high rise
<hài ràiʃ> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Edificio alto o torre (quello che un tempo si chiamava grattacielo), sia residenziale sia per uffici, comunque con più di 12 piani, talvolta definito anche MDU (Multi dwellings unit). Si tratta di una tipologia edilizia in rapida espansione in tutto il mondo, che contribuisce in maniera sostanziale alla (v.) delle città contemporanee: quasi la metà di essi è stata realizzata dopo il 2000; una quota molto vicina al 10% è attualmente in costruzione. Il successo commerciale e sociale di tali complessi, soprattutto quelli caratterizzati da elevata polifunzionalità, è notevole: si pensi a Roppongi hills a Tokyo, Samsung tower place a Seul, The arch a Kowloon, Kanyon a Istanbul, non a caso tutti esempi asiatici. Lo sviluppo in altezza, non diversamente da quanto avviene per le torri, ha portato a una forte crescita nella ricerca tecnologica: strutture, facciate, materiali, impianti e sistemi di trasporto verticale intelligenti, industrializzazione del ciclo edilizio e dei processi di cantierizzazione, efficienza energetica, manutenzione, sicurezza, ecc., sono stati significativamente migliorati. Non da ultimo, la crescente spettacolarizzazione dell’immagine di tali edifici sembra giocare a favore di nuovi, sempre più ingenti investimenti, nonché agevolare l’aggiramento dei vincoli di carattere urbanistico. Molto lontani dall’originaria concezione che li vedeva legati ai downtowns direzionali delle città nordamericane, le fabbriche h. r. si sono diffuse in Europa per lo più ai margini delle città storiche, come La défense a Parigi e Canary wharf a Londra. In Asia sono state accettate in maniera entusiastica e incondizionata, spesso seguendo modelli di sviluppo policentrico (da Kuala Lumpur a Singapore, da Hong Kong a Shanghai, anche se, in quest’ultima, l’area di Pudong sembra replicare i distretti speciali verticali di gusto europeo, fino a Tokyo, dove si raccolgono spesso intorno alle principali stazioni).