CORTÉS, Hernán
Nacque a Medellín (nell'Estremadura) nel 1485, da Martín Cortés di Monroy e da Caterina Pizarro Altamirano, piccoli nobili decaduti. Nel '99 fu mandato all'università di Salamanca: e quel periodo di studio, seppur breve, giovò certo a dargli una cultura, non comune negli altri conquistadores. Dopo due anni, tuttavia, abbandonò i corsi di diritto, per tornarsene alla casa paterna; irrequieto e smanioso di far fortuna, dopo breve tempo partì anche da Medellín, per recarsi a Siviglia, poi a Valenza. Intendeva recarsi in Italia con Fernando di Cordova; ma, fallitogli il disegno per malattia, s'imbarcò nella primavera del 1504 per San Domingo. Quivi ebbe incarichi di fiducia dal governatore Nicola de Prando; e già allora combatté contro Anacoana, agli ordini di Diego de Velázquez, con il quale poi, nel novembre 1511, andò a Cuba. Anche qui dapprima la fortuna gli arrise: ebbe possedimenti con buon numero di Indî alle sue dipendenze e la carica di alcalde di Santiago. Ma i rapporti col Velázquez si guastarono: prima per intrighi del C. col Morales contro il Velázquez, poi per rivalità amorose - dicesi - il Velázquez lo fece due volte arrestare e due volte il Cortés fuggì, vivendo avventurosamente. Infine i due uomini si riconciliarono; e così quando, dopo l'esplorazione compiuta dal Grijalva lungo la costa a nord del capo Gracias á Dios, dalla costa del Yucatán fin quasi alla odierna Tampico, il Velázquez decise la conquista del regno degli Aztechi, su cui il Grijalva aveva diffuso notizie favolose, il comando della spedizione fu affidato al C.
Il C. salpò da Santiago e condusse a termine l'allestimento della spedizione a Trinidad e all'Avana: poi, nonostante avesse ricevuto ordini dal Velázquez di sospendere la spedizione, abbandonò l'isola di Cuba il 18 febbraio 1519, con 11 navi, 110 marinai, 570 soldati, 10 cannoni, 4 falconetti, 16 cavalli. Approdò all'isola di Cozumel, in faccia allo Yucatan, ove lo raggiunse Jeronimo de Aguilar, che, catturato in un suo viaggio dal Darien a San Domingo, era stato per più anni prigioniero di un cacique del paese. Da lui il C. ebbe utili informazioni sui paesi che si apprestava a conquistare; girò perciò tutta la penisola dello Yucatan e il 4 marzo sbarcava alla foce del Tabasco. Ebbe i primi scontri con gl'indigeni, che furono vinti e consegnarono ostaggi; tra essi la famosa Marina, che di tanta utilità gli doveva poi essere, esperta com'era in molti dei linguaggi delle diverse tribú. Poi, mosse verso il nord: il 21 aprile era a San Juan de Ulua, il 22 lá dove sorge oggi Veracruz; e un po' più a nord di quest'ultimo sito, egli fondò la Villa Rica de Vera Cruz, da lui organizzata secondo il solito sistema spagnolo (ayuntamientos, alcaldías, ecc.). Dalla municipalità anzi si fece creare capitano-generale in nome del re di Spagna, sottraendosi così ad ogni dipendenza nei confronti del Velázquez. Con quest'ultimo infatti si era riaperta l'ostilità: Velázquez da Cuba aveva fatto chiedere alla corte spagnola la capitolazione che legittimasse la sua azione e gli attribuisse la futura conquista del regno degli Aztechi: la capitolazione era stata accordata, ed ecco che proprio a Villa Rica giungeva Francisco de Salcedo, da Cuba, con pochi uomini, ad annunziare il fatto, che legalmente rendeva vana l'opera del C. Questi allora, con una decisione glorificata dalla leggenda e anche deformata (si disse che le navi erano state bruciate) fece disarmare le navi; una però ne inviava in Spagna per chiedere a Carlo V la conferma del suo titolo di capitano generale.
