HOSIOS LUKAS
(gr. ῞ΟσιοϚ ΛουϰᾶϚ)
Complesso monastico tra i più celebri della Grecia, situato tra i monti della Focide, nei pressi dell'antica città di Stiride, a km. 35 ca. da Delfi.Fonte di primaria importanza per le origini dell'insediamento è la Vita del santo eremita locale Luca (PG, CXI, coll. 441-479; Kremos, 1874-1880, I), redatta da un suo anonimo discepolo nella seconda metà del sec. 10° e certamente dopo la riconquista bizantina di Creta del 961, di cui si fa menzione. Il testo afferma che nel 946, su istanza del santo e con il contributo finanziario dello stratega dell'Ellade Krinites, fu eretta una prima chiesa dedicata a s. Barbara. Due anni dopo la morte dell'anacoreta, avvenuta nel 953, alcuni monaci a lui devoti portarono a termine la costruzione e la decorazione della chiesa ed elevarono sul luogo della tomba venerata un santuario cruciforme, dotando il complesso anche di alcune strutture necessarie alla vita monastica.Una diversa versione viene fornita da altre fonti manoscritte (Kremos, 1874-1880, II), che indicano come fondatore del monastero l'imperatore bizantino Romano II (959-963), il quale avrebbe eretto un sontuoso edificio su modello della Santa Sofia costantinopolitana, in segno di riconoscenza verso s. Luca, che anni prima aveva predetto, come riferito anche dal citato testo della Vita, la liberazione di Creta dagli Arabi durante il suo regno.A tale disomogenea documentazione si aggiungono poi altre fonti sia testuali sia epigrafiche di ambigua interpretazione, che hanno dato luogo, soprattutto nell'ultimo trentennio, a un vivace dibattito tra gli studiosi. Tutt'altro che lineare appare in effetti il collegamento tra le fonti citate e la realtà monumentale oggi esistente, ben più ricca e complessa di quanto le prime non lascino intravedere.All'interno di una cinta muraria di forma irregolare, costruita in parte con blocchi di reimpiego provenienti dall'antica Stiride, sorgono tre grandi edifici, tutti orientati a E, il cui aspetto odierno si deve alla campagna di restauro svoltasi dal 1958 al 1964 (Stikas, 1970). A N si trova la chiesa della Theotokos, o Panaghia, un edificio a croce greca inscritta, su quattro colonne, con tre absidi e un ampio nartece (lité) a sei campate sostenute da due colonne. A essa si accosta, lungo il fianco sud-ovest, il katholikón, una grande chiesa a cupola su base ottagonale con trombe angolari, al di sotto della quale si estende una cripta cruciforme. Ancora più a S si colloca la monumentale trápeza, il refettorio del monastero, nella consueta pianta a navata unica con abside poligonale all'esterno. Strutture più specificamente funzionali e abitative, considerate in gran parte pertinenti alle fasi più antiche del monastero, si dispongono infine lungo il perimetro fortificato.Al centro del dibattito critico si pone innanzitutto il problema della datazione delle due chiese, in termini sia di cronologia assoluta sia di cronologia relativa. Fino all'inizio degli anni Sessanta si riteneva generalmente che la chiesa della Theotokos fosse stata edificata dopo il katholikón e che entrambi fossero databili nell'ambito dell'11° secolo. In occasione dei citati restauri fu possibile verificare invece, nella zona di contatto fra i due edifici, come parte delle strutture murarie della facciata della Panaghia fosse stata inglobata dal katholikón, che aveva anche utilizzato un tratto del muro meridionale della chiesa come propria parete nord; a ulteriore conferma