HIMĀLAYA (dal sanscrito hima ālaya "dimora delle nevi"; A. T., 93-94)
Potentissimo arco montuoso che cinge a S. gli altipiani dell'Asia centrale; è il sistema montuoso più elevato della Terra, comprendendo varie cime che superano i 7000 metri d'altezza, alcune 8000 m. I tronchi trasversali delle valli dell'Indo e del Bahmaputra ne segnano gli estremi, tra i quali il sistema regolarmente s'incurva passando dalla direzione NO.-SE. a quella O.-E. e stendendosi tra 73° e 95° di long. E. e 27° e 36° di lat. N., per una lunghezza di circa 2500 km. Le valli superiori, longitudinali, dell'Indo e del Brahmaputra (Tsaug-po) ne determinano la distinzione dagli altipiani tibetani. Ma i limiti estremi ora ricordati, sono convenzionali, trattandosi di valli d'erosione; certamente il sistema si continua verso occidente, a rannodarsi con le catene che irraggiano dal Pamir, e verso oriente ne è probabile la prosecuzione delle catene tra Brahmaputra e Saluen (Salween).
Tra i piani dell'India e le depressioni longitudinali dei corsi superiori dell'Indo e del Brahmaputra, non corrono più di 200-250 km. Tuttavia si possono distinguere varie catene, qualche volta convergenti, più spesso parallele, talora delimitanti altipiani e bacini. L'asse principale, costituito da rocce cristalline, ed elevato in media più di 6000 m., spicca però chiaramente contrassegnato dalle cime più alte: dal Nanga Parbat (m. 8126) presso l'Indo, per il Nun-kuu (m. 7147), il Nanda Devi (m. 7816), il Dhaulagiri (m. 8167), l'Everest (m. 8882), il Kinchinjunga (m. 8579), fino al Namcha Barwa (m. 7755), a pochi chilometri dal Brahmaputra. Dei passi, soltanto una diecina scendono sotto i 5200 m. Questa linea delle massime cime non segna però lo spartiacque, respinto più a N., poiché numerose valli attraversano la catena assiale (tranne tra il Sutlej e l'Indo). Tra questa e le pianure indiane, il versante meridionale del Himālaya è molto ripido, assai più del settentrionale; simile asimmetria si ripresenta nelle diverse catene. Il passaggio alla pianura è reso meno brusco da una fascia di colline e basse montagne (10-50 km. di larghezza), formanti il cosiddetto sistema di Siwalik, o Himālaya esterno, d'origine più recente. Tra esso e la catena principale vi è una serie di catene mediane, di rado con cime elevate più di 3500-4500 m., che formano il Piccolo Himālaya (Lesser Himalayas, Himalaya minore, degl'Inglesi). Queste sono variamente sviluppate: mancano quasi del tutto nel Sikkim, non raggiungono grande ampiezza nel Nepal, e le cime più elevate sono quindi visibili dai piani. Bene sviluppate, invece, nella parte nord-occidentale, dove, ad es., la catena del Pir Panjal (m. 4742) delimita l'ampio bacino del Kashmir. A N. della catena assiale l'orografia è più confusa, e anche meno nota; le catene vi hanno minore continuità e si alternano con altipiani, bacini spesso chiusi, e ampie vallate longitudinali, specialmente nella parte orientale. A occidente la catena del Ladak, prolungamento del Karakorum, corre presso l'Indo, delimitando con la catena principale la regione montagnosa dello Zanskar, delle Rupshu e dello Spiti.
