Vedi HERMODOROS dell'anno: 1961 - 1995
HERMODOROS (v.vol. IV, p. II)
Le ricerche dedicate allo statuto degli artisti greci attivi a Roma in epoca tardo-repubblicana e all'evoluzione del tempio periptero in epoca ellenistica hanno ridefinito i termini della questione concernente la natura dell'attività di H. e il significato della sua opera.
Alcune informazioni di carattere letterario lasciano intravedere una carriera apparentemente molto lunga, che interessa un arco di mezzo secolo, al servizio della nobilitas. La venuta a Roma di questo artigiano, sicuramente originario di Salamina di Cipro, illustra significativamente la «marcia verso Ovest» dei Greci d'Oriente, della quale esistono anche altri esempi. H. lavorò per Q. Cecilio Metello Macedonico (Tempio di Giove Statore nel 146-143 a.C.: il primo edificio in marmo a Roma), per D. Giunio Bruto Callaico (Tempio di Marte in Campo, a partire dal 132 a.C.) e al restauro dei Navalia (dopo il 102 a.C.). Dopo quest'ultimo lavoro, egli entrò in strette relazioni con M. Antonio, il quale probabilmente garantì la sua difesa in occasione di un processo; ciò testimonia la sua notorietà e la fortuna di cui godeva al termine della vita. È probabile che realizzasse il Tempio di Nettuno in Circo, per conto dello stesso personaggio, censore nel 97 a. C.
Che sia venuto di sua iniziativa oppure chiamato da Q. Cecilio Metello Macedonico, H. fu, senza dubbio, uno dei più eminenti benefician di una favorevole congiuntura, quella della seconda metà del II sec. a.C., quando la classe dirigente, dominata dagli imperatores vincitori in Grecia e in Oriente, intendeva promuovere a Roma un'architettura propriamente greca; la sua originalità e il suo lusso, a quel tempo inusitati, avrebbero dovuto mettere in risalto il prestigio personale dei committenti e affermare la loro orgogliosa volontà di rottura con le tradizioni italiche. È significativo il fatto che le opere architettoniche di H. siano associate a creazioni della statuaria neoattica: grazie a Plinio (Nat. hist., XXXVI, 35) sappiamo che Dionysios e Polykles, figli di Timarchides, furono gli autori delle statue di culto del Tempio di Giove Statore; inoltre, sulla base di valide argomentazioni, F. Coarelli ha proposto di attribuire a Skopas Minore il gruppo cultuale del Tempio di Marte in circo. L'apparizione del marmo come materiale architettonico assume così un suo significato: esso si inserisce nel quadro delle stesse ricerche stilistiche e non può esser considerato separatamente dall'introduzione dello ionismo, di cui H., per origini e formazione, fu senza dubbio uno dei più attivi propagatori della sua epoca, se non addirittura il suo stesso iniziatore nell'Urbe.
Se è forse arbitrario identificare questo architetto con il Metrodoros citato da Plinio nella bibliografìa del libro XXXV, «qui de architectonice scripsit», è però possibile attribuirgli, oltre a quella di costruttore, un'attività teorica: essa, indipendentemente dalla tendenza alla codificazione caratteristica degli artigiani dell'Ellenismo tardo, doveva essere incoraggiata dall'ambiente romano, non ancora familiarizzato con i problemi formali, e dalla necessità di impiantare sul posto una scuola, alla quale forse appartenne, epigono sicuramente diligente, il Mucius di cui Vitruvio (VII, praef. 17) lodava l'ortodossia.
Anche senza voler innalzare H. al rango di fonte principale del libro III del De architectura, gli si può accordare un ruolo non trascurabile nell'ambito degli autori ai quali Vitruvio si ispirò, più o meno direttamente, per la definizione di alcuni dati del suo «canone» ionico. Quest'ultimo, del resto, si rivela meno unitario e più stratificato di quanto non si credesse. Nella linea dei codificatori dell'Ellenismo orientale, Pytheos (v.) e Hermógenes (v.), H. di certo contribuì alla diffusione di un tipo di tempio caratterizzato da proporzioni specifiche: a giudicare dalle rovine di Via di S. Salvatore in Campo, appartenenti a uno dei rari edifici con krepìs conservatisi a Roma, attribuito oggi all'aedes Neptuni o all'aedes Martis – in entrambe le ipotesi, dunque, creazione di H. – l'architetto avrebbe messo a punto uno schema di períptero a facciata esastila e con 10 colonne sui lati lunghi. Alcune contraddizioni interne al testo di Vitruvio (tra III, 2,6 e IV, 4,1) trovano forse una spiegazione nell'impossibilità di conciliare certi dati ermogenei alle pratiche più o meno teorizzate di Hermodoros.
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