Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Hieronymus Bosch è uno dei casi più enigmatici della storia dell’arte fiamminga. Impermeabile alle influenze dei contemporanei, questo pittore elabora una personalissima ricerca pittorica che, per i suoi esiti altamente visionari, conosce grande fortuna presso le corti europee. Le fantastiche allegorie di Bosch rappresentano alcune delle immagini più pertinenti per comprendere la cultura dell’"autunno del Medioevo".
Premessa
Nel panorama della pittura nordica tardomedievale, la personalità di Hieronymus Antoniszoon van Aeken, detto Bosch, risulta indubbiamente una delle più misteriose e complesse. Se il suo nome resta indissolubilmente legato alle inconfondibili e visionarie invenzioni che il pittore elabora nei suoi dipinti più famosi, molte sono ancora oggi le incertezze della critica nello stabilire una cronologia certa dei suoi dipinti autografi, nella definizione del catalogo e nell’interpretazione del suo originalissimo repertorio iconografico.
Bosch ha firmato soltanto sei dipinti del vasto corpus di opere (circa settanta) che gli vengono, a torto o a ragione, attribuite. Nessuno di tali dipinti è datato, cosicché risulta impossibile stabilire un sicuro appiglio cronologico.
Le caratteristiche stilistiche che emergono da tale esiguo gruppo di dipinti hanno consentito alla critica di raggruppare intorno al nome di Bosch molte altre opere. Tuttavia, nonostante l’immediata riconoscibilità di alcuni tratti stilistici dell’artista , anche questa strada non è esente da pericoli e incertezze: proprio l’originalità del suo stile procura a Bosch una vasta schiera di imitatori e contraffattori che non esitano a firmare i loro quadri con il nome del maestro anche molti anni dopo la sua morte.
Altrettanto problematica si presenta la ricognizione delle fonti documentarie che riguardano Bosch. Esse coprono un arco cronologico che va dal 1481 al 1516, anno della morte del pittore: poche di queste fonti fanno menzione delle sue opere e quelle citate sono andate perdute. La maggior parte dei documenti boschiani proviene dal piccolo centro commerciale di s’-Hertogenbosch, la città nella quale il pittore trascorre probabilmente tutta la sua vita e da cui deriva il suo soprannome.
Per quanto riguarda la complessità del repertorio iconografico dispiegato nei dipinti più impegnativi del pittore , nel corso dei secoli la critica ha avanzato interpretazioni diverse e discordanti che, per spiegare le bizzarre invenzioni di Bosch, chiamano in causa di volta in volta il folklore tardomedievale e l’esoterismo, l’appartenenza a una setta eretica e perfino l’uso di droghe allucinogene.
Dal punto di vista dell’itinerario stilistico, Hieronymus Bosch non mostra un’evoluzione ben definita e lineare: la sua pittura, impegnata a rielaborare molto spesso gli stessi temi, sembra impermeabile all’influenza delle correnti olandesi e fiamminghe, se si eccettuano alcuni riferimenti generici e ovvi.
All’interno di questo problematico quadro di riferimenti, la critica ha comunque tracciato una cronologia di massima dell’attività di Bosch, seguendo l’evolversi della sua pittura dai primi dipinti di soggetto sacro e allegorico, attraverso l’emancipazione dalle tradizioni di bottega e il dispiegarsi delle tendenze più visionarie e fantastiche, sino al "ritorno all’ordine" e al recupero della tradizione degli ultimi dipinti, nella fase che precede la morte del pittore.
Gli inizi: pannelli devozionali e primi dipinti allegorici
Originario di una famiglia di pittori, Bosch risente dell’influenza della bottega paterna, ma anche degli esemplari di pittura fiamminga e olandese che, data la posizione di confine di s’-Hertogenbosch, gli sono facilmente accessibili. L’esame delle sue opere rivela un attento studio delle stampe popolari olandesi e delle miniature tardogotiche.
Tra i dipinti che la critica – più o meno concordemente – assegna alla prima fase artistica di Bosch figurano opere che si inseriscono perfettamente nella routine del mercato artistico e della tradizione delle botteghe fiamminghe tardoquattrocentesche: è il caso, ad esempio, dell’ Adorazione dei Magi di Filadelfia e della Crocifissione di Bruxelles (che però un critico autorevole come Max Friedländer colloca in una fase più tarda). Nell’Adorazione dei Magi colpisce soprattutto il minuzioso realismo nella raffigurazione degli animali, mentre la Crocifissione di Bruxelles sembra rifarsi a un prototipo vanderweideniano che Bosch integra, forse, con le influenze paterne. Bosch, però, non tarda a immettere alcuni tratti molto personali anche nella tipologia delle scene sacre: ne sono esempio la grottesca esasperazione fisiognomica dell’Ecce Homo di Francoforte, oppure l’atmosfera misteriosa e quasi spettrale delle Nozze di Cana, dove alcuni particolari iconografici presentano, ancora oggi, problemi di interpretazione.
