MEYRING, Heinrich
MEYRING (Merengo), Heinrich (Enrico). – Proveniente da una famiglia di scultori, probabilmente figlio di Heinrich il Vecchio e di Stine Beckering, nacque a Rheine in Vestfalia. L’anno di nascita del M. potrebbe collocarsi intorno al 1638-39, come si evince dalla sostanziale concordanza di alcuni documenti: un elenco di maestri intagliatori veneziani del 1672, in cui compare con il nome di «Endricho fiamengo di Ani 34» (Wolff, p. 125); uno di lavoranti nell’arte dei tagliapietra, risalente al 1690, in cui risulta un «Andrich Meringo di anni 52»; e l’atto di morte del 1723 in cui viene chiamato «Erico Mair scultor, d’anni 84 in circa» (Vio, p. 207).
Recenti ipotesi basate su fonti d’archivio tenderebbero invece a identificare il M. con un Heinrich Meyring nato nel 1628 e battezzato con lo stesso nome del padre, consegnando così alla storiografia una figura di inconsueta longevità (Breuing); secondo Wolff questa identità dovrebbe riferirsi più verosimilmente al primogenito di Heinrich Meyring il Vecchio, morto in giovane età. Un’altra fonte d’archivio veneziana cita invece un «Andriche Meirengo» che risulta avere 66 anni nel 1711 (Wolff, p. 122; in tal caso l’anno di nascita sarebbe il 1645).
Il trasferimento del M. a Venezia, avvenuto prima del 1672, diede origine a numerosi tentativi di italianizzazione del nome oltre che ad alcuni fraintendimenti circa le sue origini.
Egli risulta citato nella documentazione coeva e posteriore con numerose varianti onomastiche (Hendrich, Andric, Arrigo, Enrico, Henrico, Einrich; Megring, Mavierinch, Meyrinch, Meyringo ecc.) e a volte viene ritenuto di origine fiamminga (Temanza) o austriaca. Il nucleo familiare di origine del M. comprendeva anche la sorella Alheid, nata nel 1630, e il fratello Bernd, nato l’anno successivo, che succedette al padre nella conduzione dell’avviata bottega di scultura a Rheine (Breuing). Si conoscono diverse opere di Heinrich Meyring il Vecchio e del figlio Bernd: mentre il primo si dimostra artista ispirato da principî di equilibrio formale nell’accostamento di partizioni architettoniche e plastiche, le opere scultoree di Bernd risultano meno convincenti dal punto di vista proporzionale e sostanzialmente più deboli (Wolff).
La formazione del M. dovette avvenire quindi, con buona probabilità, nell’ambito della bottega paterna ma, allo stato attuale, non è possibile precisare modalità e cronologia del suo tirocinio prima del trasferimento a Venezia. La concomitanza di alcune circostanze e una certa prossimità stilistica rendono invece piuttosto convincente l’ipotesi di un rapporto veneziano fra il M. e lo scultore fiammingo J. Le Court.
Secondo alcune fonti infatti il M. intervenne nei lavori per l’altare maggiore (perduto) della chiesa delle Vergini a Venezia, lasciato incompiuto da Le Court alla sua morte nel 1679. Inoltre il M. alloggiava nella parrocchia di S. Felice (Vio), dove il fiammingo aveva la sua bottega e, sul piano stilistico, gli esordi italiani del M., per unanime e consolidata tradizione critica, risentirebbero profondamente dell’influsso lecourtiano.
Tra le prime opere documentate del M., l’Angelo per l’altare di S. Giuliano nella basilica di S. Giustina a Padova (commissionato nel 1680) costituisce un importante parametro stilistico; sulle stesse basi sarebbero attribuibili al M. anche i rilievi dell’altare della Presentazione della Vergine in S. Maria della Salute a Venezia, eseguiti intorno al 1674 (Rossi, 2006). Il catalogo del M. si fa densissimo a partire dall’ottavo decennio – segno di un già consolidato prestigio e dell’incremento delle opportunità di mercato a seguito della morte di B. Longhena nel 1682 (Semenzato, 1966) – risultando tuttora in corso di assestamento critico.