Geologicamente sono da distinguersi nel Himālaya tre zone. Una settentrionale, tibetana, è costituita da rocce marine fossilifere, in una serie continua dal Paleozoico antico fino all'Eocene. La zona centrale (himalayana), comprendente, oltre alla catena assiale, anche una parte delle catene minori del versante sud, è formata da rocce cristalline e metamorfiche e da depositi sedimentarî antichi non fossiliferi. La terza zona, esterna o subhimalayana, corrisponde al sistema di Siwalik, formato da depositi continentali del Terziario medio e superiore. Le rocce cristalline, gneissiche, che costituiscono l'asse del grande arco montuoso, già denominate gneiss centrale o fondamentale e attribuite all'Arcaico, sono in parte assai meno antiche (anche mesozoiche e terziarie), e rappresentano il risultato d'un forte metamorfismo di graniti e altre rocce intrusive. I terreni sedimentarî più antichi, precedenti al Cambrico, formano i sistemi detti dai geologi dell'India di Dharwar e di Vindhya, e affiorano tra la catena assiale e quelle esterne. I caratteri litologici sono molto variabili; nel secondo sono state notate tracce glaciali.
Il Cambrico è ben noto nello Spiti, regione che presenta la serie completa dei terreni dal Cambrico all'Eocene. È rappresentato da quarziti e scisti di grande potenza, con fossili simili a quelli europei. Il Silurico è dato da rocce molto varie, dai conglomerati ai calcari e alle dolomie; il Devonico specialmente da quarziti, e anche da calcari, arenarie rosse e conglomerati con brachiopodi e coralli. Seguono calcari e quarziti alternanti, ricchi di fossili, del Carbonico inferiore e medio; scisti argillosi con intrusioni doleritiche e fenomeni di metamorfismo; non mancano nemmeno calcari a fusuline e tracce di piante. Questo sviluppo è però locale, poiché spesso le rocce del Carbonico superiore e del Permico riposano in discordanza su rocce più antiche. Alla loro base sta un caratteristico conglomerato, cui succedono verso l'alto arenarie calcaree, scisti con brachiopodi, calcari neri, di scarsa potenza, ma che si seguono litologicamente identici dal Kashmir al Nepal. Sono rocce tenere, fortemente piegate e contorte. Nel Kashmir si associano strati marini con Productidi del Permico e strati continentali con la flora a Glossopteris.
Durante il Paleozoico il Himālaya rimase, almeno in gran parte, coperto da un mare non molto profondo; col Mesozoico il fondo del geosinclinale si deprime e compaiono sedimenti e faune di acque profonde. Il Trias, che segue direttamente il Permico, è potentissimo e sviluppato lungo tutta la zona settentrionale; i calcari e le dolomie predominano, e ricche faune di Ammoniti e Brachiopodi permettono una notevole suddivisione. Le faune hanno stretta affinità con quelle delle Alpi. Anche nel Giurassico abbondano i calcari e le dolomie, in parte con Megalodontidi d'acque profonde, in parte con Belemnitidi, ma sono anche molto sviluppati scisti argillosi neri e arenarie marnose, rocce tenere e riccamente fossilifere. Nelle loro fitte pieghe sono presi lembi di Cretacico e di Eocene; essi affiorano largamente a nord dell'asse cristallino; ma piccoli lembi di sedimenti mesozoici, a fossili mal riconoscibili, sono stati notati anche nelle catene minori esternamente all'asse principale.
Si ritorna nel Cretacico a minori profondità marine; si hanno alla base arenarie silicee e quarziti, quindi scisti e calcari bianchi, molto diffusi, con Belemnitidi e Rudiste. Il ritiro del mare verso nord è segnato dalle potenti deposizioni di arenarie e scisti argillosi (flysch); incomincia per il Himālaya un periodo continentale, permanendo il regime marittimo solo in alcuni bacini (es. Ladak) nei quali si depositò anche l'Eocene. Corrispondentemente a queste variazioni, durante il Cretacico superiore, il Himālaya occidentale vide imponenti fenomeni eruttivi, testimoniati da graniti, gabbri, peridotiti che attraversano le rocce più antiche, e anche colate laviche e tufi basaltici riolitici e andesitici.