La pittura di Bosch assume, in questo e in altri dipinti, un tratto più corsivo, perdendo in precisione e impoverendo la gamma cromatica, ma proprio in questa fase il pittore inizia a introdurre alcuni di quegli elementi bizzarri e visionari ai quali deve la sua fama. Molto raro dal punto di vista iconografico, ma estremamente suggestivo, è Gesù bambino che gioca con un girello, prefigurazione della Via Crucis, che viene dipinto, per l’appunto, sul retro dell’Andata al Calvario di Vienna. Ma, più che nei soggetti evangelici, è nelle allegorie sacre e in quelle morali che Bosch raggiunge i risultati più alti e gli esiti più personali: in dipinti quali La morte dell’avaro e Il trapasso del reprobo fanno la loro comparsa piccoli demoni e creature fantastiche (i cosiddetti "grilli") che sono massicciamente impiegati nel periodo maturo. Invece, nelle allegorie morali, quali l’Allegoria dei piaceri e La nave dei folli, Bosch pone le basi della sua pessimistica meditazione sulla stoltezza umana che trova un perfetto contraltare letterario nel poema La nave dei folli di Sebastian Brant, stampato nel 1494. Il tema della stoltezza e della credulità degli uomini viene ulteriormente sviluppato in dipinti che stanno al confine tra la pittura di genere e l’allegoria, quali La cura della follia e Il prestigiatore. Queste opere sono stilisticamente accostabili all’Ecce Homo, del quale condividono l’attenzione per la fisiognomica e la compattezza pittorica. Dietro l’apparenza di innocue e caricaturali scene di vita di paese, in questi due dipinti Bosch attua una severa riflessione morale sui difetti dell’umanità.
Il periodo della maturità: grandi trittici e altri dipinti visionari
Sul volgere del secolo Bosch imprime una decisiva svolta alla sua pittura: il mutamento di indirizzo si riflette anzitutto sui risultati pittorici, ma anche sulla scelta dei soggetti rappresentati. L’appiglio documentario che permette di riferire a un momento preciso questa svolta è un documento del 1504 che registra un pagamento da parte di Filippo IV il Bello in favore del pittore – che è qui menzionato per la prima volta con il soprannome di Bosch – per un Giudizio universale. L’opera risulta dispersa, anche se alcuni studiosi vogliono identificare delle derivazioni in due dipinti di uguale soggetto, conservati a Vienna e a Monaco. Sicuramente, comunque, visto il prestigio del committente, Bosch ha già raggiunto una certa fama come esecutore di dipinti di grandi dimensioni e si è specializzato in soggetti che impongono una grande quantità di personaggi, e il ricorso a un repertorio di immagini più inventivo e fantasioso rispetto ai soggetti sacri trattati nel periodo giovanile.
Risalgono a questi anni i più importanti trittici di Bosch, quei dipinti a cui deve la sua fama e che sono ormai entrati nell’immaginario collettivo proprio per la bizzarria e la potenza visionaria che dispiegano. Dal punto di vista pittorico, essi si presentano come grandi superfici affollate di minute, brulicanti figure umane o fantastiche, raffigurate nelle fogge e negli atteggiamenti più diversi. Nelle complesse iconografie allegoriche di questo periodo Bosch , come ha scritto lo storico dell’arte tedesco Max Friedländer, "inventa una flora e una fauna": frutti e fiori, ad esempio, raggiungono proporzioni inaudite, come le fragole del Trittico delle delizie, rimandando simbolicamente alla fuggevolezza dei piaceri terreni (la fragranza della fragola, come sottolineano molti detti dell’epoca, è di breve durata), ma anche – stando all’interpretazione di Ernst Gombrich – al beato ed effimero stato dell’umanità prima del Diluvio, quando gli uomini secondo la Genesi "vivevano dei frutti della terra". Di tale ipertrofia animale o vegetale si possono trovare innumerevoli esempi, quali i mitili del Giardino delle delizie, il melograno del San Giovanni a Patmos e altri ancora. Ma non è soltanto la natura a subire queste trasformazioni. A dimostrarlo è l’atrocità dei supplizi che subiscono i dannati nel cosiddetto Inferno musicale, sportello destro del Trittico delle delizie: manufatti come strumenti musicali, dadi da gioco e pattini da ghiaccio divengono abnormi strumenti di tortura, in balia dei quali vediamo un’umanità straziata e impotente, tragica controparte apocalittica dei gaudenti raffigurati nel pannello centrale. Quanto alla fauna, molti sono i demoni che popolano gli Inferni e le Tentazioni di sant’Antonio, dipinti da Bosch in questo periodo. Già il moltiplicarsi di simili raffigurazioni nel catalogo superstite di Bosch o dei suoi diretti epigoni è indice del successo ottenuto dal pittore in quel tipo di soggetti: le sue creature fantastiche, discendenti dalle raffigurazioni dei "grilli" della tarda antichità, ma profondamente innervate dalla sua fantasia, uniscono parti di diversi animali, conservando sempre un’impronta antropomorfizzante (si veda, ad esempio, il demone flautista nel Carro di fieno) che ben può servire a Bosch per stigmatizzare, dietro l’apparenza fantastica, i vizi umani che già erano stati bersagliati nelle allegorie giovanili.