fu scoperto, proprio all'angolo sud-ovest della lité, un affresco raffigurante Giosuè che era stato obliterato dalla decorazione marmorea parietale del katholikón (Stikas, 1970; 1972; Xyngopulos, 1973-1974). In base a tali constatazioni la chiesa della Theotokos venne identificata con quella di S. Barbara citata dalla Vita di s. Luca, e di conseguenza datata alla metà ca. del 10° secolo. Tale cronologia venne accettata dalla maggior parte della critica (Grabar, 1971; 1976; Mango, 1974; Connor, 1991), pur con alcune voci discordanti, le quali, dando credito alla citata tradizione che lega il monastero all'imperatore Romano II piuttosto che al testo della Vita, attribuiscono la costruzione della Panaghia agli anni 961-966 (Buras, 1980) oppure all'imperatrice Teofano, la quale, poco dopo il 997, avrebbe trasformato la precedente chiesa di S. Barbara nell'attuale edificio dedicato alla Vergine (Mylonas, 1990).Ancora più complessa è la questione relativa al katholikón, le cui vicende sono strettamente legate alla presenza delle spoglie del santo eremita e alle trasformazioni subite dalla sua tomba. L'anonimo autore della Vita narra che in conseguenza del notevole e sempre crescente afflusso di pellegrini, dovuto agli innumerevoli episodi miracolosi, al di sopra del sepolcro venne eretto, poco tempo dopo la morte, un edificio (euktérion) cruciforme; il suo rapporto con l'attuale katholikón appare però assai controverso. L'opinione più diffusa è che l'edificio originario sia stato integralmente sostituito dall'attuale e dalla sottostante cripta: ciò sarebbe avvenuto secondo alcuni (Chatzidakis, 1969) nel 1011, data dedotta dal testo di un ufficio liturgico relativo alla traslazione delle reliquie del santo nel vano nord-est del nuovo edificio, creatosi nella zona di contatto tra le due chiese al di sopra dell'originario luogo di sepoltura del santo; secondo altri (Stikas, 1974) invece il katholikón sarebbe stato edificato dall'imperatore Costantino IX Monomaco (1042-1055), come attesterebbe una nota manoscritta del viaggiatore Ciriaco d'Ancona, recatosi nel monastero nel 1436.Recentemente è stato anche ipotizzato (Mylonas, 1990) che l'euktérion sia identificabile con l'ipotetico edificio fatto erigere da Romano II tra il 961 e il 966 e abbia conservato parte delle sue strutture nel più tardo katholikón, che le avrebbe arditamente utilizzate nella creazione del complesso organismo cupolato. Ancora più recente è infine l'ipotesi che vede direttamente nella chiesa attuale l'antico euktérion descritto nella Vita e l'attribuisce agli anni 956-970 (Connor, 1991), anticipando di conseguenza anche la datazione della sua decorazione pittorica e musiva, che viene invece tradizionalmente collocata, per ragioni stilistiche, nella prima metà dell'11° secolo.Accanto a questo ampio ventaglio cronologico vanno segnalate le proposte relative al committente, il quale viene via via identificato, oltre che con le due figure imperiali già ricordate, anche con un egumeno del monastero, Filoteo, raffigurato ad affresco all'interno della chiesa e nella cripta (Chatzidakis, 1969), o con un altro egumeno, Teodoro Leobachos, esponente di una potente famiglia della vicina Tebe, menzionato nel typikón della confraternita di Naupatto (Connor, 1991).La chiesa della Theotokos costituisce il primo significativo esempio dell'accoglimento in terra ellenica del tipico impianto costantinopolitano a croce greca inscritta, noto dalle celebri fondazioni