Sono di mano del M. il S. Matteo della chiesa di S. Nicolò del Lido (del 1680, firmato «Henrico Meyringo») e probabilmente anche il S. Luca e la Madonna col Bambino nella stessa chiesa (Rossi, 1993; Bacchi); negli stessi anni il M. sarebbe stato attivo nella decorazione delle facciate di S. Maria del Giglio (ritratti di componenti della famiglia Barbaro, in collaborazione con l’architetto A. Tremignon) e di S. Moisè (1683-85), per la quale avrebbe realizzato negli anni successivi anche l’altare maggiore con Mosè che riceve le tavole della Legge, l’Adorazione del vitello d’oro e i Busti dei donatori. Ascrivibili agli stessi anni sarebbero inoltre diverse altre opere in S. Giustina a Padova e, secondo Breuing, due Angeli e il S. Pietro e il S. Paolo del duomo di Faenza. Ancora informato a un gusto lecourtiano è il S. Matteo della parrocchiale di Barcola (firmato «Henrico Meringo»), del 1684 (Rossi, 1993; 2006); mentre in collaborazione con lo scultore trevigiano G. Comin il M. lavorò per l’oratorio della Madonna della Pace, adiacente ai Ss. Giovanni e Paolo a Venezia (Bacchi), per l’altare maggiore di S. Giovanni in Bragora (S. Giovanni Evangelista e S. Giovanni Elemosinario) e per quello di S. Maria del Giglio (Angelo annunciante e Annunciata). Alla morte di Comin e a riprova di una fama che superava i confini dello spazio cittadino, il M. fu incaricato nel 1695 di portare a termine l’altare della cappella del Monte di Pietà a Udine con il gruppo della Pietà, firmato, di ispirazione michelangiolesca (Coliva). Nel 1689 scolpì il Monumento a Otto Wilhelm von Königsmark all’Arsenale di Venezia (Rossi, Ritratti funebri…, 1994). Nei primi anni Novanta il M. aveva già realizzato, fra l’altro, quattro Evangelisti per la chiesa della Pietà a Venezia (oggi nella chiesa arcipretale di Mestre), la statua della Giustizia (firmata, sulla porta dell’Arsenale: Breuing; Bacchi) e, soprattutto, l’importante complesso scultoreo per la chiesa veneziana di S. Silvestro (la Carità, la Fede, S. Pietro, S. Paolo e la Pietà), trasportato nel 1839 nella parrocchiale di S. Stefano a Nimis (Udine). Se fino a quel momento l’opera del M. era stata improntata a un robusto plasticismo e a una decisa solidità costruttiva, con le statue di Nimis sembra potersi ravvisare una svolta stilistica segnata dalla ricerca di un modellato più tenue ed equilibrato e da una maggiore ricchezza di dettaglio (Wolff; Semenzato, 1966). Documentate agli anni Novanta sono anche la Madonna del Rosario in S. Maria del Colle a Bassano del Grappa, l’esecuzione della Fede con Putti musicanti in S. Cassiano a Venezia (Wolff; Rossi, La decorazione scultorea…, 1994) e l’Estasi di s. Teresa in S. Maria degli Scalzi, commissionata nel 1699. Dalla documentazione risulta che un nipote del M. – Johann Meyring, figlio maggiore del fratello Bernd – era presente a Venezia nel 1694 (effettuò una consegna per conto dello zio); nel 1711 era iscritto all’arte dei tagliapietra, lavorava probabilmente nella bottega del M. (presso la quale si formò anche Alvise Tagliapietra) e morì nel 1719 a San Felice a circa 63 anni (Wolff; Vio).
L’attività del M. proseguì con pari intensità anche dopo il volgere del secolo, con un linguaggio personale ormai affrancato dalla grammatica lecourtiana: in tal senso il S. Andrea nella chiesa di S. Andrea della Zirada a Venezia, fra i primi numeri del catalogo settecentesco del M., costituisce una riuscita sintesi di scioltezza ed equilibrio (Guerriero).
