MARCUSE, Herbert
Filosofo e sociologo, nato a Berlino il 19 luglio 1898; uno dei maggiori esponenti, con Horkheimer e Adorno, della Scuola di Francoforte. Si laureò nel 1922 presso l'università di Friburgo in Baviera discutendo la tesi con M. Heidegger. In questa università proseguì i suoi studi dal 1922 al 1932 sotto la guida di Husserl e di Heidegger. Risalgono a questo periodo alcuni saggi (Beiträge zu einer Phänomenologie des historischen Materialismus, 1928; Über konkrete Philosophie, 1929; Neue Quellen zur Grundlegung des historischen Materialismus, 1932; Über die philosophische Grundlagen des wirtschaftswissenschaftlichen Arbeitsbegriff, 1933), e soprattutto il volume Hegels Ontologie und die Grundlegung einer Theorie der Geschichtlichkeit (1932, trad. it., Firenze 1969), col quale M. si abilitò. Questi lavori, nonostante lo sforzo dell'autore di aprirsi ai temi e al metodo del marxismo e a una considerazione materialistica della storia, risentono fortemente dell'analitica esistenziale di Heidegger.
All'avvento del nazismo, M. è costretto a emigrare, prima a Ginevra (su invito di Horkheimer, che in quella città aveva trasferito lo Institut für Sozialforschung), poi a New York (dal 1934), dove insegna alla Columbia University e diventa membro dello Institute of Social Research. Dal 1942 al 1950 lavora presso l'Office of Strategic Services, e nel 1953-54 è collaboratore scientifico del Russian Research Center della Harvard University. Dal 1954 insegna scienza politica alla Brandeis University, e poi alla University of California (San Diego). Al primo periodo americano risalgono alcuni significativi lavori di M.: Der Kamps gegen den Liberalismus in der totalitären Staatsauffassung (1934; trad. it. in H. Marcuse, Cultura e società, Torino 1969); Autorität und Familie (1936, trad. it. Torino 1970), Über den affirmativen charakter der Kultur (1937, trad. it. in Cultura e società, cit.), Philosophie und Kritische Theorie (1937, trad. it. in Cultura e società, cit.).
Seguono poi i lavori più noti e di maggior impegno, che hanno arrecato grandissima fama all'autore, anche per l'influsso da essi esercitato sul movimento studentesco americano ed europeo: Reason and revolution. Hegel and the rise of social theory (1941, trad. it., Bologna 1966), una ricostruzione della filosofia sociale di Hegel, di Marx, di Comte, di Stein; Eros and civilization. A philosophical inquiry into Freud (1955, trad. it., Torino 1964), un'analisi della filosofia freudiana della civiltà; Soviet Marxism (1958, trad. it., Parma 1968), un'acuta disamina della filosofia e dell'ideologia ufficiali sovietiche; One-dimensional man. Studies in the ideology of advanced industrial society (1964, trad. it., Torino 1967). La fama di M. è particolarmente legata a questo libro, che peraltro riprende e sviluppa molti dei temi dei lavori precedenti: a Est e a Ovest, la società industriale è totalitaria e disumana, perché l'applicazione della scienza e della tecnica ai processi produttivi e l'organizzazione industriale del lavoro comportano inevitabilmente l'utilizzazione tecnico-strumentale degli uomini. La razionalizzazione, la gestione e la divisione scientifica del lavoro hanno certo aumentato enormemente la produttività delle iniziative economiche e il tenore di vita, ma hanno anche prodotto un universo standardizzato, in cui gli uomini si muovono come ingranaggi, e il loro modo di pensare e di comportarsi si è perfettamente adeguato a questo meccanismo. La razionalità scientifico-tecnica e la manipolazione si sono saldate insieme e hanno generato nuove forme di controllo e di dominio sociale. E ciò non a caso, perché esiste una stretta relazione tra il pensiero scientifico e la sua applicazione, tra l'universo del discorso scientifico e quello del discorso e del comportamento ordinari, relazione che assume entrambi sotto la medesima logica e razionalità del dominio. La scienza, in virtù del suo metodo e dei suoi concetti, ha progettato e promosso un universo in cui il dominio della natura produce automaticamente il dominio dell'uomo sull'uomo.
La caratteristica più pericolosa di questa società apparentemente razionale (ma che si fonda sullo spreco, sulla manipolazione delle coscienze e sull'oppressione dei poveri e delle minoranze) è che essa sembra non produrre più al suo interno forze e ideali capaci di contestarla e di negarla. La classe operaia, individuata nell'Ottocento da Marx come il 'negativo' capace di rovesciare la classe borghese, oggi è ormai completamente integrata, almeno nelle società industriali più avanzate; la cultura non è più in contrasto con la società, bensì l'accetta così com è, con i suoi meccanismi e i suoi "valori", cioè la cultura è diventata pensiero "positivo" (empirismo, positivismo, scientismo, ecc.). Di qui la necessità che gl'intellettuali rivoluzionari tengano vivo il pensiero "negativo", capace di produrre valori trascendenti e alternativi rispetto a quelli oggi dominanti, anche se la loro realizzazione, ovvero la distruzione dell'attuale "razionalità" sociale fittizia e disumana, può essere portata a termine solo dalle masse dei declassati, degli emarginati, degli esclusi.
Bibl.: G. E. Rusconi, La teoria critica della società, Bologna 1968 (cap. VIII); Autori vari, Risposte a Marcuse, a cura di J. Habermas, Bari 1969; L. Colletti, Da Hegel a Marcuse, in Ideologia e società, ivi 1969, pp. 151-94; G. Bedeschi, Marcuse e il marxismo, in Annali Feltrinelli, 1973 (XV), pp. 1260-75.