L'Eocene è rappresentato da calcari nummulitici a nord della catena principale, dove costituisce le rocce marine più recenti; a sud è litologicamente assai vario e si connette all'Oligocene e al Miocene inferiore, costituiti questi da rocce di deposito torrentizio o d'acque salmastre o lacustri. Il Miocene superiore col Pliocene formano l'importante serie di Siwalik, presente solo nella fascia più esterna. Sono conglomerati, arenarie, marne, variamente indurite, dalla stratificazione spesso irregolare e di grande potenza complessiva (4500-5000 m.): depositi in gran parte alluvionali, formati dai fiumi sboccanti dal Himālaya, già sollevato nel Terziario antico. Questa serie, dà abbondanti resti di vertebrati. Il Quaternario è rappresentato da depositi alluvionali, lacustri e morenici.
Gli strati della serie di Siwalik sono già notevolmente piegati e intersecati da faglie, ciò che indica intensi movimenti tettonici assai recenti. Una grandiosa faglia inversa (main boundary fault) correrebbe al limite della serie di Siwalik con i terreni piú antichi, che si vengono anche a sovrapporre alla prima. È però difficile dire quanto questo possa invece essere effetto di grandi fenomeni di carreggiamento. Certo si è che, procedendo verso l'asse cristallino, le pieghe si complicano, si comprimono fortemente, si sovrappongono in seguito a carreggiamento o a faglie. Più a nord, verso il Tibet, si ha però una nuova semplificazione.
La caratteristica morfologica più saliente del Himālaya è data dal fatto che le valli principali, a oriente del Sutlej, si originano a N. della catena cristallina e più elevata, che attraversano in gole grandiose. Le valli affluenti longitudinali sono invece spesso assai ampie, però anch'esse d'origine erosiva, e solo nella fascia più esterna è ancora stretta la connessione fra tettonica e orografia. La discordanza tra orografia e idrografia è stata spiegata sia con l'azione regressiva dell'erosione fluviale, sia con l'antecedenza dei fiumi stessi. Esempî di migrazione dello spartiacque sono conosciuti (Gange, Tista, Sind), e si conoscono anche belle valli longitudinali rimaste sospese per rapida erosione regressiva e conseguente cattura da parte di corsi d'acqua a direzione N.-S. L'erosione è ancora intensa in tutti i fiumi himalayani, ben lontani dall'aver raggiunto il profilo d'equilibrio, e le cui valli hanno alternanze frequenti di strette gole e ampî bacini; essa è molto favorita, sul versante meridionale, dalle abbondanti precipitazioni, e certamente è stata riattivata da sollevamenti assai recenti, non sempre continui, come dimostrano le terrazze orografiche e le tracce d'alluvioni a grande altezza sul fondo delle valli. Anche la forte sismicità della regione periferica attesta movimenti tettonici ancora perduranti.
Di antecedenza dei fiumi maggiori (compresi gli alti corsi dell'Indo e del Brahmaputra) non si può parlare, se mai, che rispetto ai sollevamenti del Terziario superiore e del Quaternario. Il Himālaya già incominciò a sollevarsi nel Cretacico, e nell'Eocene superiore fu definitivamente sollevato. S'iniziò allora un lungo periodo d'erosione, attestato anche dai potenti depositi della serie di Siwalik; l'erosione regressiva può perciò rendere ragione della maggiore caratteristica morfologica. Secondo alcuni l'idrografia attuale avrebbe un'origine ancor più recente. Ad esempio, sembra che lo Tsang-po avesse, almeno fino all'inizio del Quaternario, un corso a rovescio dell'attuale; molti affluenti vi sboccano a contropendio e nella zona oggi sorgentifera vi sono potenti sedimenti continentali, non disturbati, probabilmente formati dallo stesso fiume. Forse si connettono con quelli dell'alto Sutlej, potenti anche 900 m., di deposito lacustre: quindi nemmeno per il Sutlej sembra verosimile l'ipotesi dell'antecedenza.