Infine il 16 agosto mosse verso l'interno. Con l'appoggio della tribù dei Campoala, affronta i Tlascaltechi, che, vinti, si alleano con lui; poi attacca e sbaraglia i Cholula, di cui mette a sacco la capitale, facendo strage degli abitanti. La via sulla città di Messico, la capitale degli Aztechi, era aperta. Montezuma, che già gli aveva inviato ambascerie, con doni ricchissimi, a Villa Rica, aveva poi cercato di tenerlo lontano dal centro del suo regno; ma il C. lo eluse con grande abilità ed entrò nella città l'8 novembre 1519. Montezuma fu da allora prigioniero del Cortés, il quale infatti lo trattenne nel suo accampamento, col pretesto che la guarnigione di Vera Cruz era stata attaccata dagli Aztechi, e gli fece pagare una somma enorme da inviarsi a Carlo V. Tuttavia la situazione si faceva pericolosa per il conquistatore: un sordo fermento eccitava gl'Indî e si stava preparando un'insurrezione, quando da Villa Rica giunsero altre notizie poco rassicuranti per il C. Il Velázquez, ostinato nel perseguire i suoi piani sul Messico, vi aveva mandato Pánfilo de Narváez, con l'ordine di togliere il potere al C. Questi, lasciato l'Alvarado con pochi dei suoi a Messico, dovette accorrere al mare. Un breve combattimento pose fine alla manovra del Velázquez; il Narváez fu fatto prigiomero dal C., che poté ritornare in fretta a Messico. Ma durante la sua assenza le cose erano precipitate. Prevenuto che la rivolta stava per scoppiare, in occasione di una festa religiosa, l'Alvarado aveva tentato di scongiurare il pericolo, facendo massacrare nel tempio di Messico quattrocento e più fra sacerdoti e nobili. La conseguenza fu una terribile esplosione di furore generale. Gli Spagnoli furono assediati dentro i loro quartieri. Montezuma stesso intervenne per ricondurre la calma; e fu ferito mortalmente, a pietre, dai suoi sudditi. Al momento dell'arrivo del C. la lotta era cessata; ma, entrato egli in città, riprese con estrema violenza. Visti inutili tutti i tentativi di resistenza, si decise la ritirata: le forze ammontavano a 1200 Spagnoli e 4000 Tlascaltechi. Fasciati gli zoccoli dei cavalli, le mote dei cannoni, tra l'imperversare della bufera, sulla mezzanotte si diressero verso la terra: cominciò così la terribile "notte triste" (30 giugno 1520). Quando tutto pareva andar benissimo, s'accesero d'improvviso i fuochi, la laguna si popolò d'uno sciame di canoe accorrenti, ed echeggiò lontano per le valli il grido del tamburo "heuheutle", invitante alla strage. Si combatté tutta la notte e al far del giormo soltanto fu raggiunta la terra. 500 Spagnoli, 2000 Indiani erano periti: dei superstiti quasi nessuno era senza ferita. Per lande inospiti, cibandosi di sole erbe, compirono la ritirata; arrivati alla valle di Otumba, si trovarono di nuovo circondati e poterono aprirsi il varco solo con una lotta disperata (7 luglio). "Certo, noi credemmo che quello fosse l'ultimo dei nostri giorni..." scriveva lo stesso C. a Carlo V.
La salvezza, per il C. e i suoi compagni, fu allora rappresentata dagl'Indî di Tlascala che gli rimasero fedeli e lo ospitarono, finché egli poté ricostituire il suo esercito con gli Spagnoli che sbarcavano sul litorale messicano, parte per cercarvi fortuna, parte inviati dall'irriducibile Velázquez contro il C., ma sempre - appena sbarcati - con il C. solidali. Così, sulla fine del 1520, il condottiero riprendeva la via dell'interno, per la seconda conquista del Messico. Attorno a Messico, ove era stato eletto re Guatimozino, C. stringe un blocco ferreo; poi, messa insieme una flotta di 30 brigantini, condotti pezzo a pezzo da Tlascala, la lancia nella laguna, chiudendo completamente la città. L'assedio fu uno dei più drammatici che la storia ricordi; per più di tre mesi il C. lancia i suoi uomini all'attacco, e sempre gli Aztechi lo respingono; finalmente la città cade e Guatimozino vien fatto prigioniero (13 agosto 1521). Le popolazioni circostanti si arresero e, sebbene vi fossero ancora ribellioni parziali, il Messico era conquistato. Nominando il C. capitano generale della Nuova Spagna (Vallodolid, 15 ottobre 1522), Carlo V sanzionava ufficialmente il merito straordinario del conquistatore. Il C. pensò allora ad estendere i confini della sua conquista; mandò Alvarado a conquistare il Guatemala; Orozco il territorio Mixteca; Oñate il Zapoteca; Montijo lo Yucatán: Olid l'Honduras. Quest'ultimo, dopo la conquista, si ribellò al suo capo; e il C. mosse contro di lui, compiendo una marcia faticosissima, attraverso 500 leghe di fittissime foreste. Ma quando giunse nell'Honduras, già l'Olid era stato ucciso dai suoi soldati; C. (1524-25), tornò per mare a Messico. Le tempeste lo tennero in mare per tutto un anno, cosicché arrivò quando ormai si riteneva morto.