dell'inizio del sec. 10°, come il monastero di Costantino Lips o la chiesa del Myrelaion: variante di rilievo è l'ampio nartece a sei campate, ben noto dagli esempi atoniti. La struttura muraria è del tipo a cloisonné, arricchita dalla presenza di motivi pseudo-cufici che, nella zona absidale, si dispongono addirittura in tre fregi sovrapposti; un gusto decorativo che ebbe in seguito larga diffusione nella Grecia dei secc. 11° e 12°, ma che si manifesta qui, al suo esordio, in modo già elaborato e compiuto. Un analogo incisivo influsso dell'arte islamica è individuabile nel tamburo ottagonale della cupola, nel quale si aprono bifore con timpani monolitici ad arco oltrepassato, poggianti su lastre marmoree di rivestimento, ornate da croci e motivi vegetali a incrostazione. I modelli per tali singolari soluzioni decorative dell'esterno dell'edificio sono stati indicati sia in oggetti d'arte mobili (Miles, 1964) sia nell'architettura musulmana, come per es. nel c.d. mausoleo dei Samanidi a Bukhara o nella Grande moschea di Kairouan (Grabar, 1971; Buras, 1980).Un gusto orientalizzante caratterizza in parte anche la scultura all'interno della Panaghia, soprattutto le quattro grandi imposte dei capitelli della cupola e l'epistilio del témplon, mentre i capitelli, simili due a due, appaiono originali interpretazioni del tradizionale corinzio. Nel suo insieme, comunque, l'arredo plastico dell'edificio riflette, anche qualitativamente, le tendenze e le mode innovative dell'arte costantinopolitana dell'epoca della dinastia macedone (867-1056).Dell'originaria decorazione parietale resta soltanto il citato frammento di affresco con Giosuè e l'angelo, scoperto nel 1964, che è stato messo in rapporto con le miniature del Menologio di Basilio II, del 985 ca. (Roma, BAV, Vat. gr. 1613). Ben conservato è invece il pavimento in opus sectile nel nartece e nel naós, redatto nello stile caratteristico dell'età mediobizantina, a grandi lastre marmoree bordate da fasce a motivi geometrici policromi (Schultz, Barnsley, 1901, tavv. 32, 33).Il katholikón costituisce un significativo esempio di chiesa con cupola su base ottagona e trombe d'angolo, del tipo c.d. complesso poiché intorno al vano centrale, dilatato in forma di croce, si dispone una serie di vani sussidiari sormontati da gallerie che concorrono a sostenere il peso della copertura. La struttura muraria differisce da quella della Panaghia per la tecnica a cloisonné ottenuta in questo caso con blocchi di pietra di grandi dimensioni e di forme irregolari, separati da file orizzontali di mattoni (Hadji-Minaglu, 1994). A E l'unica ampia abside è semicircolare all'interno e poligonale all'esterno, come le tre absidi della chiesa della Theotokos, mentre a O l'attuale nartece era preceduto da un esonartece - demolito alla fine del sec. 19°, ma ricostruibile grazie a disegni e descrizioni - attribuibile al sec. 12° (Philippidu-Bura, 1970-1972).Di particolare interesse è la decorazione scultorea all'esterno dell'edificio, costituita dalle lastre marmoree di parapetto delle finestre bifore e trifore: pur se in gran parte di restauro, esse attestano l'evidente recupero di schemi compositivi tipici dei secc. 5° e 6° - come il serto tra lemnischi e croci -, ma stilisticamente aggiornati. Anche all'interno del katholikón l'arredo plastico è di livello qualitativo notevolissimo, soprattutto l'iconostasi, divisa in tre parti, con originali capitelli ornati da nastri annodati che sostengono