HENCHIR el-FAOUAR (Belalis Maior)
Le rovine ad 8 km a NE di Beja segnano il luogo di una piccola città antica che era istallata sulle pendici del Djebel Bourjaa, dominante la vallata dell'oued Berdine. Gli scavi, iniziati nel 1960, hanno permesso di identificare il nome, o piuttosto quello dei suoi abitanti, i Belalitarn Maiores, inciso su una base onoraria dedicata ad Elagabalo.
Gli scavi hanno poi proseguito regolarmente. Dapprima è stato messo in luce il Foro: è una piccola piazza pavimentata, orientata NS, di forma press'a poco rettangolare, ma dai lati disuguali (m 26,60 e m 25,80; m 12 e m 13,80). È circondata da un portico sopraelevato su un gradino, fronteggiato da un canale che raccoglieva le acque piovane della piazza e le acque defluenti dal tetto del portico. Non sussiste più nulla del colonnato, tranne tracce delimitanti un quadrato (cm 60 × 60) sul piano di posa dello stilobate. Queste tracce permettono di misurare l'intercolumnio, che è di m 3,25, cioè 11 piedi romani tra gli assi.
Sui tre lati E, N, O della piazza si aprono diversi vani, di cui alcuni conservano ancora tracce dei pavimenti a mosaico. La loro destinazione non può stabilirsi con sicurezza; tuttavia a somiglianza di altri Fori africani possono considerarsi senza dubbio luoghi pubblici dove si riunivano le associazioni civili o religiose, piccole cappelle consacrate al culto delle divinità. Il più importante di questi è una grande sala basilicale con un'abside semicircolare.
Due vie accedevano al Foro: una, a S, con una porta a due battenti, di cui si conserva la soglia e i fori dei cardini scavati nella pietra, e l'altra ad O; mentre un corridoio di accesso, sopraelevato di un gradino, si apre sul lato N. Sui bordi della piazza sono stati riadoperati nel lastricato i blocchi di una trabeazione di pietra su cui era incisa una iscrizione dedicata agli imperatori Costantino il Grande e Licinio e ai cesari Crispo, Licinio e Costantino figlio; questi permettono di datare fra il 317 e il 324 la costruzione o forse il restauro del portico.
Sono state ritrovate alcune basi onorarie soprattutto nel settore del Foro: oltre a quella dedicata a Elagabalo, ricordiamo quelle dedicate ad Adriano, a Marco Aurelio e una terza a M. Annio Vero, figlio di Marco Aurelio e di Faustina. Due altre basi sono dedicate rispettivamente ad un cavaliere finora sconosciuto, M. Lurius Faustus Caecilianus e a P. Thermestinus Crescens Caecilianus, decurione di Cartagine e flamine perpetuo. Si sono anche trovate, reimpiegate a coprire il canale assiale della strada, che sbocca a S del Foro, cinque stele a Saturno.
Alcune terme di pianta asimmetrica, dotate di latrine pubbliche coperte, sono alimentate da un acquedotto; fiancheggiano a S la piazza del Foro e la facciata è preceduta da una piattaforma che occupa la piazza.
Un altro stabilimento termale è stato messo in luce a S del precedente. Il frigidarium è pavimentato a mosaico con raffigurazione del labirinto e del Minotauro: l'emblema centrale a tessere molto fini, diverse da quelle del labirinto, rappresenta Teseo stante, che brandisce una clava e afferra per un corno il Minotauro, che ha un ginocchio a terra. L'anatomia del corpo di Teseo e il gioco dei muscoli sono espressi molto bene.
A NE del Foro è una basilica cristiana, che comprendeva in origine tre navate e quattro transetti; l'abside, orientata ad O, fu posteriormente racchiusa in una massiccia struttura quadrangolare e fu fiancheggiata a N da una "sagrestia" e a S da una sala battesimale, rimaneggiata più volte. Si aggiunge inoltre davanti all'antica facciata un quinto transetto e una controabside orientale, che ricevette un sarcofago e un'altra sepoltura, assumendo così una funzione funeraria. Questa aggiunta sembra datarsi ad età bizantina. Altre tombe erano raggruppate nella navata settentrionale, soltanto quella del vescovo Restitutus occupava la navata centrale.
In questo stesso settore della citta si è iniziato lo scavo di un edificio pavimentato in gran parte con stele funerarie iscritte reimpiegate. A N un vano quadrato (m 5,50 × 5,45) sopraelevato di due gradini, è pavimentato con un mosaico molto tardo, i cui motivi geometrici policromi sono fiancheggiati da un pannello figurato. Questo rappresenta un bovide assalito da un leone da un lato, dall'altro tre personaggi stanti che tengono in una mano una brocca e con l'altra un flabellum, cioè oggetti che abitualmente contraddistinguono la figura dell'Estate o che sono utilizzati nell'iconografia del mese d'Agosto.
A N della città su uno sperone che domina le vallate vicine, furono allineati quattro edifici fortificati di pianta press'a poco identica: una corte centrale circondata di vani addossati alla cinta esterna. Collegati forse ad un grande bacino-serbatoio, visibile parzialmente sebbene non ancora scavato, servivano senza dubbio di rifugio alla popolazione fino all'epoca dell'invasione hilaniana dell'XI sec. come si deduce dalla ceramica smaltata aghlabita e fatimita.
L'edificio meno conservato ricopre in parte una cella tricora che costituisce l'estremità di una sala oblunga accessibile, a quanto pare, da un ingresso ricavato nel lato opposto alle absidi; ma non si è potuto ancora verificare se questa sala fu aggiunta posteriormente alla tricora. Ad E la cinta più solidamente costruita forma un fortino quadrangolare (m 37 × 26 circa) costruito in blocchi dei quali alcuni ricuperati dai monumenti rovinati della città romana. L'ingresso, compreso in un saliente quadrato, è fiancheggiato da due avancorpi di protezione. Questa piccola fortezza ricopre varî monumenti anteriori; le mura racchiudono soprattutto una basilica cristiana che ha avuto, insieme con il battistero e gli annessi, vari livelli successivi e ha subko molteplici trasformazioni; specialmente l'aggiunta di un'abside orientale davanti alla facciata della chiesa primitiva. Segnaliamo infine fra i numerosi testi epigrafici scoperti, un'iscrizione incisa su un altare che riguarda il culto di Sabazio, raramente attestato esplicitamente in Africa.
Bibl.: Atl. Arch. de la Tun., F0 Béjà, n. 131; Comptes rend. Ac. Inscr., 1961, pp. 382-391; Fasti Arch., XVII, n. 5086; Africa, II, 1968, p. 293-312.