A questo punto cominciarono i dissapori con la corte spagnola: giunse come ispettore L. Ponce di León (sostituito, poi, dallo Aguilar e dall'Estrada); il C. cedette il governo e partì per la Spagna (1527). Qui fu ricevuto con grandi onori; ottenne anzi il titolo di marchese della valle di Oaxaca, e tornò a Messico. Ma aveva ormai poteri quasi soltanto nominali: era a capo delle truppe col compito di compiere nuove conquiste, ma i poteri civili e giudiziarî gli erano stati tolti. Egli assolse bene tuttavia il suo compito: inviò al Pacifico una flotta e nel 1535 egli stesso con una squadra ancorò nella baia oggi detta de la Paz, facendo esplorare il Mar Vermiglio da Francisco de Ulloa, che poi risalì esternamente la Penisola di California fino all'isola Cedros e forse anche più a nord. Il C. poi, mancando di aiuti, osteggiato dalla Audiencia, sfiduciato se ne tornò in Spagna. Partecipò ancora alle campagne di Algeri, e con valore; ma la sua carriera era finita. Morì a Siviglia il 2 dicembre 1547.
Su di lui i giudizî sono stati disparatissimi, deformati dalla fobia antispagnola del secolo scorso degli Spagnoli d'America e dall'illuminismo. Ma egli non fu così crudele come lo si dipinge; e fu comunque un magnifico uomo d'azione, un condottiero dal polso sicuro, la cui impresa messicana ha qualche cosa di veramente epico.
Bibl.: H. Cortés, Cartas y relaciones, Siviglia 1522; Lopez de Gomara, Historia de Indias, II, Saragozza 1553; C. de Salazar, Crónica de la Nueva España, Madrid 1924; A. de Herrera, Décadas, Mardid 1601-1615; B. Diaz del Castillo, Historia verdadera, ecc., Madrid 1632; A. de Solis, Historia de la conquista de México, Madrid 1685; T. de Trueba y Cossio, Life of H. Cortés, Edimburgo 1829; H. Lébrun, Aventures et conquêtes de F. Cortes au Mexique, 11ª ed., Tours 1864; W. I. Prescott, History of the conquest of Mexico, New York 1842; H. de Oviedo, Historia general, II, Madrid 1851-55; R. A. Wilson, A new History of the Conquest of Mexico, Philadelphia 1859; Watson, With Cortes, Philadelphia 1817; W. Dalton, Cortes and Pizarro, Londra 1861; A. Helps, The life of H. Cortes, New York 1871; C. de Sigüenza y Góngora, Piedad heróica de F. Cortés, Messico 1898; M. Soto Hall, De México à Honduras. El viaje de H. Cortés, San José 1900; F. A. Mac Nut, Fernando Cortés, New York 1909; I. H. Campe, H. Cortes, New York 1911; E. Pardo Bazán, Hernan Cortés y sus hazañas, Madrid 1914; Babelon, La vie de Fernan Cortés, Parigi 1928. Per la bibliografia più minuta si può vedere: E. Sánchez Alonso, Fuentes de la Historia Española e Hispano-Americana, Madrid, 2ª edizione, 1927, nn. 5099-5155.