l'epistilio fittamente ricoperto da motivi vegetali con rosoni a rilievo e figure di grifoni (Grabar, 1976).Come nella Panaghia, anche qui il pavimento è rivestito da grandi lastre marmoree unite a riquadri in opus sectile in un insieme tra i più pregevoli dell'età mediobizantina; la decorazione si estende poi anche alle pareti fino a notevole altezza, scandita orizzontalmente da raffinati fregi ornamentali a incrostazione.L'importanza del katholikón di H. è tuttavia legata principalmente alla sua decorazione musiva e pittorica, alla quale il recente restauro ha restituito l'originario splendore e che - insieme ai cicli della Nea Moni di Chio e della Santa Sofia di Kiev, entrambi databili al quinto decennio del sec. 11° - costituisce la testimonianza più significativa della pittura bizantina di età macedone.I mosaici decorano il nartece, il naós, il bema, l'abside e il diaconico, secondo il programma iconografico canonico dell'età posticonoclasta, anche se le scene evangeliche sono piuttosto limitate rispetto al gran numero di figure isolate di santi. Nell'abside si trova la Vergine in trono con il Bambino e nella cupola del bema la Pentecoste; nelle trombe angolari restano solo l'Annunciazione, la Presentazione al Tempio e il Battesimo, mentre nella cupola e nel tamburo il Pantocratore e i profeti originari sono stati sostituiti da affreschi ottocenteschi; nel nartece trovano posto infine la Lavanda dei piedi, la Crocifissione, l'Anastasi, l'Incredulità di Tommaso e il monumentale busto del Cristo Pantocratore.I mosaici del nartece vengono unanimemente considerati opera di un maestro più abile ed esprimono al meglio lo stile dell'intera decorazione, caratterizzato da essenzialità e simmetria nella composizione delle scene, dalle proporzioni talora distorte delle figure umane che vengono accentuate dal panneggio irrazionale e astratto, dall'estrema spiritualizzazione dei volti dominati da grandi occhi e da una generalizzata stilizzazione lineare. Tali elementi avevano tradizionalmente fatto considerare i mosaici di H. come espressione della c.d. corrente monastica e provinciale dell'arte bizantina (Demus, 1947; Lazarev, 1967), ma più recentemente si è preferito ricondurre comunque la provenienza delle maestranze a Costantinopoli, spostando i termini del problema verso una coesistenza e uno sviluppo, sempre in ambito metropolitano, di diverse tendenze o livelli stilistici (Mango, 1978; Muriki, 1980-1981).La decorazione pittorica si svolge sia all'interno della chiesa, nei compartimenti nord-ovest, sud-ovest e nord-est, sia nella sottostante cripta. Il programma iconografico dei compartimenti secondari è di lettura non agevole e include, oltre che figure di santi e angeli, alcune scene isolate (cappella nordovest: Crocifissione e Ascensione di Elia; cappella sud-ovest: Incontro tra Cristo e s. Giovanni Battista prima del battesimo; cappella sud-est: monaco che offre a s. Luca il modellino della chiesa), probabilmente collegabili alla funzione dei compartimenti stessi, che tuttavia non è stata ancora chiarita con certezza (Chatzidakis, 1969; Chatzidakis-Bacharas, 1972; 1981; Pallas, 1985). Di livello qualitativo piuttosto alto, gli affreschi sono stati sia collegati stilisticamente e cronologicamente ai mosaici (Muriki, 1980-1981) sia posticipati al sec. 11° inoltrato (Chatzidakis-Bacharas, 1981).Il ciclo della cripta comprende sette scene della Passione e Risurrezione, alle quali si aggiungono la Dormizione