Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Heinrich Heine domina il panorama letterario tedesco postromantico e fonde nella sua multiforme ispirazione la tradizione popolare, la stagione "aurea" appena conclusa e i fermenti della modernità: lirico finissimo, poeta satirico mordace, tribuno politico, saggista brillante, polemista durissimo, intellettuale impegnato e libero, Heine è fra gli scrittori tedeschi più letti fuori dai confini nazionali; la vicenda della sua ricezione in Germania costituisce per certi aspetti un suo secondo esilio e rispecchia le storture e le divisioni della storia tedesca.
"Primo uomo del secolo"
La nascita di Heinrich Heine, erede e assieme superatore di quella stagione classico-romantica che egli stesso definisce, con fortunata formula, Kunstperiode ("periodo artistico"), avviene a Düsseldorf il 13 dicembre 1797 – contro le affermazioni di Heine medesimo, che scrive qui di essere del 1799, là del 1800, con la compiaciuta chiosa autodefinitoria di "primo uomo del secolo". Il primogenito di Samson e Betty Heine, ebrei assimilati, si chiama Harry e assume ufficialmente i tre nomi Christian Johann Heinrich dopo il battesimo protestante che, nel 1825, il giurista, fresco di studi, spera significhi "il biglietto d’ingresso nella cultura europea". Non è certamente grazie a tale adesione alla chiesa evangelica che Heine entra nel ristretto novero di scrittori postgoethiani molto letti, molto tradotti e molto amati (e ascoltati) fuori dai confini tedeschi – in certi periodi più che in "patria" – bensì grazie al fascino dei suoi versi, musicati da vari compositori, allo spirito della sua prosa, alle scintillanti ironie del suo gesto retorico: un’ispirazione multiforme (secondo i più diseguale) che modula con levità dal sentimentale al giocoso, dal satirico al disperato, dal corrusco al diafano. Le origini ebraiche, i duri attacchi al trono e all’altare, il tono polemico spesso sfrenato, le ondivaghe simpatie politiche gli costano non pochi problemi, da vivo, e una disomogenea fortuna postuma, spesso polarizzata, certamente ricchissima ma forse mai giunta a una vera, definitiva classicizzazione.
Studi, incontri, liriche e viaggi: Heine prima dell’esilio
Heinrich Heine
I granatieri
Il libro dei canti
Tornavano in Francia i due granatieri,
dei Russi già prigionieri.
Nel campo tedesco appena arrivati,
chinarono il capo accasciati.
Là udirono entrambi la cruda novella:
La Francia ha perduta la guerra!
Battuta è un’armata di tanto valore...
E preso l’imperatore!
I due granatieri, colpiti da tanto
annuncio, proruppero in pianto.
E l’uno diceva: L’antica ferita
mi brucia! Mi è peso la vita!
E l’altro: La bella canzone è finita!
Anch’io più non curo la vita.
Ma moglie e figliolo in patria ho lasciati,
s’io manco son rovinati.
Che importa la moglie, il figlio che importa,
mendichino il pane a ogni porta;
nel petto una brama io nutro migliore...
Han preso il mio imperatore!
Tu questa preghiera mi devi esaudire:
S’io dunque dovessi morire,
fratello, il mio corpo con te porta in Francia,
sia sepolto in terra di Francia.
Col suo rosso nastro, la croce d’onore
mi devi posare sul cuore;
in mano il fucile mi devi adattare,
e al fianco la spada legare.
E come una scolta all’erta in ascolto,
così voglio stare sepolto,
fin quando il cannone io senta tuonare
e nitrendo i cavalli trottare.
E quando cavalchi il mio imperatore,
tra lampi di spade e fragori,
là sulla mia tomba io balzerò fuori...
per difendere il mio imperatore.
Heinrich Heine, Il libro dei canti, trad. it. di A. Vago, Torino, Einaudi, 1983
Heinrich Heine
Non so che cosa vuol dire...
Il libro dei canti
Non so che cosa vuol dire
che il cuor così triste si sente;
d’antichi tempi una favola
non vuole uscirmi di mente.
È fresca l’aria ed imbruna,
tranquillo scorre il Reno;
la vetta del monte risplende
nel sol che tramonta sereno.
Bellissima una fanciulla
siede là in alto; scintilla
il vezzo suo d’oro, la chioma
sua d’oro disciolta sfavilla.
Con pettine d’oro la pettina
E insieme modula un canto,
che è pieno di forza segreta,
che è pieno di magico incanto.
In piccola barca il nocchiero
è preso da fiero tormento;
gli scogli del fondo non vede
là in alto a guardar solo intento.
Io credo che l’onde alla fine
inghiottano barca e nocchiero;
e la Loreley questo fece
col canto suo lusinghiero.
