HOOD, Henry
Miniatore attivo in Inghilterra nella seconda metà del sec. 14° al servizio della nobile famiglia Bohun.Frate dell'Ordine degli Eremitani di s. Agostino, H. viene menzionato per la prima volta in un documento del 1384, nel quale Bartholomeus Venetus, allora priore generale dell'Ordine, concede a "fratri Johanni Tye de provincia Anglie, quod possit vocare et retinere fratrem Henricum Hood per annum tantum ipsum instruendo in arte illuminandi" (Roma, Arch. della Curia Generalizia dell'Ordine agostiniano, Reg. Dd. 2, c. 173r; Roth, 1961-1966, II, p. 223). H. venne dunque avviato all'attività di decoratore di manoscritti dal frate inglese John de Teye (v.), artista ufficiale di Humphrey de Bohun (ca. 1308-1361), sesto conte di Hereford e di Essex. Sembra ragionevole credere che alla morte del conte il maestro avesse continuato a lavorare per i discendenti della facoltosa famiglia, divenuti con il tempo anche signori della contea di Northampton (Freeman Sandler, 1985, pp. 366-367). Infatti è possibile che proprio le numerose e importanti commissioni ricevute spingessero John de Teye a richiedere un collaboratore, il quale come lui godette del privilegio di abitare e operare nel castello di Pleshey nell'Essex, residenza dei Bohun (Roth, 1961-1966, II, p. 371; Freeman Sandler, 1985, pp. 365-366; 1986, II, p. 36). Un altro documento informa inoltre che H. ottenne il permesso di visitare Roma in occasione del giubileo del 1390, insieme ad altri frati inglesi, fra i quali non compare il nome del suo maestro, forse a quel tempo già morto (Roth, 1961-1966, II, p. 242).Il nucleo principale del ricco patrimonio dei manoscritti Bohun è costituito da un gruppo di codici, sostanzialmente affini per stile, formato e contenuto, eseguiti tra il 1360 e il 1390 da più autori da sempre rimasti anonimi. Nell'evidente difficoltà di individuare l'intervento di singoli artisti, anche per la mancanza di una sufficiente documentazione, il lavoro di H. è stato ipoteticamente riconosciuto in due codici conservati a Copenaghen (Kongelige Bibl., Thott 547.4°; Thott 517.4°; Freeman Sandler, 1985, p. 371). Il primo manoscritto è un libro d'ore che si ritiene verosimilmente legato a Mary de Bohun (1370-1394), moglie di Henry di Bolingbroke (1367-1413), conte di Derby e futuro re d'Inghilterra con il nome di Enrico IV, per la presenza di una figura femminile in preghiera, rappresentata con le armi dei casati di appartenenza (James, Millar, 1936, pp. 47-52; Freeman Sandler, 1986, II, p. 161, nr. 140). Databile tra il 1380 e il 1390, il testo contiene dieci iniziali istoriate con motivi iconografici insoliti e scene di miracoli della Vergine a fondo pagina, dal tono vivacemente narrativo. I soggetti sono svolti con una ricchezza e fantasia di dettagli che arriva anche a caratterizzare individualmente i singoli personaggi delle storie, di preferenza raccolti in gremite composizioni. Se nell'insieme l'opera mostra scelte tecniche e stilistiche vicine alla maggior parte dei lavori eseguiti per i Bohun, sembra tuttavia discostarsene per alcune originali soluzioni, come la resa di sofisticate atmosfere e di spettacolari effetti luministici, ottenuti attraverso un largo uso di oro e di velature traslucide. La tendenza a dissolvere i contorni delle solide figure in forme evanescenti e la predilezione per i preziosismi cromatici permettono di inserire il linguaggio pittorico dell'artista nell'ambito dello stile internazionale, accostandolo specificamente a quello di due interpreti inglesi, Hermann Scheerre e John Siferwars (Freeman Sandler, 1985, p. 371; 1986, II, p. 162, nr. 140). Il secondo codice di Copenaghen, con le Storie della vita della Vergine, di Maria Maddalena e di s. Margherita, è generalmente ritenuto opera dello stesso autore del precedente libro d'ore per le evidenti somiglianze nelle dimensioni, nell'impaginazione del testo e nell'ornato.Studi relativamente recenti, condotti nell'abbazia cistercense di Lichtenthal, presso Baden-Baden, hanno reso noto un salterio inedito (Lichtenthal, Kl. L., Archiv, Hs 2) dalle sorprendenti concordanze stilistiche, paleografiche e codicologiche con i due manoscritti di Copenaghen (Heinzer, 1989). La scoperta, oltre ad ampliare il catalogo dei manoscritti del c.d. gruppo Bohun (James, Millar, 1936; Freeman Sandler, 1986, I, pp. 34-36), offre un nuovo e importante elemento di valutazione per la questione dell'attribuzione a H. delle opere.
Bibl.:
Fonti. - M.M. Bigelow, The Bohun Wills, American Historical Review 1, 1895-1896, pp. 414-435, 631-649; F. Roth, The English Austin Friars, 1249-1538, 2 voll., New York 1961-1966.
Letteratura critica. - E.G. Millar, La miniature anglaise aux XIVe and XVe siècles, Paris-Bruxelles 1928; M.R. James, E.G. Millar, The Bohun Manuscripts, Oxford 1936; M. Rickert, Painting in Britain. The Middle Ages, London 1954 (trad. it. La miniatura inglese, 2 voll., Milano 1959-1961); R. Marks, N.J. Morgan, The Golden Age of English Manuscripts Painting 1200-1500, New York 1981; L. Freeman Sandler, A Note on the Illuminators of the Bohun Manuscripts, Speculum 60, 1985, pp. 364-372; id., Gothic Manuscripts 1285-1385 (A Survey of Manuscripts Illuminated in the British Isles, 5), 2 voll., London 1986; F. Heinzer, Un témoin inconnu des "Bohun Manuscripts": le ms. 2 des archives de l'abbaye de Lichtenthal, Scriptorium 43, 1989, pp. 259-266.E. Federico