Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Heinrich Schütz è giustamente considerato il più importante musicista tedesco prima di Bach e la sua opera si pone al livello più alto in tutto il panorama musicale del Seicento. La sua figura è stata anche posta accanto a quella di Claudio Monteverdi nella più compiuta rappresentazione dei valori e dei sentimenti del Seicento musicale.
Schütz tra l’Italia e la corte di Dresda
“Attraverso gli esempi offerti dalle sue composizioni e il suo insegnamento, Schütz ebbe un ruolo fondamentale per lo stabilirsi di quella tradizione di alto artigianato unito a una solida profondità intellettuale che sarà poi il segno della musica tedesca per due secoli e mezzo dopo la sua morte” (J. Rifkin).
Nato a Köstritz, in Turingia, nel 1585, e morto a Dresda nel 1672, Schütz riceve la sua prima formazione in Germania, ma a 24 anni arriva in Italia, mandato dal langravio Maurizio d’Assia, anche lui buon compositore (che già aveva provveduto alla sua educazione a Kassel), per studiare con Giovanni Gabrieli, a Venezia.
L’incontro con l’Italia e la musica italiana è determinante nel comporre la personalità non soltanto musicale di Schütz e nella più generale formazione della sua profonda coscienza umanistica.
Schütz alla corte di Dresda
Rientrato in Germania nel 1613, compie studi giuridici a Lipsia ed entra quindi, quale organista, al servizio della corte di Dresda (la più importante, politicamente e soprattutto culturalmente, fra le corti evangeliche in Germania).
I grandi travagli che percorrono e scuotono la Germania nel Seicento (e, in primo luogo, la guerra dei Trent’anni) contribuiscono certo a rafforzare la vocazione di Schütz per una visione profondamente religiosa della vita, nell’ambito del fervore morale dell’insegnamento di Lutero.
Tuttavia, l’adesione alla Riforma protestante e ai suoi ideali radicali, che in altri musicisti del tempo conduce a scelte di un rigore rivolto in se stesso e, quasi inevitabilmente, a una restrizione dell’espansione creativa e a un ripiegamento espressivo intenso ma provinciale, non impediscono a Schütz di esprimere limpidi valori spirituali umanistici di derivazione italiana, animati quindi da un culto sincero per gli antichi, o, meglio, per l’idea umanistica degli antichi. A queste scelte contribuisce certo, accanto al rapporto con l’Italia, la sua estesa cultura letteraria egiuridica, non frequente fra i musicisti del suo tempo.
È giusto ricordare anche che Schütz, pur accettando le regole della sua condizione di Maestro di Cappella (Kappelmeister; cioè di responsabile dei servizi musicali, sia religiosi che civili, della corte) e rispettando per profonda convinzione il principio luterano dell’autorità, manifesterà sempre una forte coscienza sociale, non frequente fra i dipendenti delle corti al suo tempo. In più occasioni difende i diritti dei membri del suo coro, in nome di ragioni non soltanto pratiche, ma anche umane, fino a scontrarsi con le autorità.
In Schütz si realizza una sintesi musicale che, ponendosi quale base della musica tedesca, raccoglie la pratica luterana, l’estrema polifonia fiamminga e l’insegnamento italiano, attraverso i musicisti italiani, in primo luogo i Gabrieli e Monteverdi.
La produzione musicale e la riscoperta ottocentesca
Ciò che colpisce scorrendo l’estesissima produzione di Schütz, per lo più realizzata alla corte di Dresda, è l’impegno di sperimentazione che la anima, in una ricerca quasi mistica di tutte le possibili esperienze musicali del suo tempo e anche del passato.
Questa ricerca non si risolve però in un superficiale eclettismo, ma piuttosto in una continua e rinnovata sintesi, in risultati musicali che vedono emergere, pur nella fedeltà alle regole del contrappunto ancora rigorosamente applicate, una coscienza della parola e della ricerca sulla parola che in più d’un momento sembra ricordarci l’innovatore Monteverdi e che sono anche conseguenza della sua dedizione (con molte trasgressioni) ai modelli dei due Gabrieli e di Orlando di Lasso.
Si deve tuttavia notare come, nel procedere degli anni, Schütz sia passato dal forte “modernismo” delle sue prime opere, composte nel periodo veneziano di studio con Giovanni Gabrieli e subito dopo, a uno stile più severo e relativamente “conservatore”.
Questo passaggio si rileva anche nella scelta dei testi. Se nel primo periodo predominano testi che (come i Salmi e il Cantico dei cantici) possono suggerire, con la loro forte carica di ambiguità poetica, stimoli di soggettiva interpretazione e si aprono anche a visioni liriche e umanamente sentimentali, nel secondo vengono in primo piano testi dal Nuovo Testamento che si sottraggono a questa interpretazione.
Soltanto in poche composizioni Schütz usa il latino. Nella stragrande maggioranza dei casi, la lingua impiegata è il tedesco. Questa scelta (certo legata alle regole della Riforma protestante) ha condizionato in modo determinante il suo stile musicale. Attraverso la capacità di Schütz di manifestare in musica il senso delle parole tedesche, rispettandone gli specifici accenti, e di offrire nel canto l’esaltazione dei significati comunicativi, si realizza il fine di Lutero di affermare il tedesco come lingua letteraria e liturgica e si realizza pienamente il concetto protestante (ma anche umanistico) della musica poetica. La maggior parte della vasta produzione musicale di Schütz è religiosa, o spirituale, con spiccata preferenza per i testi biblici e del tutto assente è la musica strumentale (compresa quella per organo, che pure è il suo strumento). Pochissime, tuttavia, sono le composizioni propriamente liturgiche e gli inni protestanti. Gli storici della musica hanno più volte discusso su quale fosse la collocazione delle composizioni di Schütz nelle celebrazioni liturgiche, in quanto nessuna di esse porta indicazione de tempore, cioè dell’occasione alla quale era specificamente destinata nel calendario liturgico. L’opinione prevalente è che Schütz componesse soprattutto per la devozione domestica della corte e che le opere di grande respiro avessero non già una funzione liturgica, ma piuttosto un significato “religioso-politico”.
Pur nel quadro di una produzione quasi esclusivamente spirituale è significativo, dell’impegno di Schütz nella ricerca musicale, il fatto che a lui si debba (oltre un giovanile libro di madrigali, scritti sotto la guida di Giovanni Gabrieli, pubblicati a Venezia nel 1611, e alcune canzoni) anche un’opera in musica, rappresentata a Dresda nel 1627. Musica, infatti (ma il lavoro è perduto), la traduzione tedesca della Dafne di OttavioRinuccini, libretto messo in musica da Jacopo Peri e che rimane nella storia della musica come primo esempio di melodramma (1598).
Nel Settecento la musica di Schütz cade nell’oblio. La “scoperta” di questo musicista si deve a Philipp Spitta che gli dedica attenzione nella sua biografia di Bach (1873-1880). Nel 1885, in occasione del trecentesimo anniversario della morte, ancora Spitta pubblica il primo volume della prima raccolta delle sue opere.
Nell’estesa produzione di Schütz un posto di rilievo (non soltanto per l’apprezzamento della critica, ma anche per la relativa frequenza delle loro esecuzioni, almeno nei Paesi di lingua tedesca) hanno le sei Passioni e Oratori; di questo gruppo di composizioni fanno parte le Sieben Worte Christi, certo la pagina più famosa di Schütz.