Sarebbe un errore, infatti, considerare le visioni della maturità di Bosch come puramente fini a se stesse: l’aspetto di meditazione sui peccati e sugli errori dell’umanità, sull’ingannevolezza dei piaceri terreni, non viene mai meno, per quanto possa apparire evidente il compiacimento nella raffigurazione di tali peccati e tali errori. A conferma di ciò è sufficiente uno sguardo alle iconografie complessive dei grandi trittici boschiani: ad ante chiuse il Trittico del fieno ci presenta un pellegrino che intraprende il "cammino della vita", esposto alle varie insidie del peccato; una volta aperti gli sportelli, ci troviamo di fronte, a sinistra, una raffigurazione del peccato originale; poi è la volta della rappresentazione della cupidigia che la sconsiderata folla di villani, nobili ed ecclesiastici lascia trasparire di fronte all’immenso carro di fieno, mentre un’aristocratica coppia si fa blandire dalle note di un flauto suonato da un demone. Sullo sportello destro, inevitabile esito, demoni infernali sono affaccendati nella costruzione di una torre che rinvia forse alla biblica Babele. Altrettanto pessimistiche le conclusioni che si possono trarre dal Trittico delle delizie, mentre in dipinti quali le Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona o il Trittico degli eremiti di Venezia Bosch mette in scena gli exempla positivi dei santi che hanno saputo opporsi all’ingannevolezza e alla disperazione della vita terrena.
I dipinti del periodo tardo
Concluso il periodo dei grandi ed affollati trittici, la pittura di Bosch sembra conoscere una sorta di "ritorno all’ordine" che, di nuovo, si ripercuote sia sulla resa pittorica che sulla scelta dei soggetti. L’artista riprende alcuni dei temi e dei motivi che aveva sperimentato nella sua fase giovanile, e allo stesso tempo ritrova una minuziosità e un’accuratezza di stesura cromatica che sembravano essersi perse nella fase dei dipinti più visionari: si vedano, ad esempio, i dipinti che raffigurano santi colti in meditazione in paesaggi che, di volta in volta, si presentano scabrosi e inquietanti (San Gerolamo in preghiera custodito a Gand) oppure tersi e spaziosi (Trittico delle tentazioni di Lisbona). Il ritorno a iconografie più tradizionali, lontane dalle complesse allegorie precedenti, si attua tuttavia con un profondo mutamento nel trattamento pittorico: si vedano i due dipinti con l’Incoronazione di spine (custoditi a Londra e all’Escorial), dove i protagonisti del passo evangelico sono inquadrati a mezza figura, con un’insistenza fisiognomica che ricorda molto da vicino la congiuntura italo-tedesca tra Leonardo, i suoi immediati seguaci e Albrecht Dürer, quasi a confermare l’ipotesi, avanzata da più parti, di un soggiorno italiano di Bosch nei primi anni del Cinquecento. Tale ulteriore svolta di Hieronymus Bosch si legge preferenzialmente nei due dipinti che la critica (con qualche autorevole eccezione) considera tra i più tardi della carriera dell’artista: l’Adorazione dei Magi di Madrid, dove i misteriosi particolari iconografici non minano l’equilibrio del trittico, e l’ Andata al Calvario di Gand, affollata di primi piani e di fisiognomie caricaturali che ricordano le "teste grottesche" di Leonardo da Vinci.