I tronchi vallivi a bacini dovettero essere in parte bacini chiusi, poi catturati per erosione regressiva; tra la catena del Ladak e il Himālaya principale si trovano ancora diversi di questi bacini accoglienti laghi chiusi, nonostante che in questa parte occidentale l'erosione sia già molto progredita. Le valli sono profonde, spesso il rilievo è invertito rispetto alla tettonica, ma esistono ancora lembi di altipiani (Deosai, Rupshu), a forme vecchie che fanno netto contrasto con le valli. Nel Himālaya orientale, sempre a N. dell'asse cristallino, queste forme vecchie d'altipiano sono molto più estese e accolgono anche laghi, in parte non salati (Kala-tso, Yamdrok-tso), e quindi presumibilmente d'origine recente. Questi altipiani sembrano rappresentare dei penepiani: la regione avrebbe cioè assunto l'aspetto attuale del Tibet, per essere poi profondamente incisa in seguito ai sollevamenti più recenti.
Le tracce di estese glaciazioni quaternarie sono ben riconoscibili nel Himālaya; nel versante meridionale però i ghiacciai non giunsero a sboccare ai piani, come fu per le Alpi. Sono note morene fino a 1000-1500 m. d'altezza, e anche ne esistono nel Piccolo Himālaya, che oggi non ha quasi affatto ghiacciai. Lo sviluppo glaciale quaternario è però sufficientemente noto solo per il Himālaya nord-occidentale. Nel bacino superiore dell'Indo si sono succedute quattro espansioni, d'intensità decrescente. Durante la terza di queste espansioni glaciali, la valle dell'Indo non fu più interamente occupata da ghiacciai, ma alcuni di questi vi sboccavano sbarrando grandi laghi, nei quali si depositarono argille poi terrazzate. Si ebbero anche, in connessione con i fenomeni glaciali, diversi cambiamenti idrografici.
Il grande arco montuoso del Himālaya ha un'importantissima funzione climatica; a parte l'influenza delle altezze sulla temperatura, essa costituisce, notoriamente, una vera barriera per le precipitazioni. Il monsone scarica gran parte della sua umidità sul breve e ripido versante meridionale, dando piogge abbondantissime; il versante settentrionale ne è invece scarso, l'aria è secca. Queste condizioni di aridità sono specialmente accentuate nel Himālaya occidentale; le regioni Zanskar e Rupshu hanno pochi giorni di pioggia all'anno, e le nevi, un po' più abbondanti, scompaiono presto. Le differenze giornaliere e stagionali della temperatura sono anche più forti: nello Spiti, a 3000-3500 m. d'altezza, si ha una media di circa 20° per il mese più caldo, -10° per il dicembre.
La diversa ripartizione delle precipitazioni ha una chiara espressione anche nell'altezza del limite delle nevi, assai minore sul versante meridionale, dove sta fra 4200 m. (catene esterne) e 5500 m.; sul versante settentrionale è a 5400-5800 m., in qualche tratto anche a 6000. Lo sviluppo dei ghiacciai è notevole, ma sempre assai inferiore a quello del Karakorum: il versante tibetano è troppo secco, quello meridionale è troppo ripido, perché i ghiacciai possano raggiungere grande estensione. In qualche caso le fronti giungono a soli 2500 m. d'altezza. I ghiacciai più lunghi sono quelli delle valli longitudinali. I gruppi più glacializzati sono il Kinchinjunga, il Kubigangri, il Mandhatta, ecc.; tra i ghiacciai più lunghi ricordiamo: Zemu (27 km.) e Kinchinjunga (22 km.) nel Himālaya del Sikkim; Milam (20 km.) e Gangotri (26 km.) nel Kumaon; Rundum (20 km.) e Durung (21 km.) nel Himālaya kashmiriano.