della Vergine, una Déesis e numerosissimi busti di apostoli, santi guerrieri e santi monaci, posti entro clipei nelle volte. È stata sottolineata la stretta connessione iconografica e stilistica degli affreschi con la decorazione musiva e pittorica della chiesa soprastante, pur se nei primi si notano una maggiore scioltezza compositiva e una più ricca ambientazione paesaggistica delle scene. La datazione segue per lo più le sorti cronologiche del katholikón nel suo insieme, per cui il ciclo è stato attribuito sia alla prima metà avanzata del sec. 11° (Muriki, 1980-1981; Panaghiotidi, 1986) sia all'ultimo quarto del sec. 10°, per analogie con gli affreschi della Grande colombaia a Çavuşin, in Cappadocia, e con le miniature del citato Menologio di Basilio II (Connor, 1991).
Bibl.: G. Kremos, Πϱοσϰυνητάϱιον τῆϚ ἐν τῆ Φωϰίδι ΜονῆϚ τοῦ ῾Οσίου Λουϰᾶ [Il Proskynetario del monastero di H. nella Focide], 2 voll., Athinai 1874-1880; C. Diehl, L'église et les mosaïques du couvent de Saint-Luc en Phocide (BEFAR, 55), Paris 1889; R.W. Schultz, S.H. Barnsley, The Monastery of Saint Luke of Stiris, Phokis, and the Dependent Monastery of Saint Nicolas in the Fields near Skripou in Boeotia, London 1901; O. Wulff, Das Katholikon von Hosios Lukas und verwandte byzantinische Kirchenbauten (Die Baukunst, s. II, 11), Berlin-Stuttgart [1903]; G. Millet, L'école grecque dans l'architecture byzantine, Paris 1916, pp. 105-118; E. Diez, O. Demus, Byzantine Mosaics in Greece. Hosios Lucas and Daphni, Cambridge (MA) 1931; H. Megaw, The Chronology of Some Middle-Byzantine Churches, The Annual of the British School at Athens 32, 1931-1932, pp. 90-130; G.A. Sotiriu, Peintures murales byzantines du XIe siècle dans la crypte de Saint-Luc, "Actes du IIIe Congrès international des études byzantines, Athènes 1930", Athinai 1932, pp. 389-400; id., ᾽Αϱαβιϰαὶ διαϰοσμήσειϚ εἰϚ τὰ βυζαντινὰ μνημεῖα τῆϚ ῾ΕλλάδοϚ [Decorazioni arabe nei monumenti bizantini della Grecia], DChAE, s. III, 2, 1933-1934, pp. 57-93; N. Bees, ῾Η Μονὴ τοῦ ῾Οσίου Λουϰᾶ τοῦ Στειϱιώτου [Il monastero di H. nel demo di Stiria], Byzantinischneugriechische Jahrbücher 11, 1934-1935, pp. 179-192; O. Demus, Byzantine Mosaic Decoration. Aspects of Monumental Art in Byzantium, London 1947, pp. 56-58; M. Chatzidakis, Byzantine Monuments in Attica and Boeotia. Architecture, Mosaics, Wallpaintings, Athinai 1956, pp. 26-27; A. Grabar, M. Chatzidakis, Grecia. Mosaici bizantini, Milano 1959, p. 16; O. Morisani, Gli affreschi dell'Hosios Lukas in Focide, CrArte, n.s., 9, 1962, 49, pp. 1-18; G.C. Miles, Byzantium and the Arabs: Relations in Crete and the Aegean Area, DOP 18, 1964, pp. 1-32; A. Procopiu, Le monastère d'Hosios Lukas. L'archaïsme byzantin dans les mosaïques d'Hosios Lukas, CARB 11, 1964, pp. 367-388; V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino 1967, pp. 151-152; G. Babić, Les chapelles annexes des églises byzantines (Bibliothèque des CahA, 3), Paris 1969; M. Chatzidakis, A propos de la date et du fondateur de Saint Luc, CahA 19, 1969, pp. 127-150; E. Stikas, Τὸ οἰϰοδομιϰὸν χϱονιϰὸν τῆϚ ΜονῆϚ ῾Οσίου Λουϰᾶ ΦωϰίδοϚ [La storia della costruzione del monastero di H. nella Focide], Athinai 1970; L. Philippidu-Bura, ῾Ο ᾽εξωνάϱἷηϰαϚ τοῦ ϰαἷολιϰοῦ τοῦ ῾Οσίου Λουϰᾶ ΦωϰίδοϚ [L'esonartece del katholikón di H. nella Focide], DChAE, s. IV, 6, 1970-1972, pp. 13-28; A. Grabar, La décoration architecturale de l'église de la Vierge à Saint-Luc en Phocide et les débuts des influences islamiques