Collocabili in questa fase sono anche la Madonna e il S. Giovanni Evangelista in S. Bartolomeo, l’Angelo custode dell’omonima scuola veneziana (Bacchi), il S. Pietro ai Ss. Apostoli del 1703, il S. Pietro e il S. Paolo della parrocchiale di Agna e le più tardive serie di statue da giardino di soggetto profano, alcune firmate, oggi ubicate nel giardino d’estate di San Pietroburgo e nel Padovano: presso villa Barbarigo a Valsanzibio (Semenzato, 1975), all’ingresso di villa Nave a Cittadella (de Grassi) e in villa Zaguri ad Altichiero.
Secondo il suo testamento, dettato il 6 febbr. 1723, il M. trascorse gli ultimi anni della sua vita ospitato in casa Westenappel, commercianti olandesi già suoi committenti, nella parrocchia di S. Canciano. Il M. nominò eredi universali G. Lohoech e B. Cloeting che si occuparono materialmente della sua assistenza.
Vio ipotizza che dopo la morte del M., avvenuta l’11 febbr. 1723 a Venezia, egli venisse sepolto insieme con Adrian von Westenappel nella chiesa di S. Canciano a Venezia.
Fonti e Bibl.: T. Temanza, Zibaldon (1738), a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, pp. 27-29, 43; V. Moschini, Sculture ignote di Enrico M. e di Giacomo Piazzetta, in Arte veneta, XVIII (1964), pp. 182 s.; Id., Di un progetto del M. e d’altro ancora, ibid., XIX (1965), pp. 171-173; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 27-29, 91 s.; Id., Una proposta per il giardino di Valsanzibio, in Arte veneta, XXIX (1975), pp. 219-223; P. Rossi, La Scuola Grande di S. Rocco committente di artisti (Antonio Smeraldi, Enrico Merengo, Antonio Molinari, Giovanni Antonio Fumiani, Ambrogio Bon, Santo Piatti), ibid., XXXIX (1985), pp. 194-203; G. Vio, Precisazioni sull’altare maggiore nella chiesa del Redentore a Venezia e su Tommaso Rues (e un cenno sul Merengo), ibid., pp. 204-208; P. Rossi, Nota per la datazione delle sculture di Enrico Merengo e Giovanni Comin dell’altare di Barcola, in Venezia arti, IV (1990), pp. 200 s.; Id., Per il catalogo di Enrico Merengo, in Arte documento, 1993, n. 7, pp. 95-99; Id., La decorazione scultorea dell’altare maggiore della chiesa di S. Cassiano, in Arte veneta, XLVI (1994), pp. 38-47; Id., Ritratti funebri e commemorativi di Enrico Merengo, in Venezia arti, VIII (1994), pp. 47-56; S. Guerriero, Episodi di scultura veneziana tra Sei e Settecento a S. Andrea della Zirada: nuovi contributi per Enrico Merengo, in Arte veneta, XLIX (1996), pp. 59-66; R. Breuing, Enrico M., 1628-1723. Ein Bildhauer aus Westfalen in Venedig, Stadt Rheine 1997; S. Androsov, Pietro il Grande collezionista d’arte veneta, Venezia 1999, pp. 144-146, 239 s.; M. De Grassi, Opere di Enrico M. nel Padovano, in Bollettino del Museo civico di Padova, LXXXIX (2000), pp. 85-92; S. Wolff, Nuovi contributi su H. M., in Saggi e memorie di storia dell’arte, 2000, n. 24, pp. 115-157; La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi, Milano 2000, pp. 760-762; V. Zajec, Due angeli a Rovigno. Un’opera di Enrico Merengo?, in Venezia arti, XV-XVI (2001-02), pp. 197-200; M. De Vincenti, Bozzetti e modelli del «Bernini adriatico» Giusto Le Court e del suo «miglior allievo» Enrico Merengo, in Arte veneta, LXII (2005), pp. 55-81; Per un atlante della statuaria veneta da giardino, I, a cura di M. De Vincenti - S. Guerriero, ibid., pp. 220-249; Le collezioni d’arte della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, della Cassa di risparmio di Venezia e di Friulcassa, a cura di A. Coliva, Milano 2006, pp. 246 s., 303, 309; P. Rossi, Enrico Merengo: l’attività veneziana, in Arte veneta, LXIII (2006), pp. 26-47; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 411.
A. De Lillo