I fiumi himalayani hanno tutti regime spiccatamente torrentizio, perfino quelli che si originano dai ghiacciai, essendo forte la differenza tra una stagione umida e una secca, e rapido lo scioglimento delle nevi. Violente le piene, che spesso causano gravi danni; le maggiori sono però dovute alla rottura d'un temporaneo sbarramento nel corso del fiume (per frane, specialmente), caso assai frequente. Numerosi i laghi; l'origine di quelli minori è per lo più connessa col glacialismo passato. I maggiori stanno sul versante tibetano ad altezze tra 4100 e 4700 m. Molti sono chiusi e salati; tracce di antiche rive indicano un notevole disseccamento.
I due versanti himalayani fanno altresì netto contrasto per il paesaggio vegetale, anche in conseguenza della diversa umidità; il versante settentrionale su estesi tratti manca o quasi di vegetazione arborea, la quale è però abbastanza sviluppata nelle valli dello Tsang-po e affluenti, con boschi di rododendri e cedri, mentre i monti rimangono sempre nudi. Il versante meridionale è riccamente boscoso; solo le colline più basse sono relativamente secche, ma poco sopra e fino a 1500-2000 m. cresce una superba foresta di tipo tropicale umido. Più in alto le essenze tropicali si mescolano a querce, betulle, aceri, ecc. e tra 2000 e 3500 m. si ha una foresta di tipo temperato per le sue essenze a foglie caduche (querce, castagni, noci, ecc.), ma ancora ricca di epifite perché molto umida; vere fustaie vi forma la magnolia. Già in questa zona compaiono conifere e rododendri; questi ultimi salgono fino a 4800 m. nel Himālaya orientale. Il Himālaya occidentale è meno favorito dalle precipitazioni e la vegetazione è meno rigogliosa. Gli alberi cessano a 3600-4000 m. d'altezza. La vegetazione erbacea supera anche i 5500 m., ma, almeno sul versante tibetano, i pascoli sono molto magri. Sull'Everest e sul Kinchinjunga sono state trovate fanerogame fino a circa 6200 m.
Il Himālaya costituisce una zona faunisticamente assai ricca. La sua fauna è zoogeograficamente compresa nella sotto-regione himalayana o indo-cinese di Wallace appartenente alla grande regione orientale. Del Himālaya citeremo, fra i Mammiferi, alcuni Chirotteri tra cui Noctulina, Myotes, Aquias; varie martore come Helictis nepalensis, dalla pelliccia bruno-grigiastra a macchie bianche; Arctonyx, Aelurus fulgens dal colore rossiccio con le zampe oscure, tra i Carnivori. Alcuni Ungulati tra i quali varie specie di Cervidi, Bovidi. Varî Roditori delle famiglie Muridi, Spalacidi, Istricidi e tra gli Sdentati un pangolino (Manis). Relativamente numerosi gli Uccelli, tra i quali una specie di fagiano, il Ceriornis satyra, splendidamente macchiato di rosso e verde e col capo ornato di caruncole d'un rosso-azzurro vivo. Scarsi i Rettili peculiari della regione; fra i serpenti alcuni si trovano fino sui 4500 m. s. m. (Naja, Trimeresus, Simotes); fra i Lacertilî notiamo parecchie specie di Agame e di Scincus. Anche le forme caratteristiche di Anfibî non sono numerose; qualche specie di rospo si trova sui 3000 m. s. m. Varie specie di pesci d'acqua dolce popolano i laghi e i fiumi della regione. Interessante il mondo degl'Insetti, ricco di specie caratteristiche dell'alta montagna. Fra i Lepidotteri molte forme del gen. Papilio e molti Ninfalidi, Danaidi, ecc. Fra i Coleotteri citeremo un Cetonide (Rhomborhima) di cospicue dimensioni e dai colori brillanti e fra gli Ortotteri molti Fasmidi e Acrididi proprî della regione. La fauna è completata da numerosi Aracnidi, Miriapodi, Crostacei d'acqua dolce e Molluschi terrestri.
