HOR
. Dio dell'antico Egitto. Secondo la sua figura (Falco peregrinus) e il suo nome (cfr. ar. ḥùrr) è un falcone, eg. ḥûr (gr. Ωρος, copto hôr). Adorato in più luoghi, in Ieraconpoli nell'Alto Egitto dopo la conquista operata da quei principi assurse all'apogeo del pantheon.
Specialmente K. Sethe, con somma dottrina, ha voluto trasferirlo nel delta occidentale; ma non c'è prova che Béḥte nei testi arcaici, invece di Edfū, sia Damanhūr; inoltre questa mai appartenne al III nomo del Basso Egitto del quale si vorrebbe capitale; lo sviluppo semantico proposto per il geroglifico "insegna del falcone" cioè prima "nomo III", poi "occidente", poi "destra", è rifiutato dall'etimologia di Jmn che, dalla comparazione e dal buon senso, è prima "destra"; poi, per l'orientazione data dal Nilo, "occidente"; il III nomo si chiama solo "Occidente", come il XIV si chiama "Oriente" o "Principio dell'oriente". La sua assimilazione al sole poté avvenire a Edfū nella preistoria (il suo disco solare ha preso le ali variegate al falco); a Eliopoli fu chiamato "Hôr dell'orizzonte" (Ḥaráhte). Anche la sua entrata nel mito d'Osiride, come figlio di questo e d'Iside, è uno sviluppo posteriore. Nell'età greca il piccolo Horo (immagine del sole mattutino o di quello primordiale uscito dall'oceano in un fiore di loto), dagli Egiziani chiamato Ḥar-p-çráṭ "Horo, fanciullo" (greco 'Αρποκράτης, 'Αρποχράτης) e rappresentato con il dito alla bocca, venne inteso come dio del silenzio.
Bibl.: Th. Allen, Horus in the Pyramid Texts, Chicago 1919; H. Kees, Horus and Seth als Götterpaar, in Mitt. Vorderas. Gesellsch., XXVIII, i, (1922); K. Sethe, in Nach. Gesellsch. Wiss. Göttingen, 1922, pp. 237-38.