Heinrich Heine, Il libro dei canti, trad. it. di A. Vago, Torino, Einaudi, 1983
Heinrich Heine
Presso il mare, il deserto notturno...
Il libro dei canti
Presso il mare, il deserto notturno
mare, sta un uomo fanciullo,
colmo il petto di melanconia
e di dubbio il cervello,e con voce
tenebrosa egli interroga l’onde:
“Oh scioglietemi dunque l’enigma,
l’antico tormentoso
enigma della vita,
su cui già tante teste almanaccarono,
teste cinte di mitrie istoriate,
teste in turbante o in tocco,
teste in parrucca, e mille e mille teste
povere teste umane affaticate...
Ditemi, dunque, voi, che cosa è l’uomo?
Donde viene? ove tende?
Chi abita lassù le stelle d’oro?”
L’eterno mormorio mormoran l’onde,
il vento soffia,e fuggono le nuvole,
indifferenti brillano le stelle,
e un pazzo è là che aspetta la risposta.
Heinrich Heine, Il libro dei canti, trad. it. di A. Vago, Torino, Einaudi, 1983
Heinrich Heine
I tessitori slesiani
I tessitori slesiani
Non han ne gli sbarrati occhi una lacrima,
Ma digrignano i denti e a’ telai stanno.
“Tessiam, Germania, il tuo lenzuolo funebre,
E tre maledizion l’ordito fanno –
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetto il buon Dio! Noi lo pregammo
Ne le misere fami, a i freddi inverni:
Lo pregammo, e sperammo, ed aspettammo:
Egli, il buon Dio, ci saziò di scherni.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
E maledetto il re! de i gentiluomini,
De i ricchi il re, che viscere non ha:
Ei ci ha spremuto infin l’ultimo picciolo,
Or come cani mitragliar ci fa.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetta la patria, ove alta solo
Cresce l’infamia e l’abominazione!
Ovo ogni gentil fiore è pesto al suolo,
E i vermi ingrassa la corruzione.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Vola la spola ed il telaio scricchiola,
Noi tessiamo affannosi e notte e dì:
Tessiam, vecchia Germania, il lenzuol funebre
Tuo, che di tre maledizion s’ordì.
Tessiam, tessiam, tessiamo!”
in Giosué Carducci, Nuove poesie, trad. it. di G. Carducci, Parrna, Galeati, 1873
La Düsseldorf in cui Heine vive l’infanzia e la giovinezza è un vivace centro della Renania sotto l’influsso francese. Indelebile nella memoria del poeta rimane la visione di Napoleone che attraversa la città a cavallo nel 1813: agli occhi del quindicenne un uomo del destino, nell’ottavo capitolo di Ideen. Das Buch Le Grand 1826 (Idee. Il libro le Grand 1826) mitizzato a personificazione dell’Idea. Il culto napoleonico viene presto ridimensionato (si veda la Reise von München nach Genua, Viaggio da Monaco a Genova, 1828); inattaccabile rimarrà l’amore di Heine per la Francia, nella quale trascorre un quarto di secolo di esilio, dal 1831 alla morte. Accusato dai nazionalisti di varie epoche ed estrazioni di un filofrancesismo che significherebbe antipatriottismo, Heine sigilla splendidamente il proprio profondo amore per la Germania esattamente nella lucidità con cui, guardandola dalla luminosità parigina, ne può criticare la misera condizione: così, ad esempio, nella premessa a Deutschland. Ein Wintermärchen (Germania. Una fiaba d’inverno, epos in versi del 1844), in cui ai "farisei della nazionalità" e ai "lacché in livrea nero-rosso-oro" risponde che è "amico dei francesi", perché lo è di tutti coloro che sono ragionevoli e buoni, rivendica a sé, "del libero Reno ancor più libero figlio", il diritto di perseguire il suo patriottismo, che consiste nell’intravvedere la "missione e l’universale signoria tedesca" in una rivoluzione artistica, culturale e sociale, non certo nelle rivendicazioni territoriali.