Le colture sono limitate ai fondi delle valli e dei bacini: specialmente fertili sembra siario le valli longitudinali del Nepal. Nel Himālaya occidentale le colture raggiungono 3600 m. d'altezza massima sul versante sud, e 4650, in via eccezionale, su quello nord. Diffusi gli alberi fruttiferi e specialmente gli albicocchi (fino a 3500 m.). La pratica dell'irrigazione è largamente sviluppata, anzi essa nelle valli tibetane è addirittura una necessità.
L'insediamento è abbastanza fitto sul versante meridionale del Himālaya, piuttosto scarso invece sul versante nord, specialmente a occidente; l'altezza massima raggiunta dalle abitazioni permanenti è di circa 4500 m. Nella zona tibetana, per un tratto assai esteso a oriente del Ladak, non vi sono insediamenti fissi e i magri pascoli sono sfruttati da pastori nomadi, con greggi di pecore e mandre di yak. Attraverso il Himālaya si fa il commercio del Tibet e del Turkestān con l'India, ma solo merci relativamente preziose possono venir trasportate (muschio, borace, lana, tè, sale, ecc.).
La regione himalayana è abitata in prevalenza da genti tibetane, che nella parte orientale invadono tutto il versante sud con gruppi che fanno gradualmente transizione alle tribù, assai primitive, dell'alta montagna indocinese (v. indocina); nel Himālaya occidentale invece l'elemento tibetano, che in genere non oltrepassa la catena principale, va gradualmente diminuendo verso ovest, e in parte la valle superiore dell'Indo è abitata da genti ariane (Dardi, ecc.). Corrispondentemente alle aspre condizioni orografiche vi è tuttavia un notevole frazionamento etnico (v. india).
La conoscenza che si ha attualmente della regione himalayana è molto diversa da parte a parte; è abbastanza buona per la sezione più occidentale, mentre nella zona centrale e orientale estese zone sono ancora del tutto sconosciute, ciò che è da mettersi in relazione anche con la resistenza che hanno opposto e oppongono le autorità indigene (Nepal Butan, Tibet) all'ingresso degli Europei.
Enorme contributo alla conoscenza del Himālaya hanno dato, a partire dalla metà del secolo scorso, i lavori del Trigonometrical Survey e del Geological Survey dell'India. Gli stessi geologi dovettero spesso procedere come veri esploratori; sono specialmente da ricordare i nomi di Stoliczka, Godwin Austen, Lydekker, Medlicott, Blanford, Oldham, Middlemiss, Hayden, ecc. Inoltre hanno portato preziosi contributi molte spedizioni organizzate a scopo essenzialmente alpinistico.
Già qualche missionario aveva attraversato il Himālaya nei secoli XVII e XVIII (Antonio di Andrada, Gmeber e Douville, Orazio della Penna), di maggiore interesse fra tutti il padre Ippolito Desideri che per il Ladak e il Tibet occidentale si recò a Lhasa, donde passò in India per il Nepal (1712-27). Gl'Inglesi tentarono di stabilire relazioni tra l'India e il Tibet già nel 1774 (missione di G. Boyle). Attraversarono la catena i viaggiatori Turner e Saunders nel 1783, T. Manning nel 1811-12. Numerosi sono i viaggi nel Himālaya occidentale nella prima metà del sec. XIX: di Moorcroft e Trebeck (1812-29), di Fraser (1814-15), dei fratelli A. e G. Gerard (1818-23), e più tardi del vigne, del Cunningham, del Thomson, dei fratelli Strachey, uno dei quali, Riccardo, scopriva nel 1848 l'importantissima serie geologica dello Spiti. Nel 1849 il naturalista Hooker visitava il Sikkim e parte del Nepal, nel quale faceva un lungo soggiorno B. H. Hodgson a cui si debbono molte notizie che su questo paese possediamo. La seconda metà del secolo scorso s'inizia con i viaggi (1854-58) dei tre fratelli Schlagintweit, estesi a gran parte del Himālaya e i cui risultati sono d'importanza fondamentale per la geografia, la geologia, l'etnologia. Dopo il 1860 s'inizia l'attività dei panditi, dotti indigeni appositamente istruiti, che percorsero il Himālaya e il Tibet, rilevando itinerarî e raccogliendo informazioni; ideatore e capo di questo servizio fu il cap. T. G. Montgomerie, e il più famoso dei panditi Nain-Singh. Di questo periodo sono da ricordare i viaggi di Torrens, Leith Adams, Henderson e Hume, Drew, del botanico Steward, ecc. Nel 1883 veniva organizzata dal Graham la prima spedizione himalayana a scopi alpinistici, cui seguirono presto molte altre.
