Melville, Herman
Il mare e gli abissi dell’animo umano
Tra i grandi scrittori che a metà Ottocento fondarono la letteratura americana, Herman Melville ha legato il suo nome a Moby Dick. Capolavoro della narrativa mondiale per potenza drammatica e fantastica, il romanzo affronta i massimi problemi dell’uomo: il rapporto tra tecnologia e natura, i limiti della conoscenza scientifica, il contrasto tra libertà e destino, l’essenza del male
Melville nasce a New York nel 1819 da una famiglia benestante. Un tracollo finanziario e la morte del padre lo costringono a lasciare gli studi e a lavorare come impiegato di banca e conciatore; poi, dal 1839, come marinaio. Melville visita le Isole Marchesi, le Hawaii, Tahiti; presta servizio su una nave baleniera, diserta, lavora in una piantagione, vive tra i nativi: esperienze che gli tornano utili nel momento in cui, a partire dal 1846, decide di dedicarsi alla letteratura, scrivendo racconti di viaggio e romanzi di ambientazione nautica, come Redburn, Giacchetta bianca e il suo capolavoro, Moby Dick (1851).
A dispetto di un’iniziale fortuna, Melville stenta a imporsi: il totale insuccesso di Moby Dick, che sconcerta critici e lettori, lo relega nell’oscurità. Però continua a scrivere: poesie, bozzetti e racconti memorabili come Bartleby lo scrivano, Benito Cereno e Billy Budd, composto poco prima della morte (1891) ma pubblicato più di trent’anni dopo, in corrispondenza della riscoperta che consacra Melville ad autore classico.
L’opera di Melville, ricca di innovazioni che anticipano la letteratura del Novecento, sul piano sia formale sia tematico, mette in crisi tutte le certezze dell’epoca e costituisce una vibrante interrogazione sulle problematiche basilari dell’esistenza; in essa vengono, infatti, esplorati il rapporto tra uomo e natura, i limiti della morale comune, la possibilità e le implicazioni del libero arbitrio.
La trama di Moby Dick ricalca quella di epiche cacce al mostro di cui la letteratura e la mitologia traboccano. Per sfuggire alla malinconia, Ismaele (il narratore della storia) s’imbarca su una baleniera, il Pequod, comandata dall’enigmatico capitano Achab. Giunti in mare aperto, Achab contagia la ciurma con la sua ossessione: catturare e annientare Moby Dick, la balena bianca che anni prima lo ha mutilato di una gamba, nella quale vede un’incarnazione del Male. S’inizia un inseguimento senza quartiere che culmina nell’affondamento del Pequod e nella morte dell’equipaggio, di cui Ismaele è l’unico superstite.
All’impresa di Achab si accompagna quella intellettuale di Ismaele, che ripercorrendo gli eventi a distanza di anni cerca di ricavarne un senso. Se per Achab la balena bianca rappresenta una natura malefica, per il narratore le cose non sono così nette, e il suo racconto si configura come un ambizioso, anche se inutile, tentativo di capire la natura sia del cacciatore sia della preda.
Ismaele s’improvvisa naturalista – nel mezzo del romanzo è inserita una serie di capitoli sui Cetacei (balene, delfini, orche) – e riscontra l’impossibilità di definire la conformazione anatomica della balena: questa può essere osservata nella sua completezza solo quand’è arenata, quindi morta, e il suo corpo è alterato, dunque falsato dalle condizioni che rendono possibile l’osservazione. Se, per Achab, Moby Dick è causa d’odio cieco, per Ismaele è una metafora dell’ignoto: il suo biancore, vago e abbagliante, simboleggia quel che sfugge alla scienza e alle categorie morali, e che tuttavia è la via d’accesso ai sensi umani e dunque alla possibilità di conoscere e apprendere.
L’interesse di Ismaele non cade soltanto sulla balena, ma anche sulla nave che le dà la caccia: il Pequod è una vera e propria fabbrica galleggiante i cui cicli produttivi Ismaele descrive fin nei minimi dettagli. È la propaggine di una civiltà americana affascinata dalle proprie potenzialità di crescita e potenza. Dall’osservazione della vita sul Pequod Ismaele trae un’immensa varietà di significati, svolti nel ragionamento o suggeriti attraverso il simbolo. La sua riflessione tocca per esempio le ragioni e i limiti del vivere sociale; la possibilità di una comunione che travalichi le barriere religiose, razziali, sessuali; infine, i processi che determinano l’ascesa di un capo politico.