Certo nessuno può accusare Heine, nel decennio che intercorre fra l’uscita del primo volume di Poesie (Gedichte, 1822, recte 1821) e la partenza per Parigi, il 1° maggio 1831, di non avere dato fondo al proprio talento poetico e alla propria vena saggistico-narrativa per imprimere una svolta decisiva alle lettere nazionali. Abbandonata presto l’attività bancaria e commerciale a cui lo spinge la famiglia, Heine studia diritto a Bonn, Göttingen e, per il periodo più lungo, a Berlino, prima di tornare a Göttingen, dove si laurea nel 1825. Il giovane ha già pubblicato alcune poesie in riviste prima di immatricolarsi e il suo accidentato percorso universitario gli regala incontri determinanti: August Wilhelm Schlegel all’ateneo di Bonn e, in anni decisivi a Berlino, il salotto di Rahel Levin e le bettole della capitale prussiana (in entrambi i contesti ha contatti con esponenti del secondo e tardo romanticismo). Più dei vari amori che di qui in avanti costellano la sua biografia – precipuo interesse della critica ottocentesca – spicca nei primi anni Venti il maturare dello Heine lirico: nel 1823, dopo la già citata prima raccolta, è la volta di Tragödien nebst einem lyrischen Intermezzo (Tragedie, più un intermezzo lirico), dove i due unici tentativi tragici heiniani, Almansor e William Ratcliff, intrisi di romanticismo, sfigurano oggi di fronte alla bellezza dell’Intermezzo. Esso va a formare la seconda parte del Buch der Lieder, quel Libro dei canti che, nel 1827, raccoglie i versi pubblicati nei dieci anni precedenti e determina il grande successo di Heine, dentro e fuori la Germania. Alcune delle più celebri poesie di Heine sono qui riunite in cicli sostanzialmente cronologici: ai Giovani dolori (qui I granatieri) segue appunto l’Intermezzo lirico, quindi le tre porzioni di Il ritorno (qui Non so che cosa vuol dire), Dal viaggio nello Harz e Il Mare del Nord (qui Domande) che già erano in gran numero comparse nell’altro grande exploit giovanile del poeta: le prime due parti dei Reisebilder (Die Harzreise, Il viaggio nello Harz 1826; Die Nordsee. 1826. Dritte Abteilung, Il Mare del Nord. 1826. Terza sezione, e il già citato Ideen, 1827).
Da un’unica congerie nascono dunque, in sostanza, quello Heine lirico che solo a uno sguardo ingenuo appare ancora romantico (lo notava il nostro Carducci, grande estimatore e traduttore di Heine), estraendo egli, al contrario, proprio da un serrato lavoro sugli stilemi e sulle costellazioni tematiche, sulla vena popolare e sul gioco sentimentale del "periodo artistico" tutto un nuovo linguaggio poetico, e quello Heine narratore di viaggio che già contiene il saggista, il polemista, il giornalista degli anni parigini – anche in questo caso Heine innesta sul genere odeporico fiorito nella Goethezeit la vena moderna della propria consapevole alterità estetica e culturale. Successive raccolte liriche attendono quasi un ventennio. Altri Reisebilder vedono invece la luce nella manciata di anni che segue e sono esito soprattutto del viaggio in Italia del 1828. I Briefe aus Berlin (Lettere da Berlino) risalgono infatti agli anni di studio e vengono rielaborati per la pubblicazione nel 1827, mentre la terza e la quarta parte (1830), accanto agli Englische Fragmente (Frammenti inglesi), accolgono il già citato Viaggio da Monaco a Genova , uno fra i capitoli più godibili della raccolta, nonché Die Bäder von Lucca (I bagni di Lucca) e Die Stadt Lucca (La città di Lucca) – sezioni invece deboli, a parere di molti, e generalmente ricordate per l’aspra polemica qui condotta contro August von Platen. Le bassezze heiniane, che rispondono al fiele antisemita di Platen, ridicolizzandolo per le sue tendenze omosessuali, denunciano una lotta tra paria, come ebbe a scrivere Hans Mayer, che indebolisce la posizione di entrambi i poeti, quasi coetanei. Platen ha già a quella data scelto di vivere in Italia, dove morirà presto; Heine resiste ancora poco in Germania.
Prospettive francesi. Gli anni prequarantotteschi
Nell’esilio francese Heine si dedica in primo luogo a quel saggismo giornalistico e storico-critico che contribuisce a farne il prototipo dell’intellettuale moderno. Dai testi scritti nel 1831-1832 quale corrispondente di un giornale tedesco nascono i Französische Zustände (Rendiconto parigino), raccolti in libro nel 1833; secondo lo stesso procedimento nascerà Lutetia, volume del 1854 che rielabora testi del 1840-1843. Al resoconto sulla Francia per i lettori tedeschi si affianca la riflessione, pure saggistica, sulla cultura nazionale: di qui Die romantische Schule (La scuola romantica, 1833 e, in forma e con titolo definitivo, 1836) e Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland (Per la storia della religione e della filosofia in Germania, prima in francese, nel 1834, poi in tedesco 1835), mirabili esempi di plasticità e limpidezza rappresentativa, disinvoltura critica e personalissima, gustosamente tendenziosa ricostruzione storica. Sono complessivamente anni, quelli parigini fino al 1848, che vedono Heine protagonista della vita culturale, dei fervori artistici e dei fermenti politici di Francia – prima con un avvicinamento al saintsimonismo, poi negli stretti rapporti di reciproca stima e amicizia con l’altro esule ebreo tedesco, Karl Marx, – e con sensibilissime antenne per quanto accade oltre Reno. Traccia di questa molteplicità di spunti è una produzione multiforme e, in effetti, non sempre ispirata.