Delle numerose spedizioni dell'ultimo trentennio ci limitiamo a segnalare: la missione di ufficiali topografi inglesi nel Tibet meridionale (1904), che conseguì importantissimi risultati cartografici; la spedizione di Sven Hedin (1906-08), che percorse grandi tratti del versante nordico del Himālaya, anche con notevoli risultati scientifici; la spedizione italiana Piacenza che salì il Nun-kun ed esplorò alcuni grandi ghiacciai nel Himālaya Kashmiriano, e la grande spedizione italiana De Filippi (1913-14) nel Himālaya occidentale e il Karakorum, con importantissimi risultati nel campo della fisica terrestre, della geologia, morfologia, antropologia, ecc. Nell'ultimo decennio si sono succeduti numerosi tentativi per la conquista dell'Everest (m. 8882; Mallory e Irvine, che vi trovarono la morte, furono visti fino a 8600 m.). Alcune cime elevate più di 7000 m., tra cui il Jongsong Peak (7460 m.), sono state scalate nel 1930 dalla cosiddetta spedizione internazionale, guidata da O. Dyhrenfurth. La più alta cima (non altezza) finora raggiunta è il M. Kamet (7756 m.) nel Himālaya centrale, salito dall'inglese Smythe nel 1931.
V. tavv. CXXI-CXXIV.
Bibl.: Sono fondamentali numerose memorie contenute nei Memoirs e nei Records del Geological Survey of India. Per il Himalaya occidentale si vedano Relazioni scientifiche della spedizione De Filippi 1913-14, Bologna 1922 segg. Inoltre: S. G. Burrard e H. H. Hayden, A Sketch of the geography and geology of the H. mountains and Tibet, Calcutta 1907-08, I-IV; H., A. e R. Schlagintweit, Results of a scientific mission to India and High Asia, Lipsia 1861-66, voll. 4; C. R. Markham, The Himalayan System, in The Geogr. Magaz. (1877); R. D. Oldham, The river valleys of the H., in Journ. Manchest. Geogr. Soc. (1892); id., A manual of the Geology of India, 1893; C. Diener, Die Eiszeit im Himalaya, in Mitt. Geogr. Gesell. Wien (1897); W. Garwood, On the origin of some hanging valleys in the Alps and H., in Quart. Journ. Geol. Soc. (1902); D. W. Freshfield, Round Kangchenjunga, Londra 1903; K. Oestreich, Die Täler der nord-westlichen Himalaya, Gotha 1906; P. G. Burrard, On the origin of Himalaya, 1912; A. Neve, Some factors of Himalayan erosion, in Geogr. Journ. (1911); S. Hedin, Southern Tibet, Stoccolma 1918-22, voll. 9; H. Schmitthenner, Der Himalaya, in Geogr. Zeitschr. (1916); C. Calciati, Al Caracorum: diario di due esplorazioni, Firenze 1930. Per la bibliografia dei viaggi oltre a queste opere si veda: E. Trinkler, Tibet, Monaco 1922 (Mitt. d. Geogr. Gesell. in München, XV).