifugiò in Austria. Dopo avere seguito con consigli la ripresa dell'azione riformatrice in Prussia sotto Hardenberg, finì con disapprovarne il carattere burocratico. Biasimò l'alleanza franco-prussiana tagliando gli ultimi vincoli che lo tenevano legato alle sorti della Prussia. Accettò perciò l'invito dello zar Alessandro e si recò a Mosca e a Pietroburgo. Alla testa del "Comitato tedesco" organizzò la legione tedesca e compilò progetti per la futura riorganizzazione della Germania.
Dopo l'incendio di Mosca sostenne il vacillante animo di Alessandro e dopo la ritirata napoleonica lo persuase a portare la lotta in Occidente. Nel gennaio del 1813 raggiunse il quartier generale russo e si recò poi, come plenipotenziario dello zar, nella Prussia orientale, dove si diede ad armare la popolazione. Inviato dallo zar a Breslavia per indurre il re di Prussia ad abbandonare l'alleanza francese, non riuscì nell'intento. Avvenuta finalmente la rottura, redasse la convenzione tra Prussia e Russia. Dopo Lipsia prese a dirigere il consiglio centrale per i territorî tedeschi liberati. Propugnò la continuazione della guerra fino alla completa eliminazione di Napoleone e cercò di opporsi a Metternich. Soltanto quando vide caduto Napoleone e restaurata la monarchia borbonica, si dichiarò soddisfatto. Ma la disfatta napoleonica segnò anche la sua sconfitta. Nelle corti, scomparso il pericolo, prendeva il sopravvento la reazione e persino negli ambienti dello zar l'influenza dello St. diminuiva.
La sua sconfitta si compì al Congresso di Vienna, dove era comparso come semplice consigliere dello zar. Vi svolse un'attività intensa, ma contradditoria, oscillando tra l'idea della restaurazione dell'impero sotto la Casa d'Austria, quella del dualismo austro-prussiano e quella della confederazione. Non riuscì mai a risolvere, neppure in teoria, il problema dell'unità nazionale e non seppe mai definire le linee del futuro stato tedesco.
Dopo i Cento giorni si recò a Parigi, chiamato dal Hardenberg, che sperava di mettere a profitto la sua influenza sullo zar per ottenere cessioni territoriali dalla Francia. Ma Alessandro e Metternich si rifiutarono di trasformare quella che doveva essere una guerra di liberazione in una guerra di conquista. Ritiratosi ad amministrare i suoi beni, deluso dalla reazione, lo St. si tenne da allora in disparte. Diede i suoi consigli per la preparazione delle costituzioni del Nassau e del Baden, viaggiò nel 1820 e 1821 in Svizzera e in Italia, nel 1822 in Turingia e in Slesia, accettò nel 1826 la carica di maresciallo della dieta di Vestfalia e nel 1827 entrò nel consiglio di stato prussiano, ma non vi svolse azione alcuna. Negli ultimi anni prevalse in lui il conservatore: deplorò alcune sue riforme, difese le corporazioni, si mostrò preoccupato dello sviluppo industriale. Promosse la fondazione della società per l'antica storia tedesca e l'edizione dei Monumenta Germaniae Historica.
Lo St. viene considerato comunemente come il primo campione dell'idea costituzionale in Germania (Ranke) e dell'unità della nazione tedesca (Treitschke). Recentemente però è stato negato che gli si possa attribuire uno specifico pensiero nazionale (Lehmann, Meinecke). Si è infatti notato che l'impresa della liberazione della Germania coincise per lui con quella della liberazione d'Europa, sicché si sono scorti in lui residui di cosmopolitismo settecentesco e insieme elementi di quel romanticismo politico, che diede origine alla Santa Alleanza. In realtà, più che di pensiero politico, conviene parlare nei riguardi dello St. d'una kantiana coscienza del valore etico della libera responsabilità, che gli fece detestare il regime napoleonico come il regno del male. D'altra parte il suo patriottismo non si trasformò mai in un universale rispetto per le volontà nazionali: se nei suoi piani, per un istante, entrò anche l'idea d'un'Italia unita, antemurale con la Gemania contro l'egemonia francese, si affrettò ad abbandonarla; fu recisamente avverso al sogno dello zar Alessandro di restaurare la Polonia; propose la spartizione della Danimarca e l'annessione dell'Olanda all'Inghilterra appoggiò le pretese del Hardenberg su Metz e Saarlouis.
La sua illusione di poter instaurare le libertà costituzionali in Germania, pur nella forma attenuata e quasi medievale che egli progettava, con l'aiuto delle corti di Austria, Prussia e Russia, si spiega soltanto con la passione degli anni della lotta antinapoleonica, col suo odio verso la Francia, l'"eterno, instancabile, distruttivo nemico dei tedeschi". La sua importanza consiste appunto nell'avere creato in Germania un liberalismo nazionale, antidemocratico e antifrancese, che raccoglieva in sé elementi del torismo inglese, vecchie tradizioni indigene e motivi romantici.
Bibl.: Memoriali e lettere dello St., oltre ad altri documenti, sono pubblicati in appendice ai 6 volumi della biografia di G. H. Pertz, Das leben d. Ministers F. vom St., Berlino 1849-55. Gli atti della sua opera di riformatore sono stati pubblicati da G. Winter, Die Reorganisation d. preuss. Staats unter St. u. Hardenberg, I, Lipsia 1931. V. inoltre: E. M. Arndt, Meine Wanderungen u. Wandlungen mit d. Reichscritter v. St., Berlino 1858; J. R. Seeley, Life and times of St., voll. 3, Cambridge 1878; W. A. Schmidt, Geschichte d. deutschen Verfassungsfrage während d. Befrieungskriege u. d. Wiener Kongresses, Stoccarda 1890; M. Lehmann, F. v. St., voll. 3, Lipsia 1902-05; F. Meinecke, Weltbürgertum u. Nationalstaat, 6ª ed., Monaco 1922; F. Schnabel, F. v. St., Lipsia 1931; G. Ritter, St. polit. Biographie, voll. 2, Stoccarda 1931.