In parte già schizzate in Germania, maturano le prose frammentarie ed eterogenee che escono in gran parte nei diversi volumi della miscellanea Der Salon (Il salotto): siano qui citati, nel primo (1834), la narrazione picaresca di Aus den Memoiren des Herren von Schnabelepowski (Dalle memorie del signor von Schnabelepowski), nel terzo (1837) le Florentinische Nächte (Notti fiorentine) e gli Elementargeister (Spiriti elementari), nel quarto (1840), il frammento di romanzo di argomento storico Der Rabbi von Bacharach (Il rabbino di Bacharach); ancora, fra queste prove diseguali andranno ricordati Die Götter im Exil (Gli dei in esilio, in francese già nel 1835) e infine i "poemi danzanti", Die Göttin Diana (La dea Diana) e Doktor Faust, che saranno scritti e raccolti negli ultimi anni di vita.
Si sviluppa in parallelo anche una seconda fase lirica che, a parte le pubblicazioni singole, sarà testimoniata nella raccolta Neue Gedichte (Nuove poesie, 1844). Uscita nel momento di massima politicizzazione della scrittura heiniana, essa recupera al suo interno anche gli effetti delle precedenti reazioni tedesche al suo impegno, fra cui l’accostamento, da parte delle autorità, agli esponenti del cosiddetto Junges Deutschland (1835), anche a quel Ludwig Börne, che lo aveva attaccato (sulla risposta heiniana si veda il memoriale polemico omonimo pubblicato nel 1839). Fra le sezioni delle Nuove poesie si tende a preferire alle prime (Neuer Frühling, "Nuova primavera", e Verschiedene, "Donne diverse"), le ultime, ricche di sonorità che frutteranno nelle generazioni successive e poi fin giù a Brecht e alla lirica del secondo Novecento. In particolare spiccano le Romanzen (Romanze) , con ballate quali Bertrand de Born o König Harald Harfagar ("Re Aroldo Bellachioma"), che rinnovano il sapore dell’omonima sezione dei Giovani dolori, e gli Zeitgedichte ("Poesie d’attualità"), che si chiudono con i famosi Nachtgedanken ("Pensieri notturni") e accoglieranno in successive edizioni anche Die schlesischen Weber ("I tessitori slesiani"), la più celebre poesia socio-politica di Heine in assoluto. In quello stesso volume del 1844 Heine dà alle stampe anche il già citato epos in versi Germania. Una fiaba d’inverno, che, assieme al coevo e consimile Atta Troll. Ein Sommernachtstraum (Atta Troll. Sogno d’una notte d’estate, 1843), canta fra denuncia e disincanto il paese natale, immobile e incancrenito, che Heine è tornato a visitare in due recenti viaggi – la ferita-Germania rimane sempre aperta.
Dalla "cripta di materassi": l’ultimo Heine
I primi segni di una paralisi, alle dita, si manifestano nel 1833; negli anni successivi disturbi e dolori si acutizzano. La patologia, oggi ricostruita come tabe dorsale, porta Heine a essere immobilizzato per sempre a letto proprio nell’anno chiave 1848: nella Matratzengruft ( Cripta di materassi) rimane lucido e produttivo fino alla morte, il 17 febbraio 1856, al di là dell’uso di oppiacei che alleviano spaventose sofferenze. Accanto alla conclusione, sistemazione e raccolta di testi precedenti e alla stesura, mai completata, delle Memoiren (Memorie) e di altri testi autobiografici, a dominare l’ultima fase della scrittura di Heine è la raccolta di liriche Romanzero, pubblicata nel 1851. Dal medesimo contesto tardo si originano altre poesie (Gedichte 1853 und 1854 e altre pubblicate postume). Il Romanzero richiama nel titolo quella tonalità lirica unitaria che ne caratterizza le sezioni, intitolate Historien (Poesie storiche), Lamentationen (Lamenti) e Hebräische Melodien (Melodie ebraiche): il poeta, gravemente malato, sorprende molti suoi lettori per l’energica virata che imprime alla propria scrittura lirica, qui in difficile equilibrismo fra la causticità di sempre e un crescente pessimismo, non solo legato alla propria condizione esistenziale; nella postfazione, poi, il poeta dichiara il proprio riavvicinamento a una forma personale di religiosità – non senza aver chiuso il Romanzero con Disputation, un poetica Disputa fra rabbini e frati, che sfuma nel segno del più irriverente, più heiniano anticlericalismo.