sur l'art byzantin de Grèce, CRAI, 1971, pp. 15-37; M. Chatzidakis, Πεϱὶ μονῆϚ ῾Οσίου Λουϰᾶ νεώτεϱα [Aggiornamenti sul monastero di H.], ῾Ελληνιϰά 25, 1972, pp. 298-313; id., Précisions sur le fondateur de Saint-Luc, CahA 22, 1972, pp. 87-88; T. Chatzidakis-Bacharas, Particularités iconographiques du décor peint des chapelles occidentales de Saint-Luc en Phocide, ivi, pp. 89-113; E. Stikas, Nouvelles observations sur la date de construction du Catholicon et de l'église de la Vierge du monastère de Saint-Luc en Phocide, CARB 19, 1972, pp. 311-330; K. Kreidl-Papadopulos, s.v. Hosios Lukas, in RbK, III, 1973, pp. 264-318; A. Xyngopulos, ῾Η τοιχογϱαϕία τοῦ ᾽Ιησοῦ τοῦ Ναυῆ εἰϚ τὴν Μονὴν τοῦ ῾Οσίου Λουϰᾶ [L'affresco di Giosuè nel monastero di H.], DChAE, s. IV, 7, 1973-1974, pp. 127-138; C. Mango, Architettura bizantina, Milano 1974, pp. 215, 219-222; E. Stikas, ῾Ο ϰτίτωϱ τοῦ ϰαἷολιϰοῦ τῆϚ ΜονῆϚ ῾Οσίου Λουϰᾶ [Il fondatore del katholikón del monastero di H.], Athinai 1974; J. Nesbitt, J. Wiita, A Confraternity of the Comnenian Era, BZ 68, 1975, pp. 360-384: 373-374; A. Grabar, Sculptures byzantines du Moyen Age, II, (XIe-XIVe siècle) (Bibliothèque des CahA, 12), Paris 1976, pp. 50-60; J. Koder, F. Hild, Hellas und Thessalia-Tabula Imperii Byzantini (Österreichische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse, Denkschriften, 125), Wien 1976, pp. 205-206; C. Mango, Les monuments de l'architecture du XIe siècle et leur signification historique et sociale, Travaux et mémoires 6, 1976, pp. 351-365; R. Stichel, L'affresco di Michele Arcangelo e Giosuè ad Osios Lukas: la sua interpretazione nel quadro di affreschi simili in Cappadocia e Georgia, "Atti del I Simposio internazionale sull'arte georgiana, Bergamo 1974", Milano 1977, p. 289; C. Mango, Lo stile cosiddetto ''monastico'' della pittura bizantina, in Habitat-Strutture-Territorio, "Atti del III Convegno internazionale di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d'Italia, Taranto-Grottaglie 1975", Galatina 1978, pp. 45-62; L. Buras, ῾Ο γλυπτὸϚ διάϰοσμοϚ τοῦ ναοῦ τῆϚ ΠαναγίαϚ στὸ Μοναστήϱι τοῦ ῾Οσίου Λουϰᾶ [Il decoro plastico della chiesa della Panaghia del monastero di H.], Athinai 1980; D. Muriki, Stylistic Trends in Monumental Painting of Greece during the Eleventh and Twelfth Centuries, DOP 34-35, 1980-1981, pp. 76-124: 81-88; T. Chatzidakis-Bacharas, Questions sur la chronologie des peintures murales de Hosios Lukas (les chapelles occidentales), "Actes du XVe Congrès international d'études byzantines, Athènes 1976", II, A, Athinai 1981, pp. 143-162; id., Les peintures murales de Hosios Loucas. Les chapelles occidentales, Athinai 1982; D.I. Pallas, Zur Topographie und Chronologie von Hosios Lukas: eine kritische Übersicht, BZ 78, 1985, pp. 94-107; M. Panaghiotidi, La peinture monumentale en Grèce de la fin de l'Iconoclasme jusqu'à l'avènement des Comnènes (843-1081), CahA 34, 1986, pp. 75-108: 83, 92-96; P. Mylonas, Gavits arméniens et Litae byzantines. Observations nouvelles sur le complexe de Saint-Luc en Phocide, ivi, 38, 1990, pp. 99-122; C.L. Connor, Art and Miracles in Medieval Byzantium. The Crypt at Hosios Loukas and its Frescoes, Princeton 1991; id., Hosios Loukas as a Victory Church, Greek, Roman and Byzantine Studies 33, 1992, pp. 295-308; G. Hadji-Minaglu, Le grand appareil dans les églises des IXe-XIIe siècles de la Grèce du Sud, Bulletin de correspondance hellénique 118, 1994, pp. 161-197: 171-172, 175.A. Guiglia Guidobaldi